GIORGIO ACCASTELLI
Ho scritto questa breve nota per Il sale della terra, a cura di Emilio Gardiol, Panerose editore, Pinerolo 2023
La
critica di Lenin all’Empiriocriticismo è il titolo della tesi in filosofia discussa nel 1959 da
Giorgio Accastelli con Sofia Vanni Rovighi all’Università Cattolica di Milano. Ecco
spiegato il futuro prete scomodo, direbbe stupidamente qualcuno. Invece,
avrebbe potuto anche laurearsi su san Pacomio che la sua linea di vita non sarebbe
cambiata e alla vigilia della sua morte annunciata dal cancro avrebbe comunque scritto, ringrazio il
Signore per i 58 anni vita che mi ha concesso, per avermi dato la grazia di
vivere con dei preti e con questa comunità [parrocchiale], che mi hanno
fatto sempre sentire la gioia di essere sacerdote, di avermi conservato povero,
di non avermi permesso di fare quel male, al quale la mia natura da sola
sarebbe stata portata.
Era nato a Pinerolo nel 1932 e a
Pinerolo sarebbe morto nella sua cameretta in parrocchia il 19 maggio 1991.
Ordinato prete nel giugno del 1955, a ottobre del 1967 entra come parroco a san
Lazzaro. Queste le date anagrafiche essenziali
e poi migliaia di date interiori ed esteriori che conosceva solo lui.
Altre date le ha condivise con tante
persone, tantissime. Perfino con me. Siccome non sono bravo nelle biografie, mi
perdo nei dettagli, preferisco appoggiarmi a questi per carpire qualche tratto di
vita di un uomo morto 32 anni fa che incontro qualche volta in sogno.
Aveva una patologia rarissima: alla
fine di ogni conversazione, rilevante o terra terra, ti chiedeva sempre e tu
cosa ne pensi? E non andava avanti se restavi imbalsamato, fingendo di non
aver sentito. Voleva imparare da te. Non era una posa didattica. Lo capivi più
tardi quando ritrovavi in circolazione, ridimensionato o arricchito, il tuo
pensiero da lui messo a disposizione di tutti. Affermava con questo, senza
tanti giri di parole, l’etica dell’ascolto e della condivisione, che invece il
califfato cattolico, ecclesiastico e laico, gli rimproverava, un po’con le
buone, un po’ con le cattive. Le buone
erano considerare don Giorgio, i confratelli della parrocchia, le comunità che
animavano, bravi nè, ma svitati, non adeguati ai tempi, poveri illusi.
Le cattive erano le diffamazioni esplicite, i bastoni fra le ruote, lo
stillicidio di minacce. Erano diventati un modo di dire diffuso: ipretidisanlazzaro che usavano tutti,
denigratori e ammiratori, per riconoscere una presenza che non si poteva ignorare.
Avermi conservato povero scrive nella lettera alla comunità
parrocchiale. Povero non come metafora. Nel 1970 rinuncia, insieme ai
confratelli, alla congrua cioè all’assegno mensile da parte dello Stato
italiano [poi sostituito nel 1986 dall’8 per mille]. I suoi mezzi di trasporto
sono stati la bicicletta, la moto Guzzi Galletto, proveniente dal basso
medioevo, e poi una Bianchina in cui doveva fare una flessione paurosa per
entrare e tuttavia la si rimpinzava in quattro. Poteva permettersi questi lussi
perché aveva sempre in mente quel passo della lettera ai Filippesi in cui si dice
che Gesù si era annientato prendendo la forma di servo. I poveri di soldi, di
risorse, di potere [infinito del verbo, non Potere, sostantivo], di
intelligenza, di salute, di vita, erano la sua pregiata compagnia oltre che
anima di iniziative collettive. Qualche capatina in tribunale se la sono fatta ipretidisanlazzaro,
ma allora era abbastanza normale. Non era così nella norma che don Giorgio
mettesse in piedi un Osservatorio sugli anziani, cioè profeticamente intuisse
la progressiva riduzione dei vecchi e delle vecchie a merce di scarto, a merce
di valore la loro ultima custodia.
Era la sete di giustizia a spronarlo.
Una giustizia non chimera, operativa, subito. Racconta una donna su Orizzonti
Aperti, il bollettino di san Lazzaro, a 15 anni dalla morte: organizzava gruppi
la sera dopo cena. Io avevo problemi con mio marito che non voleva che uscissi
e lui, gentile come sempre, mi ha detto “Ma lei ha diritto alla sua libertà”.
Mi sono bastate quelle parole.
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