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n. 12/ 28 settembre 2013
[pubblicato su Il Manifesto del 22 ottobre 2013]
[pubblicato su Il Manifesto del 22 ottobre 2013]


L’autore considera non a torto la scuola
sotto il genere della commedia come l’espediente per
mettere Ko la scuola attraverso l’irrisione e il grottesco. Stiamo
naturalmente parlando della scuola pubblica, perché quella privata sembra
non a caso star fuori dalla scena. Quasi non si capacita, Sandrucci, della
pochezza dei testi che esamina, della loro decostruzione plebea della scuola,
pur non nascondendosi i buchi neri che la abitano, le sofferenze irrisolte che
vi circolano, le inadempienze che spesso la caratterizzano. Proprio per questo
non si accontenta della caricatura a presa rapida che viene pompata nell’immaginario
dei lettori/spettatori e pretende, inutilmente, un’analisi della relazione
educativa così come si è venuta costituendo e trasformando nella società
italiana. Invece trova livore, sghignazzo e pubblica esecuzione dei nemici con
la N maiuscola: il ’68, don Milani e Gianni
Rodari.
Per finire nella
sarabanda in cui tutti si lagnano di una scuola che non è abbastanza
adeguata ai tempi, che è troppo adeguata ai tempi, che non sa prendere
iniziative, che prende troppe iniziative, che è distante dagli studenti, che è
troppo vicina agli studenti, troppo moderna, troppo poco moderna, che
dovrebbe essere più ordinata, ma anche più creativa, più severa e più
comprensiva, che dovrebbe celebrare la cultura, senza strafare, perché con
quella non si mangia, dare speranza e riscatto alle nuove generazioni, senza
però creare troppe illusioni, infarcirsi di internet, ma con giudizio perché
non si sa mai. E via così.
Pur
nella severità del giudizio, Sandrucci, mentre, per esempio, analizza la bella e pungente
scrittura di Paola Mastrocola, si fa troppo buono e noi capiamo che
vorrebbe averla alleata in un progetto di innovazione e avvaloramento della
scuola. Ma di fronte a chi scrive, con finta ingenuità, “bisognerebbe insegnare e basta…” “una volta ci si laureava e basta…”, si arrende, perché sa che nella
scuola ci sono parecchie mastrocole rancorose che vorrebbero ripristinare un
passato mai esistito in cui la professoressa possa finalmente decantare il suo
amato Torquato Tasso ad una classe di adolescenti in estasi pronti l’indomani a
ripetere in commossi accenti le parole pronunciate dalla cattedra.
Il problema vero è che ha ragione Berlusconi: nella scuola italiana ci sono
ancora troppi comunisti, soprattutto comuniste, che non si arrendono alla
mercificazione del sapere e all’aziendalismo burocratico, che sanno ascoltare
gli allievi e perciò si fanno ascoltare, che hanno un’idea di cultura
come crescita e promozione personale e collettiva, all’asilo nido come in terza
liceo, che sanno conferire dignità anche a chi non l’abbia mai vissuta,
che non si prostrano alle Goldman Sachs nostrane che spacciano rating meritocratici a più non posso
sulle scuole di ogni ordine e grado, che sanno che ogni educazione non conformista
è rottura di un ordine esistente. Per questo va forte la gogna, la discesa agli
inferi della scuola e l’intimidazione diretta, se si tratta di espugnare
questi ultimi fortini di resistenza comunistoide.
La pedagogia accademica sembra, con rare
eccezioni, abbastanza estranea a questo conflitto presa com’è a parlare
di se stessa e all’autopromozione per garantirsi un posto al sole tra le altre
discipline. Le 160 pagine di Sandrucci aprono un capitolo molto interessante di pedagogia dagli
occhi aperti tutta da inventare.
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