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Leda Rafanelli tra islam e anarchia


Claudio Canal

pubblicato su ALFABETA 2       30.10.2017  























Anarchismo islamico? Islam anarchico? I tempi non sono propizi per discuterne, 
soverchiati come siamo da una variante dell’Islam feroce e nazistoide. Ma inquietudini e movimenti di stile anarchico hanno spesso attraversato società musulmane, nel secolo scorso – come documenta il bellissimo libro di Ilham Khuri-Makdisi, The Eastern Mediterranean and the Making of Global Radicalism, 1860–1914. Berkeley: University of California Press, 2013 – in certe apparizioni contemporanee durante le primavere arabe  di confusa memoria e le manifestazioni di Gezi Park ad Istanbul.
Zone Temporaneamente Autonome si sono manifestate ovunque nel mondo musulmano, non così omogeneo e monolitico come noi lo immaginiamo. Radicali quanto basta da preoccupare fattivamente le gerarchie locali, se non fosse che radicale è diventato sinonimo di fondamentalista, integrista, jihadista, terrorista. Islamico, beninteso.

Io credo alla devota sottomissione degli indigeni. Essi sono lieti e orgogliosi di essere guidati, comandati e protetti da noi.” “Non lieti, né orgogliosi, né devoti: rassegnati.” 
Era una voce di donna. Prima pagina de L’Oasi – Romanzo arabo di Étienne Gamalier, uscito a Milano per la Casa Editrice Monanni nel 1929. Erano gli anni in cui, è meglio ricordarlo, nel deserto venivano deportati nei campi di concentramento italiani migliaia di libici che dovevano essere “pacificati” col ferro e col fuoco della macchina bellica di Roma. 
In uno di quei lager un maestro di spiritualità canta sconsolato: Il mio solo tormento / l’impotenza / il castigo / di subire la vita / e di non viverla / gli uomini migliori della tribù / sono oggi considerati come / miserabili degenerati.  Si chiama Rajab Abuhweish, non ha camuffato il suo nome anche se la sua voce da allora non è mai riuscita ad attraversare il Mediterraneo per arrivare alle nostre orecchie. Dietro la maschera dell’inesistente Étienne Gamalier si nasconde invece, come presunta “traduttrice”, Leda Rafanelli. L’Oasi è ripubblicato a novant’anni di distanza da Corsiero Editore per la puntuale redazione della studiosa Milva Maria Cappellini, già curatrice dell’inedito Memorie di una chiromante, Nerosubianco, 2010 e dell’antologia di racconti I due doni e altre novelle orientali, id., 
2014.

Il regime è diventato una dittatura imbevuta di nazionalismo e di miti coloniali. Rafanelli lo sa bene e nella prefazione scrive: L’autore [cioè lei stessa] ha idee personalissime in fatto  di colonie e di popolazioni soggette al dominio europeo. Egli non ripete il solito motivo  della letteratura ufficiale. Nello stesso anno usciva Io, povero negro di Orio Vergani. Libro non spregevole, dati i tempi, ma geneticamente modificato dalla pretesa coloniale della superiorità italiana/europea a tutti costi. Nella scrittura di Rafanelli i protagonisti, le protagoniste soprattutto, vivono invece la piena solidità delle loro esistenze e il loro inedito sguardo del mondo. Non sono figurine di un album da colorare. Nel contesto di un Oriente un po’ immaginifico, oggi diremmo orientalista, ma mai inverosimile. Molto meno catturato dal miraggio che si può toccar con mano nelle narrazioni di un’altra donna irrequieta e dagli occhi pieni di sapienza come Isabelle Eberhardt, che gira a cavallo vestita da uomo per i villaggi del Maghreb e vi muore a ventisette anni.
Lontanissima L’Oasi-Romanzo arabo da quella sorta di etnopornografia che ha ingolfato la letteratura e il giornalismo coloniali, stracolmi di giovani indigene sinuose, loro sì miraggio dei maschi italiani in partenza. Alla base di ogni espansione [coloniale], il desiderio sessuale, scriveva Ennio Flaiano nel ’35 e ha fatto bene Giulietta Stefani e riprenderlo nel suo importante libro Colonia per maschi, Italiani in Africa Orientale: una storia di genere, Ombre Corte, 2007.

Rafanelli ci consegna un altro universo. Nelle sue pagine, per esempio, un vecchio di villaggio tocca un nervo scoperto della colonizzazione: Ha tradito la sua razza che ha sempre anelato la libertà al di sopra di ogni bene. Egli è andato a servire il nuovo  padrone, per ambizione e avidità di denaro, a proposito di un ragazzo che si è arruolato nelle truppe coloniali al comando degli eserciti europei. Leda Rafanelli non poteva sapere che in Eritrea stava circolando un racconto in tigrino di Gebreyesus Hailu che descriveva spregiudicatamente la parabola di un ascaro al servizio degli italiani. Non lo sappiamo neppure noi oggi perché non è mai stato tradotto.

Ma chi è Leda Rafanelli? È nata a Pistoia nel 1880 e morta a Genova nel 1971. 
Musulmana e anarchica. Circumnavigava felicemente tra questi due mari interiori. Per gli addetti ai lavori estranei all’anarchismo è nota solo per una relazione di febbre e di  tormento con Mussolini socialista e direttore dell’Avanti! da lei immediatamente troncata ai primi sentori del fervente interventismo dell’ormai ex rivoluzionario. Guardoni patentati e pettegoli si sono buttati ventre a terra per capire cosa fosse accaduto tra i due. Il futuro duce se la sarebbe cavata con una battutaccia di virile maschiume, come riporta Giancarlo Fusco nel suo libro peggiore, Mussolini e le donne, Sellerio, 2006. Elegante, Leda Rafanelli avrebbe pubblicato e commentato le lettere ricevute in Una donna e Mussolini, Rizzoli, 
 1945 e 1975, combinando magistralmente memoria privata e ricostruzione storica di un momento decisivo della società italiana ed europea: Io ero in uno stato d’animo strano. Comprendevo che si compiva qualcosa di inevitabile. Che l’Europa, la parte di mondo che ha sempre rubato agli altri suolo, prodotti, libertà, autonomia, - dovesse finalmente  pagare le sue colpe era ormai una vicenda in atto. Sentivo che era quasi giusto, logico, che l’Europa soffrisse ciò che aveva fatto soffrire ai popoli conquistati, che comprendesse quale terribile realtà è la violenza delle armi[…] Io soffrivo molto in quel tempo, presaga
 di ciò che doveva avvenire. E non seppi, non volli tacere. In quelle giornate ardenti,  mentre le idee cozzavano contro altre idee, mentre anche alcuni a noi vicini si facevano travolgere dalla corrente che invocava la “guerra liberatrice” – io volli mettermi al sicuro da ogni interpretazione errata delle mie teorie […] soprattutto cosciente esecrazione  della guerra, - del fatto guerra, - e consapevole rinunzia a tutto ciò che è detto gloria – eroismo – valore di marca dinastica militare e borghese. E in una notte di dolorosa passione, turbata e straziata per tutto ciò che succedeva a noi intorno, scrissi un opuscolo che intitolai, a scanso di equivoci, Abbasso la guerra. Questo opuscolo fu stampato in molte migliaia di esemplari, e diffuso in tutta Italia. Naturalmente fu subito sequestrato[…].

L’invettiva dolorante contro la guerra è il tema di molti suoi interventi editoriali, è attivissima sul piano delle lotte antagoniste e sovversive, con i suoi bozzetti sociali alimenta uno sguardo inequivocabile da subalterni, esseri che il romanziere non vede, che lo storico non conosce, perché nessuna caratteristica li differenzia dalla folla nella quale si agitano, sviluppa un femminismo critico consapevole dell’ambivalenza insieme liberatoria e oppressiva della maternità, sa confrontarsi anche con la narrazione avviando la stesura di alcuni romanzi. Con il compagno Giuseppe Monanni dà vita a una delle case editrici più innovative, la Casa Editrice Sociale. Non si fa impressionare dai fuochi d’artificio di Marinetti, fanfarone, esibizionista, il milionario, il megalomane calvo.
Riscuote in pubblico fama di persona piuttosto libera nella sua condotta morale, anche per i suoi principi di libero amore. Ha intelligenza molto svegliata e cultura superiore alla media acquistata con la lettura assidua e con l’assimilazione di libri, opuscoli, riviste sociologiche. Ha frequentato appena le scuole elementari, informativa del prefetto di Firenze del 4 agosto 1908.

Nel 1935 pubblica da Vallardi un coinvolgente racconto per bambini Vedere il mondo. Avventure di due ragazzi eritrei. Anni luce dal quotidiano mangime propinato dalla pedagogia colonialista di regime. Nel medesimo anno esce uno dei testi meno infervorati e compiacenti, Balilla Regale: Romanzo africano per giovinetti, di Arnaldo Cipolla, in cui si può tuttavia leggere: Mentre sfogliava i libri, sotto la luce delle lampade, nella casa antichissima, il suo viso bruno morso dal sole d’Africa, diventava chiaro, roseo.

Nel giovanile viaggio in Egitto Leda Rafanelli collabora con gli anarchici italiani che lì agiscono, scrive sul loro giornale, impara l’arabo. Con l’avvento del fascismo la sua fede islamica diventa l’alterità che le consente di non soccombere alla sintassi del presente. Un islam sincretico, come è stato autorevolmente sostenuto da Enrico Ferri e, con altri accenti, da Barbara Spackman, ma non fittizio, in cui confluiscono spiritualità diverse. Traslato anche in uno smagliante modo di vestire che scombussolava i compagni anarchici. Una islamofilia la sua? Può essere. Capace di vedere l’oscuro: islam e modernità. Sicuramente 
in anticipo sui tempi se è da seguire l’invito di Fatima Mernissi a distinguere sempre tra islam come fede e islam come religione di Stato. Leda Rafanelli decreta che anarchismo, islam, sufismo, femminismo, piramidi egizie, antifascismo, yoga rispondono solo alla sua giurisdizione interiore.




















Morirà a novantuno anni, sopravvivendo al figlio Marsilio, Aini-Occhi miei in arabo. Gli ultimi decenni della sua vita li vivrà in disparte, qualche collaborazione al giornale anarchico Umanità Nova, insegnamento dell’arabo e pratica della chiromanzia, come una vera strega postmoderna. È un dono che sento di possedere fin da bambina […] ma la chiromanzia non è una scienza e dubito assai di tutti i maestri delle scienze occulte [] io ho solo l’istinto e un senso segreto e inspiegabile mi guidano.
Disinnescata dalla memoria imperante, Leda a poco a poco ricompare. L’edizione dei romanzi citati, qualche interesse accademico e militante, uno studio/antologia di scritti  dagli USA: I belong only to myself. The Life and Writings of Leda Rafanelli, di Andrea Pakieser, AK Press, 2014, una superba graphic novel Leda. Che solo amore e luce ha per confine, di Sara Colaone, Francesco Satta, Luca de Santis, Coconino Press, novembre 2016.
Leda/Djali: Mi sono donata questo nome, oltre il bel nome che porto,/ poi che Diali vuol dire: di me stessa, / ed io ho sempre appartenuto solo a me stessa.



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