Quando l’amore divino rompe la gabbia della decenza
Ho pubblicato su Il Manifesto del 14 dicembre 2014 questo articolo, qui in versione non tagliuzzata:
Non
ho capito la metà di questo libro. Ma l’altra metà mi ha folgorato, per la
traiettoria di nuovi sguardi che riesce a offrire. Qualcuno, che non l’ha
letto, ha preso il titolo Il Dio queer e l’ha tradotto in base al
proprio vocabolario mentale: Il Dio frocio, il Dio ricchione, poi ha imprecato
ad alta voce bestemmia!
Il
libro, pubblicato dalla casa editrice valdese Claudiana di Torino [pagg. 315, € 24,50] nella collana Piccola biblioteca teologica, presenta
per la prima volta al pubblico italiano un lavoro organico della teologa
argentina Marcella Althaus Reid, nata a Rosario nel 1952 e morta nel 2009 ad
Edimburgo dove insegnava teologie
contestuali da alcuni anni. Colpita al seno da un tumore di genere.
Nel
2000 aveva pubblicato Indecent Theology.
Theological Perversions in Sex, Gender and Politics, Routledge. L’avevo
trovato meno impenetrabile, più vitale e ironico, mentre in alcune parti de Il Dio queer Marcella Althaus Reid sembra
quasi parlare in lingua, una specie di glossolalia visionaria non sempre facile da decifrare. Chi legge
può fortunatamente appoggiarsi sull’ampia introduzione di Gianluigi Gugliermetto
che, oltre a tradurre impeccabilmente l’arduo testo, offre una presentazione
complessiva e approfondita del pensiero
della teologa. La postfazione di Letizia Tomassone ne coglie alcuni aspetti
basilari che danno la rotta alla lettura. E’ invece saltata la dedica
dell’edizione originale: Questo libro è
dedicato a tutti i miei amici e amori ed a tutti coloro che nella vita vanno
come me “liberi e s-catenati”, cercando Dio in mezzo agli amori, gli amorazzi e
tante solitudini. Peccato, era un motivo non marginale di questo cacofonico
sconcerto teologico. Anche un
classico indice dei nomi non avrebbe
guastato.
MARCELLA ALTHAUS REID |
Per
scompaginarci la teologa argentina non
esita a bistrattare il linguaggio mettendo a dura prova i nostri nervi,
impaurendoci e lasciandoci, come minimo, frastornati. Titoli di alcuni
paragrafi: Dio voyeur, Trinità come
orgia, Dio come sodomita, Eiaculazione precoce: Dio in transito, Sodomizzare
l’ermeneutica, Teologia della liberazione pubica. Fuochi d’artificio
linguistici che testimoniano l’impegno a nominare e rinominare, a produrre
nuove metafore piuttosto inedite, ma non indicibili, come sembrerebbe a prima
vista. Infatti, chi è il Dio queer? E’ il
Dio che è andato in esilio con il popolo di Dio ed è rimasto con loro. Un
Dio fluido e instabile, clandestino,
indocile, un estraneo che sta davanti alla porta del nostro attuale ordine amoroso ed economico. Un Dio che fa
coming out della sua marginalità e della sua onni-sessualità che oltrepassa qualsiasi dogmatica
dell’eterosessualità. Ma che genere
di Dio è? E’ un Dio sfrenato e
poliamoroso, il cui sé si compone in relazione ai suoi abbracci multipli e alla
sua mancanza di definizione sessuale. Dio è un mescolamento di generi. Un Dio che non disdegna gli eccessi, pieno
di desideri trasgressivi a causa del suo amore per gli esseri umani.
La
teologia della liberazione di matrice latinoamericana, da cui Marcella Althaus
Reid rivendica la provenienza, ha visto il corpo affamato, il corpo emaciato,
il corpo torturato e sfruttato, ma non il corpo sessuato. In questo modo ha scansato
le turbolenze dei corpi scalpitanti di desiderio e di piacere, lasciando così
intatto l’ordine eterosessuale che la Conquista
europea dell’America Latina ha imposto fin dall’inizio, facendosi forte di una
presupposta e fondante eterosessualità di Dio. E’ stata l’ingiunzione di una decenza che ha scaricato nell’indecente tutto ciò che fuoriusciva dal
canone, tutto ciò che non combaciava con l’ideologia sessuale europea, cioè la teologia, rendendo impossibile e
illeggibile la presenza di Dio tra le “impurità” del mondo, tra i corpi del reato.
Avendo
bene in mente che la teologia queer è
una teologia materiale che prende i corpi sul serio [qualcuno ha visto i santi e le sante in mutande?] l’autrice va alla
ricerca nelle società latinoamericane di tracce di indecenza e di abiezione
sopravvissute in pratiche religiose e sessuali estromesse. L’abietto, il gettato fuori di sé, come etimologia e
Lacan insegnano, costituisce spesso il contrappunto proibito e sovversivo in opposizione
all’ideologia dei corpi asserviti e disumanizzati. Uno dei gradi di lettura
postcoloniale più appassionanti di questo libro.
A
costruire il circolo ermeneutico
libertino, come lo chiama Marcella Althaus Reid, vengono convocati De Sade,
Bataille, Klossowski, Deleuze, oltre a Hélène Cixous e Judith Butler, tra le
altre.
ALEJANDRA PIZARNIK |
Cruciale il ricorso alla connazionale Alejandra Pizarnik [moderatamente presente
nell’editoria italiana], grande poeta estenuata dall’orrida decenza propugnata
dalla giunta militare argentina, e al
porteño Federico Andahazi, autore de
L’anatomista, romanzo in cui scoperta
dell’America e scoperta del corpo femminile orgasmico si intrecciano nelle persone
di due omonimi italiani, Cristoforo e
Realdo Colombo. Gira e rigira la mobilitazione di queste intelligenze e una fine
esegesi queer di alcuni luoghi
biblici [Sodoma, Lot, Raab…] ci conducono ad uno dei cardini del cristianesimo
non imperiale: l’inno cristologico presente nella Lettera ai Filippesi di Paolo in cui si afferma che Dio, in Cristo,
si è spogliato volontariamente della sua divinità per prendere la forma di
servo, di ultimo tra gli ultimi. Uno svuotamento e dissolvimento delle
prerogative divine che ha sempre ispirato i gesti antagonisti al dispotismo
dell’Onnipotente e dei suoi ultrà. E’ la kenosi
[kenoo=io svuoto], in cui la
mascolinità dei cieli si perde nelle identità fluide, ambivalenti e arrabbiate,
in cui Dio esce dai nascondigli della eterosessualità, si incammina nei vicoli
bui che lo portano fuori strada. Un
Dio de-genere che prende corpo, una incarnazione in cui la carne è vera carne e
sangue che pulsa. Un Dio che non può essere cooptato da nessuno, non è embedded ad alcuna neo ortodossia né
femminista né queer. Proprio per
questo è tuttavia un Dio queer,
instabile, fluido, trasversale, promiscuo, obliquo, forse perfino un po’ goffo,
che sta fuori della legge, ma nella giustizia, che transita in quei territori
dove donne e uomini stringono imprevedibili amicizie e amori, non importa con quale etichetta di genere,
dove la sintassi normativa della eterosessualità retrocede senza fallo, dove
qualcuno è pronto a mostrare il culo alle
multinazionali. Per Marcella Althaus
Reid, matrice Paulo Freire e la pedagogia
degli oppressi, è un’etica della
passione e i corpi innamorati di un amore indecente che la vivono,
sovvertono le modalità di organizzazione sociale e di produzione degli scambi economici
e affettivi. E’ queer ciò che dubita di questa normalità espressa
dal capitale, interpretando il capitale come qualcosa che si riferisce anche
alle relazioni.
Un’escatologia dei corpi abietti in rivolta che promette
bene oppure riconferma della sua smagliante solitudine?
per le vaste masse lettrici del mio blog ecco qui le indicazioni per seguire l'imprescindibile Alejandra Pizarnik in italiano:
La figlia dell'insonnia, a cura di Claudio Cinti, Crocetti, Milano, 2004, antologia di poesie con testo a fronte,
La contessa sanguinaria, a cura di Francesca Lazzarato, Playground, Roma, 2005, prima opera in prosa di Alejandra, premonizione di un futuro imminente,
Una stagione all'inferno. Iniziazione e identità letteraria nei diari di Alejandra Pizarnik, Mazzanti, Venezia, 2012, versione Kindle.
L'ultima edizione del curioso romanzo di Federico Andahazi L'anatomista sembra essere quella Sperling & Kupfer del 2006. L'avevo letto in un edizione Frassinelli 1996 o 97.
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