Block notes / Torino on the move
Claudio Canal
Torino always on the move era
il marchio di fabbrica della città ai tempi delle olimpiadi invernali.
Decantato con successo anche dopo. E il move si è
dialetticamente materializzato sabato 3 giugno nel salotto buono della città.
Scontro frontale. Trentamila
persone in delirium tremens ne contagiano a distanza altre migliaia, ignare
della video partita, che si mettono a correre gridando. Uno tsunami morale. La
movida diventa la corrida dove tutti sono contemporaneamente toro e toreador e
picador. In effetti siamo ad Augusta taurinorum.
Nerboruti e palestrati androidi se la danno a gambe. Una folla impaurita dal
boato che la stessa folla ha prodotto. Calpestati e calpestanti senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione. Cocci aguzzi di
bottiglia.
La
maniglia antipanico è già stata inventata. Non ancora il vaccino. Il panico è
pandemico per definizione e non scarta nessuno. Bisognerebbe forse ripristinare
le sirene d’allarme e i rifugi, di cui restano tracce in alcuni edifici
d’epoca.
Il terrorismo terrorizza. La terza guerra
mondiale in atto ferisce per prima la mente. Si chiama autoterrorismo. Un’orgia
di vade retro, di gomitate, di sfondamenti, di
individualismo collettivo surriscaldato dal convulso uotsappamento.
Millennial Caporetto e pietà l’è morta. A scelta.
Alla
fine il salotto-buono-della-città è la terra desolata di cumuli di scarpe
perdute, di cellulari infranti, di borse e zainetti dispersi.
La
colonna infame . Ossessionati dalla sicurezza, amministratori, politici, alti e bassi
funzionari di Stato, periti securitari, giornalisti
improvvisati, hanno gridato al lupo! individuato
nei carretti faidate dei venditori abusivi di birre in bottiglia [i locali chic
dei paraggi notoriamente vendevano solo camomille]. Le quali bottiglie erano
acquistate da solleciti compratori abusanti. È il mercato, bellezza. Domanda,
offerta. Domanda, offerta.
La megamacchina del mercato ci deforma tutti, politici
e cittadini qualunque. Ci rende inetti.
Era il primo maggio piovoso e tu solevi
sfilare in corteo con lo spezzone dedicato ai centri sociali. All’imbocco della
medesima piazza salotto-buono-della-città reparti di polizia in assetto di
guerra e con bava alla bocca te lo impedivano a suon di randellate e calci in
pancia. Era in nome della sempiterna sicurezza che
ti pestavano. Un affetto mi preme acerbo e sconsolato.
Apocalypse NO .
A terra c’è Kelvin. Non Wei, Yong o Tsong. Kelvin, bambino
italo-cinese venuto a tifare Juve con la famiglia, sorella e genitori. È stato
calpestato. Intervengono prima un tifoso juventino, Federico, poi un italo-africano, Mohammad [ripeto: Maometto]. Lo mettono in salvo
dal caos brutale. Non sono eroi. Non mancano i delinquenti tra i tifosi e gli
immigrati. Loro sono sicuramente riusciti a restare umani.
Per strada porte che si chiudono, altre
che si aprono. Un bicchiere d’acqua e un calmo pianto liberatorio. Una umanità
dolente invade i pronto soccorso cittadini e dintorni. Da bolge si tramutano
nella notte in veri centri di accoglienza. Chilometri di fili di sutura per il
popolo sanguinante, politiche del sorriso e della parola giusta al momento
giusto. La grande bellezza. La Torino on the love.
L’apocalisse
è rimandata.
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