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CULTURA, ADDIRITTURA

di claudio zotico canal

Non c’è città o borgo italiano che non celebri il suo bel festival culturale dove sfilano, in genere, noti intellettuali d’intrattenimento di ogni ordine e grado di cui il paese rigurgita [non è una cattiveria: controllare i nomi alla ribalta].
Non c’è festival che non registri un crescente successo di pubblico.
Non c’è assessore alla cultura che non stia rimuginando sulla prossima edizione del suo festival, cioè come far piovere “cultura” là sotto, ai suoi concittadini.
E’ una particolarità tutta  italiana. Bella. E impossibile. Perché mentre le piazze si riempiono e le code per gli “eventi” si allungano, le librerie si svuotano. Siamo l’ultimo paese [il penultimo, forse] d’Europa quanto a lettura. Lo scorso anno su 100 persone, 57 non hanno preso un libro in mano. Se gli italiani sono suppergiù 60 milioni, vuol dire che più di 30 milioni non sfogliano un libro neanche a regalarglielo. Tra questi i maschi primeggiano: ha letto almeno un libro nel corso dell’anno il 36,4% degli uomini, contro il 49,3% 
delle donne.

Forse qualche ragionamento su questo divario, piazze piene/librerie vuote, varrebbe la pena tentarlo [quello tra uomini e donne è più impegnativo e lo lascio ad altre]. A cosa servono i festival culturali?  non dovrebbe essere una domanda-bestemmia. Io penso che sarebbe bello che ce ne fossero di più, ancora più capillari e duraturi, ma impacchettati in altro modo.  Oggi sono un gran bell’evento mondano, un salotto urbano che consente a tutti di dire, in primo luogo a se stessi, io c’ero, c’era anche Tizio, Caio e Sempronia. Ci rivediamo. Bella gente.

Qualche domanda anche  su chi li fa marciare i festival non guasterebbe. Intendo quell’universo di precari e precarie del lavoro cognitivo che prestano [prestano?] la loro forza lavoro, spesso gratuita, per fare in modo che il festival sia una festa. Loro sanno benissimo che con la cultura non si mangia,  come declamava una macchietta, sediovuole scomparsa dall’orizzonte politico. Su come appropriarsi dell’intelligenza collettiva disponibile, madre di tutti i festival di cultura è stato il Premio Grinzane di Torino, allegramente finito nel dimenticatoio invece che sui manuali intitolati Come non fare cultura, qualsiasi cosa voglia dire questa parola tuttofare.

A proposito di Torino, prendi i festival musicali Jazz e Mozart [lo scorso anno Beethoven]. Vuoi parlarne male quando la gente gremisce le piazze sotto la pioggia? No, non voglio fare il bastiancontrario come da copione. Mi piace che ci sia un bel concertone in piazza. Uno, però. Il resto vorrei 1000 concerti, 1000 laboratori, 1000 incontri e confronti, corsi e ricorsi, lungo tutto l’anno, in tutte le scuole, dalle materne all’università, Torino e dintorni. Spendendo un decimo dei soldoni sborsati per Festival con la effe maiuscola. Dici che i cameramen non accorrerebbero e i giornalisti al guinzaglio   non si spintonerebbero più per intervistare gli assessori competenti? Dici il vero. Ma sai che esperimento di trasformazione sociale profonda.

Per stare in questa città: prendi Torino Spiritualità. Fai così, cònvoca tutti i guru e i monaci da palcoscenico,  i poeti e le poete, i danzatori, i teatranti, i musicanti, gli artisti vari, i testimoni di se stessi, i veri pensatori e pensatrici, che per fortuna non mancano, e mandali tutti a intrattenersi discutendo con bambini e bambine delle quarte elementari,  subito dopo con le  terze classi degli Istituti professionali e con i loro insegnanti, e così via, classe dopo classe, scuola dopo scuola,  finché hai coperto istituti comprensivi, sede centrale e succursali, distretti,  case circondariali, plessi, Dipartimenti ed ex Facoltà, CPIA ex CTP, IFTS e ITS, statali e paritarie, in tutta la città e dintorni, con annessi genitori, zie, bidelli, tecnici, fornitori e addetti alle pulizie. Falli dialogare, meditare, bisticciare, godere, non per le effimere due ore degli “eventi”, ma per tre o quattro giorni di seguito con l’impegno di rivedersi l’anno successivo, soddisfatti o rimborsati. Sai che esperimento unico ecc.


Se poi tu, Torino Spiritualità, metti anche in piedi un autentico contraddittorio, non dico su lavoro come merce [Marchionne non sarebbe d’accordo, quindi neanche Chiamparino né Fassino], neppure su verginità di Maria e capitalismo neoliberista [l’arcivescovo non sarebbe d’accordo, neppure la Fondazione san Paolo(sic!) quindi neanche Chiamparino né Fassino],   ma su Spiritualità Torino,  cioè  Sindone e don Bosco, farai un gran bel lavoro di chiarimento su queste due grandiose macchine da guerra della spiritualità    subalpina.












Sciocchino!, mi dicono gli amici che se ne intendono, non cogli le novità dei tempi. Aggiòrnati, modernizzati,  fiòndati ai Laboratori che ci ha confezionato la nuova Assessora alla cultura della Regione Piemonte

Ce l’hai tu la Postura dell’imprenditore culturale? Sicuramente no, basta vederti. E la Mindfulness? Quella con cui Cambio il mio domani. Manco sai cos’è, ignorante. Lo vuoi capire che Business model you? Per miserabili 30 euro puoi farti modellare da uno specialista che insegna Personal Branding all’Università. Approfittane. Ti devi mettere in testa Una cultura d’impresa per l’impresa culturale, altrimenti, al massimo, puoi adattarti ad imparare Come aprire un punto di somministrazione.


Grazie, amici. Ho capito. Vanna Marchi ce l’ha insegnato, anche la cultura è mercato.

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