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IL CONCERTO ANGELICO


IL CONCERTO ANGELICO
LA MUSICA PARADISIACA NELLA PITTURA MONREGALESE DEL QUATTROCENTO

All’epoca, quali risonanze procurava nell’animo dei fedeli il concerto angelico dipinto nella cappella di San Bernardo a Castelletto Stura [Cuneo]?
        Risposta inarrivabile, naturalmente. Fuori delle possibilità di una concreta indagine storica. La domanda, tuttavia, potrebbe forse proficuamente orientare il nostro sguardo, se mantenuta come orizzonte interpretativo.
        I fedeli hanno di fronte un Paradiso festoso concentrato sulla operante Trinità e su una Vergine incoronata Regina del cielo. Già questa centralità di Maria è debito alla fantasia spirituale e teologica, dal momento che i riferimenti neotestamentari sono scarsi e quelli per l’Assunzione e l’Incoronazione nulli. Il silenzio dei testi ha ispirato fin dai primi secoli le più diverse ipotesi speculative. Un complesso lavoro di allegorizzazione di figure femminili delle scritture ebraiche ed apocrife ha consentito la costituzione di un corpus di tradizioni, leggende, narrazioni che riti popolari, liturgia e para liturgia, manterranno vive ed alimenteranno. Sarà compito delle maestranze “artistiche” tradurle in figure e visioni.

          Dentro a questo ribollire immaginativo [ma anche virulento dibattito teologico (1)] quale il ruolo della musica?

          I fedeli ricevevano e integravano con la propria variegata esperienza musicale una immagine di felicità. Il Paradiso è così, un coro cantante e musicante. Gli angeli ne sono i consapevoli ed essenziali operatori. Gli Eletti godono di questa musica che è loro riservata. La quale, a differenza degli enti teologici, la Trinità, Maria, gli Angeli, gli Eletti, è esperienza concreta dei fedeli. La musica paradisiaca è prolungamento della musica terrena. Gli strumenti sono quelli (2). Le voci anche. Eletti e angeli cantano le lodi. Ma anche i fedeli cantano e suonano. Laudi, antifone, sacre rappresentazioni, inni, canzoni a ballo, invocazioni, cantilene, interludi e preludi strumentali. La musica terrena può anch’essa tradursi in felicità proprio nel momento in cui evoca la musica paradisiaca. L’estasi della musica celeste spinge quella terrena a diventare più ricca, più complessa, più esigente, ad affinare suoni e strumenti. A incentivare un perfezionamento. Che è esattamente quello che avviene, soprattutto nel XV secolo. Contrastando la mai sopita tentazione demonizzante che vede nella musica un’arte sospetta, capace di traviare gli animi e distoglierli dal retto cammino. Colpevole di troppa umanità.
                           La rappresentazione degli angeli musicanti non se ne sta dunque inerte a rappresentare un mondo mummificato, ma agita gli animi, come ha sottolineato Jean Delumeau (3). La familiarità con gli strumenti e con le musiche cui alludono producono una circolarità che per noi oggi non è tanto facile da cogliere.
         L’occhio può venire catturato dall’insieme, dalla composizione pittorica con le sue simmetrie e corrispondenza. Ma può più facilmente posarsi sullo strumento noto, riconoscibile a prima vista. Un organo portativo, ad esempio. Collocato, nel nostro affresco, ai piedi della Vergine e corrispettivo dell’arpa, dall’altro lato. Era uno strumento di largo uso, “portato” magari in processione, attaccato con bretelle ad un suonatore, che, con una mano agiva sulla piccola tastiera e con l’altra azionava un mantice. Dal suono flebile, date le dimensioni delle canne, e che spesso nelle raffigurazioni dell’epoca prevedeva un secondo angelo che azionava i probabili due mantici, uno per pompare l’aria, l’altro per immagazzinarla. Il nostro strumento non pretende di essere copia di uno reale, in cui ad un tasto dovrebbe corrispondere una canna non essendo ancora previsti i registri che nello sviluppo successivo saranno il dispositivo che lo trasformerà nel re degli strumenti e ne faciliterà l’ampliamento fino alle dimensioni elefantiache dell’Ottocento.
Nel portativo di Bastia l’apparenza sembrerebbe indicare una maggiore precisione, ma i tasti sono nove e le canne il doppio. E’ il tratto del pittore ad essere più netto. La posizione contorta della mano dell’angelo sulla tastiera allude ad una diteggiatura poco credibile. Altre testimonianze suggeriscono un uso di sole due dita e tale diteggiatura continuerà anche quando gli organi da portativi si faranno positivi, cioè da posare in luogo fisso per le loro accresciute dimensioni. Quello di Castelletto in effetti non ha la perfetta proporzione di Bastia, ha suppergiù la stessa dimensione dell’angelo che lo suona un po’ goffamente con le due dita canoniche.
I fedeli riconoscevano dell’organo la stessa andatura della vox humana, perché il piccolo mantice doveva caricare la poca aria seguendo il fraseggio della musica, “respirando” come un cantore che il portativo accompagnava.
Nessun portativo d’epoca ci è pervenuto e anche dei positivi di dimensioni considerevoli restano alcune piccole parti, per cui si puo’ dire che quello è “un organo medievale” solo perché frammenti della sua struttura sono originali. Molte le ricostruzioni, molte le distruzioni totali, in gran numero i vandalismi autorizzati (4).

Castelletto Stura, Paradiso, particolare, arpa


Mondovì san Quintino, arpa








Bastia Mondovì, San Fiorenzo
Paradiso, particolare, arpa



Nella geometria dell’affresco corrisponde all’angelo organista, l’angelo con l’arpa.

Strumento che, pur presentandosi in tipologie molto diverse, risulta tra i più facilmente identificabili. Di considerevoli dimensioni con un numero non definibile di corde, cassa armonica che l’angelo appoggia su se stesso, come consuetudine. L’arpa di S. Quintino si presenta invece più dettagliata, ma di fattura più antica, meno stretta, tondeggiante come le arpe romaniche. In entrambe è abbastanza chiaro come le corde venissero “toccate” con i polpastrelli, mentre in quella di Bastia si potrebbe anche supporre l’uso delle unghie e quindi di corde metalliche e non di budello. Con un suono, di conseguenza, più secco e brillante, che era per altro caratteristico dello strumento nel suo impiego come produttore di melodie e perciò come solista. A intensificare il suono spesso venivano infissi dei gancetti metallici regolabili a forma di L sui fori da cui uscivano le corde in modo tale da produrre un suono detto “ronzante”, molto simile agli anellini vibratori ancora in uso nella mbira o sansa africana.

L’accordatura senza semitoni o diatonica rispondeva solo in parte alle nuove esigenze della musica che vedrà la nascita di arpe a corde doppie sempre più ricche di possibilità e di volume. Ma una diramazione laterale accompagnerà lo strumento nei secoli seguenti, tra popolazioni indie dell’America Latina o tra paesetti della Calabria, a sostenere una lingua musicale propria.
          L’architettura gerarchica degli Eletti vede in corrispondenza due suonatori di tromba e due di cennamelle. In realtà alla lettura non si riesce a determinare quali e se effettivamente si tratti degli strumenti indicati. Una parvenza di pirouette, disco di legno a protezione dell’ancia sull’imboccatura, nell’angelo interno a sinistra proverebbe l’appartenenza alla categoria delle cennamelle o cialamello o piffero. Quel che importa è che questi strumenti definiscono una categoria pubblica di musica, quella “alta”, a grande potenza sonora, tipica degli eventi cittadini o religiosi di rilevanza sociale: cortei, processioni, banchetti, feste nuziali, ricevimenti di autorità, solennità varie e perfino guerre, per intimorire il nemico. Legati alla rappresentazione del potere e le sue pompe, ma anche a certe feste popolari. Da questa ambiguità traevano vantaggio i virtuosi girovagando tra le une e le altre. Un Paradiso di gerarchie signorili o di tripudi popolareschi?

Castelletto Stura, Paradiso, particolare, strumenti a fiato, viella e tamburo conico















Bastia Mondovì,
San Fiorenzo,
Sposalizio della Vergine, particolare: strumenti a fiato


Salendo di un grado ancora una coppia, a destra un liuto e, quasi non più discernibile, un tamburello a sonagli; a sinistra una viella e un tamburo conico. Invece dell’accoppiata tradizionale di strumento a pizzico con strumento ad arco che ritroviamo in moltissime Incoronazioni della Vergine.



Castelletto Stura, Paradiso,
particolare: strumenti a fiato, liuto


Il liuto, di cui non si distingue il numero delle corde, viene suonato con il plettro, alla maniera antica, che voleva far risaltare il suo aspetto melodico, come secoli dopo il mandolino. La polifonia era nell’aria ma non ancora nelle mani dei suonatori e dei pittori.
La viella di sinistra, o ribeca, o mistura delle due? Strumenti ad arco diffusissimi - la ribeca di origine araba - accompagnano tutte le iconografie mariane e non, e nella loro straordinaria varietà di tipologie, soprattutto la viella, testimoniano anche della fermentazione musicale in atto, che cerca di combinare idee musicali nuove a sonorità inedite. Il povero artista pittore sbirciava qua e là nel lavoro dei suoi simili per cercare di fissare una grammatica meno generica, non sempre riuscendoci. La resa prospettica dell’archetto, per esempio, faceva brutti scherzi. Ma il suonatore di tamburo, tenuto orizzontalmente come in certi paesi del Medio Oriente oggi, diteggia con leggerezza sulla pelle cogliendo il ritmo frusciante della melodia.
La viella di Bastia, più rispondente ai canoni, espone un irrisolto dilemma iconografico: come fosse possibile suonare con l’arco su una sola nota quando il ponticello era così basso e la cassa così larga? Inevitabile lo sfregamento delle tre corde.
            L’opera del maestro di Castelletto si caratterizza per un’assenza: la stragrande maggioranza delle Incoronazioni della Vergine prevedono la presenza di angeli musicanti con salterio.

Strumento musicale di origine biblica e per tanto adattissimo a figurare nei cieli festanti. Con nobile mescolanza il nebel biblico viene reso con psalterion e il libro degli inni cantati, i Salmi, con il medesimo nome.






















Salterio [ qanun, dulce melos-dulcimer, santur, cimbalom, tsimbalo…]: una famiglia copiosa di strumenti in cui gli studiosi fanno fatica a districarsi. Se pizzicato lo definiscono salterio vero e proprio, se percosso con martelletti dulcimer, riconoscendo però che il medesimo strumento può ora essere pizzicato ora battuto. Primo grandioso esempio di globalizzazione, nel tempo e nello spazio: lo troviamo con nomi diversi in Cina come in Finlandia, in Italia come in Medio Oriente, dal decimo secolo avanti Cristo fino ai giorni nostri (5).
                                 Nei paraggi, a San Fiorenzo di Bastia Mondovì, le due forme si presentano splendidamente simmetriche e definite: a sinistra il salterio trapezoidale, a 5 corde doppie con ponticello centrale, elegantemente percosso dai martelletti, [simile, con due fori di risonanza, lo troviamo a San Michele, Mondovì e a san Quintino] a destra il salterio quasi triangolare, pizzicato da plettri, con otto note a corde doppie, appoggiato sulle ginocchia. Anche a Morozzo le due tipologie sono accostate: in basso il salterio/dulcimer, a tre corde doppie, due ponticelli, in alto l’angelo che stringe al petto il salterio e lo pizzica direttamente con le dita. In tutte le raffigurazioni citate gli angeli sono intenti sullo strumento con lo sguardo, con una gestualità che esprime la sottomissione del corpo musicante alla musica spirituale generata dallo Spirito (6).
L’assenza di Castelletto potrebbe suggerire considerazioni quasi teologiche.
Al fedele, anzi, più frequentemente alla fedele (7), che si recava in preghiera nella cappella di Castelletto non interessavano certi questi problemi di congruenza iconografica e organologica.
Le stava a cuore la visione del paradiso, l’audizione immaginativa della musica celeste, e l’appagamento di un sogno di futura beatitudine.



(1) nell’Evo Medio si confrontano almeno due scuole, una che sostiene che di Maria è stato assunta in cielo solo l’anima, l’altra che prevede anche il corpo. Ferme entrambe però a sostenerne l’apoteosi celeste “prima dei tempi”.
v. A.G Aiello, Sviluppo del dogma e tradizione: a proposito della definizione dell’Assunzione di Maria, Roma, Città Nuova, 1979
S.C.Mimouni, Dormition et assomption de Marie: Histoire des traditiones anciennes, Paris, Beauchesne, 1995

(2) Katherina Powers, che esamina molti dipinti dell’Incoronazione della Vergine nel Veneto tra il 1450 e il 1530, sostiene che il visitatore/fedele riconosce i singoli strumenti e gli insiemi strumentali rappresentati
Music-Making Angels in italian Renaissance Panting: Symbolism and Reality, in “Music in Art – International Journal for Music Iconography”, 2, 2004,pp. xxx

(3) “Gli angeli non spariranno certamente dal cielo cattolico; al contrario, li vedremo più numerosi che mai all’epoca barocca, ma suoneranno sempre meno strumenti musicali. Più eterei, più spiritualizzati, saranno presi da una spirale vertiginosa che li trascinerà al di là delle realtà terrene; oppure, in senso inverso, scendendo dal firmamento per portare agli uomini i raggi della luce che supera ogni chiarore. Il cielo sarà meno umano e più divino
Quel che resta del paradiso, Mondadori, Milano, 2001, pag. 248

(4) Frederick Crane, Extant Medieval Musical Instruments: A Provisional Catalogue by Tipes, University of Iowa Press, Iowa City, 1972, pag. 23.
Geoffrey Bridges, Medieval Portatives: Some Technical Comments , in “Galpin Society Journal”, 1991,pp. 103-116
Molto particolare il caso, non di un organo, ma di una “violeta” ovvero ribeca che ci è pervenuta intatta perché inclusa, a mo’ di reliquia di una reliquia, in una teca in cui è contenuto il corpo mummificato di santa Caterina de’ Vigri [1413-1463] nella chiesa del Corpus Domini di Bologna.
v. Andrea Disertori, Per il culto dei Santi – Una curiosa reliquia di Santa Caterina de’ Vigri” in “Arte Cristiana”, genn.febbraio 2007, pp. 73-76 e Marco Tiella, “The Violeta of S. Caterina de' Vigri”, in “Galpin Society Journal”, 1975,pp. 60-70

(5) v. Anthony Baines [cur.], Storia degli strumenti musicali, Rizzoli, 1983, pagg. 216 ss.
Basterebbe sfogliare i tre volumi del The new Grove dictionary of musical instruments, edited by Stanley Sadie, London, MacMillan, 1984, per “viaggiare” tra i numerosissimi  rimandi a cui rinviano le voci psaltery e dulcimer. La necessità di doverlo accordare su una determinata scala prima di ogni esecuzione  ne ha bloccato lo sviluppo in Europa stante il cromaticismo della musica  rinascimentale. La sua macchinistica trasformazione in clavicembalo l’avrebbe trasfigurato per nuovi linguaggi musicali.
Nella forma di Cimbalom non lo hanno disdegnato musicisti come Béla Bartók e Stravinsky. Ne fanno mezzo di sostentamento agli angoli delle nostre strade ottimi  musicisti “neocomunitari” provenienti dalla Romania .

(6) vedi il particolare e suggestivo angolo visuale prospettato da Isabelle Marchesin in  Les jongleurs dans les psautiers du haut moyen âge: nuovelles hypotheses sur la Symbolique de l’histrion mediéval, in    Cahiers de civilisation médiévale,41, 1998,
Pagg. 127-139

(7) Anne Winston-Allen ha dimostrato che le pratiche rosarianti, uscite dai monasteri domenicani, sono state fin dai primi tempi, appannaggio principalmente delle donne,
Stories of Rose: The Making of the Rosary in the Middle Ages, Pennsylvania University Press, 1997
Carla Bianco [a cura], Musica Peregrina – Presenze della Musica Medievale in Piemonte, Gribaudo, Cavallermaggiore, 1996
Cristina Santarelli, Gli strumenti musicali nella pittura sacra in Piemonte tra la fine del ‘400 e la prima metà del ‘600, in “Studi Piemontesi”, novembre 1994, pp. 381-387
Cristina Santarelli, Musica e immagine. Introduzione all'iconografia musicale , Torino, Trauben, 2000
Carla Bianco [a cura], Medioevo Musicale nel Marchesato di Saluzzo, Gribaudo, Cavallermaggiore, 1996
Silvana Chiesa [a cura], Medioevo Musicale nel territorio di Alessandria, Scolastica editrice, Cavallerleone, 1997
Emanuel Winternitz, Gli strumenti musicali e il loro simbolismo nell’arte occidentale, Boringhieri, Torino, 1982

capitolo del volume:  Giovanna Galante Garrone, Laura Martino, Francesca Quasimodo [curatrici],
 Il restauro della Cappella di San Bernardo a Castelletto Stura, Edizioni Agami, Cuneo, 2007

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