Il risentimento prima della distruzione finale
Scaffale. «Il nazionalsocialismo come dottrina del rancore» di
Menno ter Braak, a cura di Gerrit Van Oord, pubblicato da Apeiron. Torna il
libello che l'autore scrisse nel 1937 per conto del Comitato di vigilanza degli
intellettuali antinazionalsocialisti, da lui fondato insieme a Eddy du Perron
Claudio Canal
edizione del 15.01.2021
I dispendiosi F35 sono stati finalmente impiegati per
bombardare barche e gommoni di emigranti africani avvistati in mare e falciati
poi i superstiti dalle mitragliatrici della nostra guardia costiera. Fermata
l’invasione. Felici i populisti? Qualsiasi cosa voglia dire questa parola
(postdemocratici, postnazifascisti…), no, non sono felici, perché a muoverli è
il rancore che chiede di essere sempre alimentato con un nuovo oggetto, un
inedito bersaglio da prendere di mira. Il risentimento non vuole il rimedio al
male che critica.
ARBITRARIAMENTE e
brutalmente aggiornata in contesto mediterraneo, questa è la tesi sostenuta da
un saggista olandese sconosciuto (a noi): «L’odio contro gli ebrei, se
l’occasione si presentasse, potrebbe essere sostituito con l’odio contro la
Francia negroide… perché gli ebrei altro non sono che uno dei tanti pretesti
per conferire al risentimento un oggetto materiale… gli individui… si rendono
conto che la loro sete di risentimento non verrà placata dalla caccia agli
ebrei, dal credere ai Protocolli dei Savi di Sion né
dall’urlare contro il bolscevismo mondiale».
Lo sosteneva Menno ter Braak in un opuscolo pubblicato
ottantatré anni fa e tradotto in italiano in un gioiello di edizione, Il nazionalsocialismo come dottrina del
rancore (a cura di Gerrit Van Oord, introduzione di Léon Hanssen,
Apeiron, pp. 64, euro 8,90, traduz. Van Oord, Enrico Paventi).
INTELLETTUALE PUBBLICO, «politico senza partito», critico letterario e
cinematografico, pensatore originale, pubblica nel 1937 il suo libello per
conto del Comitato di vigilanza degli intellettuali antinazionalsocialisti, da
lui fondato insieme a un’altra delle figure di spicco dell’epoca, Eddy du
Perron. Ter Braak scrive prima che il nazismo sia quello che la storia ci
consegna. Al divenire del nazismo manca nel 1937 l’essenziale: ancora nessun
pogrom contro gli ebrei ovvero Notte dei cristalli, non Anschluss dell’Austria
né occupazione della Cecoslovacchia, nessun Patto d’acciaio né invasione della
Polonia e guerra mondiale che ne segue, Oswiecim è una sonnolenta cittadina
polacca ignara della sua futura trasformazione nel marchio universale dello
sterminio, Auschwitz, e i nazisti stavano ancora discutendo se fosse il caso,
d’accordo con la Francia, di deportare gli ebrei in Madagascar. «Ma per carità,
signore, i nazionalsocialisti non sono che un gruppetto di poveri
disgraziati!», confida un diplomatico a Menno ter Braak che, immergendosi a
fondo nel presente, riesce a prefigurare il futuro. Non era l’unico: «Domani
nei campi di concentramento sarà troppo tardi per pentirsi: la lotta deve
iniziare quando c’è ancora tempo, prima della distruzione finale», scriveva
Benjamin Fondane nel 1934, in anticipo di dieci anni alla sua eliminazione con
la sorella nella sonnolenta cittadina polacca.
«Il risentimento è un autoavvelenamento dell’anima»,
aveva scritto nel 1912 il filosofo Max Scheler sulle orme critiche di
Nietzsche, ma per Menno non era sufficiente «Il rancore è uno degli aspetti
essenziali della nostra cultura, ne è parte integrante e vi è onnipotente». Il
rancore nasce da una promessa non mantenuta e non mantenibile: esseri umani
siete liberi e uguali! L’ha predicato il Cristianesimo, tutti uguali davanti a
Dio, l’ha introiettato la democrazia, uguali davanti alla legge e al futuro. Questa
promessa oggi ha dimensioni planetarie, miliardi di persone l’hanno ricevuta,
come ci ricorda un po’ troppo astiosamente Mishra Pankaj (L’età della
rabbia. Una storia del presente, Mondadori, 2018). Il rancore acquista il
dono dell’ubiquità globale.
MENNO TER BRAAK,
in un libro anch’esso del 1937, pubblicato nel 1945 in italiano, La democrazia di nessuno ossia del
cristianesimo paradossale nell’Europa moderna (ediz. di Uomo, prefazione di Carlo Bo, di cui è nota solo
una cospicua recensione di Francesco De Bartolomeis su Il Ponte, 1947, n.1)
scriveva: «Se il Cristianesimo non avesse lasciato altre tracce che la sua
dottrina, noi potremmo passare oltre con una risata omerica e contentarci di
schivare odori di putrefazione; ma il Cristianesimo ha disciplinato i barbari,
e la disciplina di generazioni di antenati non ce la possiamo scuotere di dosso
alla maniera dell’anitra che si scuote di dosso l’acqua» e nel libello sul
nazismo avverte che ci siamo dimenticati di osservare per primi noi stessi così
non scorgiamo il risentimento presente anche nella bontà e nella verità. «Il
nazionalsocialismo non è la contraddizione ma il compimento della democrazia e
del socialismo, non è il loro depotenziamento ma ne è invece la loro
perversione».
OGGI NOI NON POSSIAMO disinventare il nazifascismo, che si modifica in
gesti e posture a cui diamo nomi sempre nuovi nel tentativo di ingabbiarlo. «La
vera battaglia sulle regole minime della democrazia comincia solo adesso, nel
momento in cui la democrazia al massimo grado si rivela nazionalsocialista (la
comunità di popolo), e il ‘diritto per tutti’ si rivela come il diritto
riconosciuto a tutti di odiare tutti gli altri, di detestarli e di metterli in
un campo di concentramento».
In una tiepida giornata di maggio 1940, il 10, i
panzer tedeschi entrano nei Paesi Bassi, il 14 gli stormi della Luftwaffe
bombardano a tappeto Rotterdam. A L’Aja, Menno ter Braak si suicida aiutato dal
fratello medico. Lo stesso giorno l’amico Eddy du Perron muore d’infarto. Il
futuro non era loro più proponibile.
Commenti
Posta un commento