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UNA PEDAGOGIA PER LA RETE?


UNA PEDAGOGIA PER LA RETE?
UNA RETE PEDAGOGICA?


Ho pubblicato su Gioventù Evangelica n. 232, 2015  - gloriosa rivista che da 64 anni propone idee e confronti coraggiosi - un articolo, che ha meritato un titolo da brivido Le conseguenze della "digi-mediatizzazione". Lo modificherei  in un più casalingo Una pedagogia per la rete? Una rete pedagogica^

                                                Io sono un mortivo digitale, non un nativo. Buona parte della mia vita è trascorsa senza internet, google, facebook, skype, youtube, twitter, ecc. I computer – che chiamavamo esplicitamente e più correttamente calcolatori - erano una faccenda per militari e fisici cibernetici. 
DATA CENTER, INDIANA UNIVERSITY, USA
Morirò invece digitale. Pare che nell’aldilà non ci sia campo, tuttavia, salvo apocalissi, terremoti, incendi, inondazioni, terrorismo, non scompariranno con me le immagini, le parole, i suoni, che ho riversato nella rete. Sopravvivranno nei data centers [1] sparsi nel mondo, ma soprattutto, guarda caso, negli Stati Uniti. Questi forzieri del virtuale, dell’immateriale, dell’etere, delle clouds, dell’elettronica invisibile, hanno una straordinaria somiglianza con le arcinote e pesanti fabbriche, figlie di una precedente rivoluzione: kombinat di giganteschi capannoni di cemento colorato da cui esce un fumo denso, che è il vapore dei condensatori di raffreddamento. Mancano solo le ciminiere. Non mancano invece i padroni, il capitale, i lavoratori, la merce, lo sfruttamento e il plusvalore dell’economia cognitiva.
GOOGLE DATA CENTER, OREGON, USA

Dove batte il cuore di internet, dice il signor Google
qui.
GOOGLE DATA CENTER, SINGAPORE
     Questo richiamo materialistico mi permette anche di prendere le distanze dalla parola guida di questo fascicolo di GE, comunicazione. Se fai anche solo due passi nel suo campo semantico ti accorgi che non si tratta di campetto, ma di galassia. Gli esseri umani comunicano fra di loro nei diversi modi che sappiamo, e anche non sappiamo, dentro di loro comunicano neuroni, sinapsi, cellule varie, batteri e virus, che però se ne vanno spesso fuori e comunicano assai, tanto che si dice che qualcosa è diventato virale. Comunicano tra di loro gli animali non umani, piante, stelle e pianeti, protoni e neutrini. Anche Dio (gli dei, secondo alcuni) si è dedicato molto alla comunicazione, anche l’università, infatti ci si laurea in scienze della comunicazione, studiando quella politica, aziendale, sociale, visiva, non verbale ecc. E’ tutto un gran loop comunicativo. Potrei proseguire nella tiritera e perdermi nei dedali. Invece s-comunico ipso facto la parola comunicazione per il suo surplus di significati e di usi. Si sa che distrugge di più l’abbondanza che la scarsità, basta dare uno sguardo in giro.

     Dunque, non abito il medesimo tempo storico di un/una sedicenne. Non è né un pregio né un difetto. E’ un fatto, e non un fattoide, come quelli che circolano spesso in rete. Appartengo ad una specie in via di estinzione che percepisce internet, smartphone, tablet, i media che ne derivano, come una rivoluzione che entusiasma e fa paura. Che la considera come una mutazione che procede con una rapidità evolutiva esponenziale. Che ha cambiato la mia vita, i miei tempi, il mio immaginario. Non so se sta cambiando i miei neuroni. Certi studiosi dicono che li sta cambiando a tutti. So che mi ha cambiato. Ci vorrebbe un Darwin della rete per interpretare le modifiche in atto al genoma culturale e, eventualmente, biologico. Quello sociale è in pieno subbuglio. Io penso di appartenere all’homo sapiens, il/la sedicenne all’homo sapiens sapiens. Io sono come l’amanuense stordito e affascinato dall’invenzione della stampa, il/la sedicenne come il martinlutero che la fa sua potenza. Un po’ dopo è stato scritto il galileiano Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e anche l’Index librorum prohibitorum che lo mandava al rogo, a conferma dell’ambivalenza delle tecniche. Ci sono voluti però alcuni secoli perché la capacità di lettura/scrittura diventasse una abilità acquisita da quasi tutti, mettendo in piedi a questo fine un’apposita istituzione costrittiva detta scuola che impiega anni a generare questa competenza, che in sé non ha nulla di “naturale”.
foto Erin Pratice O'Brian
     Ci vorranno secoli anche per imparare a usare la rete e tutta la turbotecnologia che ne deriva?  Siamo in pieno mediaevo in attesa dell’auspicato rinascimento? Quello che sappiamo è che l’evoluzione dei sistemi tecnici avviene in modo compatto, niente viene scartato, così noi non conosciamo in anticipo ciò che sarà dannoso, quali saranno le controindicazioni di una certa tecnologia. Almeno questo il vecchio Novecento ce l’ha insegnato anche se molti sembrano oggi dimenticarlo. E qui, come un fungo, spunta la domanda: si rende necessaria una pedagogia del web [2]? Come è avvenuto per la lettura/scrittura e affini dovremo sorbirci per anni e anni una manualistica di precetti, buoni consigli e svolazzi di retorica filosofica? Vista l’accelerazione in atto forse non ci tocca più pazientare per secoli. E’ già tra di noi, chissà,  un John Dewey collettivo, una Maria Montessori come piattaforma pensante, un Anton Makarenko efficace e un po’ meno drastico. Forse. Ma non lo sappiamo. Noi siamo i mutanti interni alla mutazione, ci costa un bel po’ di fatica distinguere l’orizzonte mentre le onde tecnologiche ci sballottano di qua e di là e qualcuno sta anche affogando. Todo cambia. Per la prima volta nella storia, l’ultima generazione possiede un sapere che non gli è stato trasmesso dalla precedente di cui spesso diventa addirittura maestra. Se l’è fatto, questo sapere, usando fin da piccola principalmente i pollici, un digit, appunto. Pollicino/a li chiama Michel Serres [3]

Infatti c’è chi, Sugata Mitra in India [4], ha distribuito ai bambini delle baraccopoli dei computer con cui si sono presto familiarizzati e auto istruiti. Un esperimento innovativo e controverso.  La riabilitazione del pollice per me è più lenta per cui non posso arrogarmi nessun diritto a emettere sentenze. La scheda madre dei miei pensieri è ancora del tutto analogica e quindi reagisce a modo suo alla tecnologia barocca, come l’ha definita Mario Tozzi [5]. In un eventuale blog di media education mi piacerebbe comunque discutere, tra gli altri, di questi temi:

-         Favij è un simpatico ragazzo di Borgaro Torinese che ha un canale su youtube dove intrattiene i visitatori [più di un milione di iscritti] mentre commenta il videogioco in cui è impegnato. Il modello è il videotuber americano PewDiePie che di iscrizioni ne ha più di trenta milioni; Aaron Swartz, geniale informatico di Chicago, nel 2011 è stato arrestato per aver scaricato quasi 5 milioni di articoli scientifici dal database accademico JSTOR, convinto che la ricerca debba essere gratuitamente disponibile a tutti. Si è impiccato nel gennaio del 2013, a 26 anni [6]
AARON SWARTZ

Steve Jobs, siate affamati, siate folli, va bene, santo subito, qualcosa però non mi convince di questo intoccabile pezzo grosso della tecnologia e degli affari. E’ sensato discutere delle profonde differenze tra questi [e altri/e] eroi della rete o questa li equalizza tutti?

-         Quanto ci vorrà affinché gli studenti di medicina affrontino nei loro corsi di anatomia anche quell’organo chiamato smartphone con cui ci addormentiamo, mangiamo, stiamo al volante, andiamo al cesso e passeggiamo? Con cui siamo sempre altrove rispetto a dove effettivamente siamo con il resto del corpo. Chi ha incorporato chi? La fisica quantistica dovrebbe prestare più attenzione a questo entanglement che si verifica sui marciapiedi urbani. Personalmente, come un fotone orbo, mi sono già scontrato due volte con questi altrovisti a passeggio. Dice il filosofo Altan: 
  E’ record. Ogni telefonino possiede un italiano.

-         Le merci non possono andarsene da sole al mercato e non possono scambiarsi da sole. 
              Incipit di uno dei primi capitoli di un libro ottocentesco intitolato Das Kapital [7]. Falso! Quando accedo a FaceBook o a Google, io non sono un cliente, un consumatore né un timido visitatore. Io sono il tipo che firma questo pezzo, ma in quel momento sono una merce, un prodotto che il signor FB/Google vende a terzi interessati a conoscermi per poi vendermi a loro volta altre merci, materiali e, soprattutto, spirituali. Sono andato di mia volontà al mercato, da solo, contrariamente a ciò che sostiene l’ottimo autore di quel libro. E’ la prima volta nella storia [di nuovo] che noi facciamo i sorvegliati speciali di noi stessi, che ci autoschediamo come nudisti del digitale. Siccome siamo ben più di un miliardo a frequentare quel mercato ambulante, non ci vuole molto a fare i conti. Non si tratta solo di tintinnanti soldini, ma di gusti, abitudini, idee, costellazioni di emozioni. Io ci metto la mia bella face, da narcisista che sono, e loro mi concedono di chiacchierare nel book con altre merci, dette anche profili. Più spiattello la mia intimità, più mi esternalizzo, e più faccio felici tutti e più quei capannoni di cemento colorato di cui si diceva all’inizio si riempiono di me. E’ vero, posso anche mettermi d’accordo con altre immagini, altre faces della mia rete di amici, invitarli a scendere in piazza a dirgliene quattro ai cattivi del mondo. Pare che sia successo qualche volta, non è sicuro. E’ più probabile che, conoscendo la nostra intimità [coscienza?] e le nostre periferiche personali, sia più facile monitorare movimenti sociali inconsulti, prevederli, guidarli o forse anche bloccarli sul nascere.
Il signor Google mi conosce così bene che quando lo interrogo mi dà risposte diverse da quelle che dà ad una mia amica. Googlizzazione del mondo si chiama [8].
Adesso smetto un momento di scrivere e controllo quanti mi piace ha raccolto un mio recente post su FB.

-         Il piacere di esplorare, vedere, ascoltare, conoscere, giocare, sognare che dà la connessione lo conosciamo tutti e tutte. Alle volte mi sembra di sentire le endorfine che schizzano di qua e di là nel cranio. La Ricerca ancora ieri occupazione di lusso, sta per diventare funzione primaria, e addirittura principale, dell'Umanità…Pianetizzandosi l'Umanità acquista nuovi poteri fisici che le permettono di super-organizzare la Materia.  Proclamava più di sessant’anni fa Pierre Teilhard de Chardin
[9, paleontologo e teologo gesuita vituperato dal Vaticano, e ragionava di uno strato pensante della terra, una complessa membrana di conoscenza che avviluppa il mondo, un sistema nervoso, tecnologico, planetario, un involucro pensante.  La ritmica dell’evoluzione ha portato a questo stadio che altri hanno poi chiamato intelligenza collettiva o connettiva o General Intellect e un filosofo arabo del medioevo intelletto agente [10 ]. La rete è solo una metafora di Dio? E’ una finestra o uno specchio? Di sicuro è un vero power point erotico che ci seduce, corpi e anime. Il suo incanto genera misticismi, soggezioni, creazioni, orgasmi, innovazioni, felicità e sofferenza. Ma si offre anche ad essere plasmata, come ricorda spesso Luca De Biase[11].

 Scandirne la composita metrica potrebbe essere un buon progetto formativo, capace anche di gettare uno sguardo, tra l’altro, sulla città dolente che sta sotto la rete, lo sterminato deep web [12], o sugli sciagurati algoritmi che regolano gli automatismi dello high frequency trading e di conseguenza le nostre vite collettive [13].

bell hooks
-         









       La rete ha ripristinato lettura e scrittura che con la televisione sembravano soppresse. Buon segno per i nostri cervelli intorpiditi. Ci inonda però di informazioni che hanno la tendenza a formattarci [in.formazione] secondo lo spirito dominante del mondo. Ad ogni idea corrisponde una controidea, ad un fatto un fatto contrario, generando in noi un equilibrio statico poco propenso a scelte radicali e conflittuali. Un notissimo sociologo l’ha definita società liquida. Nel mio piccolo preferirei società molliccia, in cui ognuno si appiccica a chi e dove può, salvo poi scontrarsi con le granitiche rocce delle gerarchie sociali intoccabili, del dogmatico asservimento al libero mercato cosiddetto, delle intangibili oligarchie palesi e mascherate, della mascolina prepotenza dei forti. Il profluvio informativo della rete è paralizzante. Richiede, come per la sibilla Cumana [Sibilla Cooman per gli harrypotteristi], un formidabile lavoro di interpretazione il cui luogo privilegiato potrebbe continuare ad essere l’aula scolastica che con tutti i suoi limiti, resta un luogo del possibile, come dice bell hooks[ 14].
 L’apprendimento non può ridursi a realizzare il back up della nostra esperienza, deve produrre crepe e rotture e non consolidarci in ciò che già siamo.

A questo punto mi propongo una dieta mediatica. Assaporare l’offline come primo step di autodidattica. Ne approfitto per andarmi a leggere la Dichiarazione dei diritti in Internet appena presentata. [15 ]

Le note che seguono non erano presenti nella copia cartacea

Acxiom, Rock, Arkansas, USA

[1] non mancano materiali sui Big Data, anzi. 
Segnalo:
Daniele Pizio, Silvano Cacciari, Insorgenti dentro i big data, 
in  Il Manifesto, 03.07.2015: qui.

Lavoro dal "volto umano" sui Big Data: Alexander Pschera, Dataismo. Verso i Big Data. Critica della morale anonima, a cura di U. Villani Lubelli, eBook, goWare ed. 2014.
Tra le imprese più coinvolte con i servizi segreti, ACXIOM: qui

e Palantir Technologies, struttura della CIA qui.
Palantir, Palo Alto, California, USA












Sul rilievo  anche economico dell'analisi dei big data in Italia: Big Data: da Data Insight a Data Driven Strategy, qui  
In conclusione, non farebbe male a nessuno rileggersi certe osservazioni di Evgeny Morozov, Socialize the Data Centres!, in New Left Review 91, january/february 2015, qui

[2] abbondano ricerche, documentazioni, riflessioni, in libri, riviste, siti. Io mi trovo abbastanza bene qui : Hibrid Pedagogy - a digital journal  of  learning, teaching, and technology 
                                  
[3] vedi: Michel Serres, Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere, Bollati Boringhieri, Torino, 2013. In originale Petite Poucette
Aveva scritto cose non banali  Stéphane Bonnéry, A propos de la crise de la transmission scolaire, in  Pensée plurielle, 2006, 1, qui
Un po' trionfalistico, ma ricco di spunti sparpagliati: Henry Jenkins et al. Confronting the Challenges of Partecipatory Culture. Media Education for the 21st Century, The Mit Press, Cambridge, Massachusets, 2009 e, ancora attuale, H. Jenkis, Cultura convergente, trad. di variMaggioli, Sant'Arcangelo di Romagna, 2014 [prima ed. 2007], significativa prefazione di Wu Ming leggibile qui
Dello stesso Henry Jenkis, con Sam Ford e Joshua Green, Spreadable Media. Creating Value and Meaning in a Networked Culture, New York University Press, 2013, illuminante sulle trasformazioni dei social media.

[4] per una auto-osservazione critica dell'esperimento, vedi, Sugata Mitra, Ritu Danwal,   Limits to self-organising systems of learning—the Kalikuppam experiment, in British Journal of Educational Technology,  Vol 41 No 5 2010qui.  Più severo Torn Halves   con Sugata Mitra and the new educational Romanticism - parody  qui.   
Risultato di una approfondita indagine sul campo: Arora Payal, Hope-in-the-Wall? A digital promise for free learning in British Journal of Eucational Technology, 2010, 5, qui.
Di Sugata Mitra vedi Il buco nel muro. Come i bambini delle bidonville imparano usando liberamente il computer, Effatà, Cantalupa [To], 2011

[5] Mario Tozzi, Tecnobarocco. Tecnologie inutili e altri disastri, Einaudi, Torino,  2015 

[6] un interessante e documentato ebook, curato da Bernardo Parrella e Andrea Zanni dal titolo Aaron Swartz (1986-2013) Una vita per la cultura libera e la giustizia sociale è scaricabile gratuitamente qui

[7] Karl Marx, Il Capitale. Libro I, Sezione I Merce e Denaro. Capitolo 2: Il processo di scambio - Incipit

[8] la letteratura sul ruolo fondante e trasformativo di FB/Google è ormai sterminata. E' sufficiente far riferimento ai nomi di chi ci ha lavorato: Eli Pariser, Geert Lovink, Byung Chul Han. Forse bisognerebbe prendere sul serio l'invito di Mark Zuckerberg a rileggere il grande Ibn Khaldunqui.
qui la traduzione in italiano del famoso ( e datato?) articolo di Geert Lovink: The googlization of our lives.
Sullo stesso versante:, Siva Vaidhyanathan, La grande G: come Google domina il mondo e perché dovremmo preoccuparci, Milano, Rizzoli/Etas, 2012: siamo merce calda, privacy zero, "Google determina la nostra visione del mondo". Pessimismo d'autore.
Ci ho scherzato sopra  Noi, pipol ov feis buk  qui.

[9] mi tocca essere poco elegante, rimandando ad un mio articolo qui su Pierre Teilhard de Chardin.

[10mi riferisco a Ibn Sida o Avicenna (980-1037) come ha chiarito Pierre Lévy in un libro ormai classico L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 1996

[11 ] Luca De Biase, Homo Pluralis. Esseri umani nell'era tecnologica, Codice, Torino, 2015, ricco di suggestioni. 

[12] che si parli poco del deep web, delle bolge che stanno sotto la rete che noi navighiamo, non deve stupire. Più difficile capire perché non si voglia conoscerne di più. Un bellissimo libro di Carola Frediani, Deep Web, La rete oltre Google, Quintadicopertina, Genova, 2014, scaricabile qui in formato pdf per € 3,99.

[13] Transazioni ad alta frequenza (HFT) è la traduzione di questo sistema surrealista in cui algoritmi robotici sempre più complessi consentono con maxi-computers di spostare masse enormi di denaro in millisecondi. Non si tratta solo di astratte architetture matematiche, ma di concrete linee in fibra ottica, super veloci e super criptate, come la Project Express che passa sotto il Nord Atlantico per  quasi 5000 km collegando New York con Londra. Super criptate: la dice lunga sul carattere manipolatorio ed arbitrario di queste linee possedute da imprese/finanziarie private, vedi qui .
Tecnologicamente questi algoritmi sembrerebbero già superati perché impostati sulla velocità e non sull'interpretazione, il che suppone algoritmi/macchine intelligenti, in grado di imparare e non solo di correre, vere Intelligenze Artificiali. I fondi di investimento che li stanno già usando qui, chi ne prevede un uso terroristico qui  e chi li sta sviluppando qui.

[14] bell hooks, Teaching to Transgress. Education as a practice of freedom, London, 1997,pag. 207


[15] Vedi qui
In conclusione suggerirei per il minestrone due ingredienti di gusto:
Byung-Chul Han,  Nello sciame: visione del digitale, trad. di Federica Bongiorno, Roma, Nottetempo, 2015 
e
Nick Dyer-Whiteford, Cyber-Proletariat: Global Labour in the Digital Vortex, London, Pluto Press, 2015

Commenti

  1. La tanto decantata mente informatica non è ancora comunque in grado di costruire una matassa di comprensione come tu dimostri di saper fare. La nostra mente resta comunque superiore alle frazioni di essa ed alle espressioni delle sue frazioni, come il tuo testo dimostra.Un abbraccio. Fulvio

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