IL QUARTO CRISTIANESIMO
ho pubblicato questo articolo su Il Manifesto del 23 agosto 2014
Dalle
nostre parti l’infrastruttura discorsiva se l’è sempre cavata affibbiando
l’etichetta di setta a tutto ciò che
stava fuori delle chiese storiche, i tre cristianesimi europei, cattolico,
protestante, ortodosso. Relegando queste nuove chiese ad una pochezza che faceva risaltare la supremazia delle
istituzioni ecclesiastiche affermate. C’è chi ha scoperto le persecuzioni perpetrate
dal fascismo dalle scuse che papa Francesco ha recentemente rivolto ai pentecostali. Nessuno deve però averlo
informato che le vessazioni sono
continuate durante il regime democristiano.
Pentecostalismo o, meglio,
pentecostalismi. Non c’è un meta modello che consenta di definire questo
movimento così come siamo abituati con le chiese storiche. E’ un arcipelago di
arcipelaghi in continua scomposizione e moltiplicazione. Paolo Naso in Cristianesimo: Pentecostali [EMI, Bologna, 2013, pagg.159, €12,00] traccia
con ottima sintesi e lucidità la storia globale dei pentecostali, quasi si dovesse parlare di ognuno di loro, non
potendo agevolmente appiccicargli un qualche –ismo.
Unico rammarico sul libro è la deliberata esclusione dei carismatici-pentecostali cattolici, la forma pentecostale che dal
1967 sta agitando la chiesa di Roma.
Tradizionalmente
si fa originare il movimento in un luogo, Azusa
Street a Los Angeles, una data, 1906 e un “iniziatore”, l’afroamericano, figlio
di ex schiavi, William J. Seymour. E’ la prima volta nella storia che a fondare
un movimento cristiano non sia un europeo, se si esclude Gesù il Nazareno. Non
avveniva nel vuoto questa creazione, ma era stata preceduta dalla corrente del risveglio interna al mondo protestante. E’ trascorso poco più di un secolo e quella
piccola setta di poche centinaia di
adepti si è velocemente trasformata in
un fiume impetuoso che ha superato il mezzo miliardo di fedeli, che ha spostato
a Sud del mondo la traiettoria di evoluzione del cristianesimo, che cresce e
prolifera proprio là dove le maschere dello sviluppo si incancreniscono e le
vulnerabilità sociali si esasperano. Lagos in Nigeria è la città più
pentecostale del mondo. In Brasile il 20 per cento della popolazione è
pentecostale, in altre nazioni latinoamericane, come il Guatemala, lo è la metà
della popolazione. E’ in Corea del Sud la più grande chiesa pentecostale con un
milione di fedeli. In Ucraina la più grande d’Europa con 25.000 membri.
Come sottolinea Paolo Naso in alcune aree del Sud del mondo il movimento pentecostale non
fu solo frutto dell’azione missionaria occidentale, ma anche espressione
dell’autonoma ricerca spirituale delle popolazioni locali. Questa
autonomia è sottolineata anche da Allan H. Anderson, uno dei maggiori studiosi
del movimento, nel suo ampio studio To
the Ends of the Earth- Pentecostalism and the Transformation of World
Christianity [Oxford University Press, 2013, pagg. 311]. Il caso italiano lo dimostra: il
pentecostalismo nasce su iniziativa di emigrati italiani convertiti negli Stati
Uniti che rientrano in patria come promotori della nuova fede. Tra questi un
mosaicista friulano, Luigi Francescon [1866-1964], globetrotter pentecostale
che fonda chiese in Europa e nelle Americhe. Oggi i pentecostali di svariate
denominazioni sono in Italia mezzo
milione, in continua crescita anche per l’apporto delle chiese dei migranti, costellazione
di riti e spiritualità che arricchiscono
il mercato religioso e dei beni simbolici della penisola. Se in Italia e nel
mondo si calcolano anche gli aderenti ai movimenti carismatico-pentecostali
interni alla chiesa cattolica si capisce perché questo quarto cristianesimo sia l’unico orizzonte di espansione della religione cristiana.
Teologie fluide, portatili, e spesso contrastanti caratterizzano il
movimento, che ha però una precisa proposta costituente: una esperienza di vita
e non una dottrina, una emozione e non un pensiero. L’effusione dello Spirito e
i suoi doni o carismi, come raccontato nel Nuovo Testamento dal libro degli Atti, sono il punto di partenza, la sua
Pentecoste. Una fede performativa che conduce alla conversione etica, un
mutamento nel progetto di vita in cui l’invenzione di sé è il fattore
determinante. L’autovalorizzazione viene messa in scena e resa effettiva dando spazio
a processi di affrancamento e di emancipazione soprattutto quando riguardi gruppi socialmente marginali. Più che
tangibile per le donne che attraverso la nuova
vita riescono ad addomesticare maschi refrattari alle socialità
responsabili. No alcol, no gioco, no droghe, no violenza, no sesso disordinato. Un riordino della vita
interiore per sé stesse e per il coniuge. Forse questo è uno dei motivi per cui
due pentecostali su tre sono donne. Per ceti meno deprivati l’accento è posto
soprattutto sul Gospel of Wealth, il
vangelo dell’abbondanza e della prosperità come premio alla nuova vita. Una
accoppiata tra Spirito e spirito del capitalismo di rara forza. La povertà è
una colpa da cui ci si può emendare, senza aspettare vite future. Parole che
suonano in modo antitetico se pronunciate in una platea bianca dell’Oklahoma,
in una favela brasiliana o in una periferia kenyota. Che è anche uno dei temi
affrontati in modo approfondito da diversi autori in Cristianesimi senza frontiere – Le Chiese Pentecostali nel mondo
[raccolta di studi curata da Pino Lucà Trombetta, Edizioni Borla, Roma, pagg.227, € 26,00] dove si analizzano
assestamenti e replicazioni delle comunità pentecostali nei cinque continenti.
Miriadi di micro chiese o mega churches,
indipendenti o volubilmente connesse, spesso in concorrenza, senza un centro,
con una energia virale che non ha eguali negli altri cristianesimi. Una
multiforme offerta transnazionale e una caleidoscopica domanda di religiosità.
In America Latina ha rotto il monopolio della chiesa cattolica, in Africa
converte al cristianesimo e converte il cristianesimo alle culture locali, come
osserva Annalisi Butticci in uno dei saggi del libro [della stessa, con Enzo
Pace, vedi Le religioni pentecostali,
Carocci, Roma, pagg. 140, €15,30] . Un cristianesimo
postcoloniale ormai del tutto svincolato dalla filosofia e dalla teologia
europee, in grado di produrre progetti religiosi e di condotta politica completamente autosufficienti e originali, non solo là dove visione spirituale e forte impegno
sociale tendono a coincidere o in situazioni di frontiera come nelle chiese
pentecostali aperte a gay, lesbiche, transgender, ma anche in realtà dove spesso l’esito strettamente politico è di tipo
conservatore e reazionario, come per certi telepredicatori infatuati, per
figure come l’ex dittatore guatemalteco Rios Montt, per la destra repubblicana
negli USA.
Una
situazione locale complessa, in cui ibridazione
e sincretismo, politica e potere anche qui recitano la loro parte, è quella studiata da Silvia Cristofori nell’ampio lavoro sul campo Il movimento
pentecostale nel post-genocidio rwandese – I Salvati (Balokole) [l’Harmattan
Italia, Torino, 2011, pagg. 388, € 38,50].
Se alziamo un poco gli occhi al di là
della nostra nicchia e osserviamo la composita profusione religiosa del pianeta,
si proporranno con una certa energia domande non trascurabili. Si crede di più
oggi? E’ di nuovo partito il re-incanto del mondo che credevamo cancellato dal
Novecento? La secolarizzazione è giunta al capolinea? L’indifferenza religiosa
è una nobile pratica in via di smaltimento?
Al buio del mondo, che non possiamo certo minimizzare, si risponde con la luce autoritaria di un Veni creator Spiritus cantato in molte lingue e con nomi diversi. A forza di invocarlo è ricomparso, nel formato cristiano canonico e, lo Spirito soffia dove vuole, nelle fattezze di altre piccole e grandi fedi. Avevamo creduto di abitare un universo post cristiano e post religioso ed invece sentiamo levarsi dappertutto preghiere e invocazioni, timorati e tumorati di Dio si affacciano da tutti i lati. Non hanno bisogno di Dio, di qualsiasi dio si tratti, lo vogliono. E’ il desiderio il vero trasformatore di energia e, a differenza di religiosità appena trascorse, non ha peccati di cui pentirsi, colpe da cui emendarsi, bensì attese da realizzare, innamoramenti da vivere. E’ un’erotica per certi versi inedita per la sua dimensione globale e per il godimento che procura. L’eros che eccitava alla libertà, alla rivoluzione, alla democrazia, ha cambiato altari?
Come
diceva Yehuda Amichai o mio Dio, o mio
Dio, perché non mi hai abbandonato?
Nell'articolo ho appena accennato ai paradossi e alle contraddizioni del movimento pentecostale, su cui esiste ormai una bibliografia sterminata.
Qui segnalo alcune riviste di riferimento:
che pubblica la rivista PNEUMA
altra rivista di studio:
altra rivista di studio:
ASIAN JOURNAL OF PENTECOSTAL STUDIES
AUSTRALASIAN PENTECOSTAL STUDIES
dall'area latino americana:
PENTECOSTALIDAD - REVISTA PENTECOSTAL DE TEOLOGIA LATINOAMERICANA AZUSA
ad Aversa, in provincia di Caserta, è attiva la FACOLTA' PENTECOSTALE DI SCIENZE RELIGIOSE, che ha sedi distaccate in Italia, tra cui Torino
Molte università, soprattutto anglosassoni, prevedono dei centri di studio e formazione sulla teologia e sul movimento pentecostale. Segnalo quella di Birmingham perché vi insegna Allan Anderson, autore del libro sopra citato:
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