Passa ai contenuti principali
Negli estremi orienti del silenzio
uno sguardo sulla letteratura birmana contemporanea


come per il post precedente Dietro quel gesto dei monaci che rovesciano le scodelle [14 marzo 2012], anche qui su sollecitazione dei miei studenti di italiano di Mandalay, ripubblico un articolo apparso su Il Manifesto del 9 luglio 2007 

Il paese vacilla anche nel nome : Birmania o Myanmar ? E traballa ancora di più se si guarda al suo sviluppo culturale. Un millennio di fiorente letteratura sembra oggi non avere più fiato e luogo in cui manifestarsi. Non solo per il silenziatore agitato dalla giunta militare, ma anche per la devastante situazione scolastica cui è stato ridotto il paese dai militari al potere. Stretta tra due giganti culturali, la Cina e l’India, la Birmania ha sempre dovuto confrontarsi e reinventarsi. Dici Birmania, ma dovresti dire la pluralità di lingue e di espressioni culturali che la compongono, anche se la
"birmanizzazione" ha fatto passi da gigante. Non sempre con eleganza e spesso con tracce di sangue. Paradiso per gli antropologi. Una straordinaria vitalità che si è costantemente alimentata con la diversità.
Sayagyi Thakin Kodaw Hmine
Oggi invece: silenzio o balbettamento. Non si tratta di un improvviso e misterioso collasso: il 30 marzo scorso [2007], nei pressi di Mandalay, l’antica capitale, Thu Moe Myint è stato arrestato per aver scritto e distribuito tra amici e conoscenti un libretto di poesie per il giorno di san Valentino. Non si era sottoposto al controllo dell’Ufficio di Censura Preventiva. Nello stesso mese è stato chiuso un giornale locale dedicato al grande scrittore e leader politico, Sayagyi Thakin Kodaw Hmine ( 1876-1964), da trent’anni sottoposto ad ostracismo.
 Nel giugno 2006 sono stati condannati a 19 anni di carcere Aung Than e Zaya Aung, studentessa all’università di scienze politiche di Pagu, per aver pubblicato il libro “Dawn Mann – Lo spirito combattivo del pavone”, essendo il pavone simbolo della Lega Nazionale per la Democrazia [NLD] di cui Aung San Suu Kyi è la leader riconosciuta, oltre che premio Nobel per la pace ed eterna prigioniera
Non un crollo, dunque, ma lo stritolamento da parte di un macchina censoria efficientissima a scovare ogni scartamento dalle posizioni ufficiali e a risanare le male lingue. Tacitare ciò che non sia evocazione di buoni sentimenti, di fiori profumati, albe dorate, buoni tramonti e felici amori coniugali.
Ha fatto bene la Sperling & Kupfer quest’anno a pubblicare di Aung San Suu Kyi Lettere dalla mia Birmania. Un piccolo spiraglio di vita e di pensiero sul paese di cui Suu Kyi è ormai l’icona di speranza. Brevi lettere pervase di ironia e di intelligenza politica. Ma originariamente pubblicate nel 1997. Nonostante una certa lentezza del tempo birmano, anche lì dieci anni sono dieci anni. La stessa autrice discorre della sua avvenuta “liberazione” dagli arresti quando invece sappiamo che la sua detenzione continua implacabile [siamo nel 2007]. Nel 1996 la medesima editrice aveva già pubblicato Liberi dalla paura, una serie di saggi – in particolare Letteratura e colonialismo in Birmania -- in cui San Suu Kyi mostra la sua tempra di studiosa e di pensatrice.

Non ci sono altre voci dalla Birmania. Ce ne sono sulla Birmania. E’ stato recentemente tradotto un romanzo di una scrittrice e poeta canadese, Karen Connelly, un po’ retoricamente tradotto Il canto della libertà invece che La gabbia della lucertola, Frassinelli, Milano, 2006. E’ la storia di Teza, cantautore famoso incarcerato come prigioniero politico. Molto ben costruito, scorrevole, efficace nella rappresentazione della vita in gabbia. Un po’ pesante quando si tratta di delineare situazioni o caratteri politici del mondo birmano.
Un altro anglosassone – la Birmania è stata a lungo colonia britannica – l’inglese Andrew Marshall, ha scritto un racconto che è anche indagine storica, Birmania football club. Da colonia britannica a dittatura militare, Instar libri, Torino, 2004. Inseguendo un avventuriero vittoriano ordisce una avvincente trama tra passato coloniale e presente dittatoriale. Birmania: storie di un Paese in gabbia è il sottotitolo del libro di Cecilia Braghi, Un Pavone e i generali, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2006, già recensito su questo giornale. Come si vede la gabbia torna a far bella figura di sé come immagine dell’attuale condizione birmana.
Al lago Taungthaman vicino a Mandaly sullo sgangheratissimo e  miracoloso ponte di tek che lo attraversa per intero i ragazzini ti offrono l’occasione di liberare gli uccellini che tengono in gabbia se gli offri qualche kyat, la moneta locale. Più consistente è l’offerta più grande è l’uccello liberato. Ma pare non esserci moneta sufficiente per i passeri umani. Forse la parola giusta è ancora quella del poeta “Sono entrato nella casa delle nubi e ora, provo e riprovo, non riesco ad uscirne” (Maung Chaw Nwe). Nubi appiccicose, Nubi imperative che condannano alla paura, come dimostrano bene due studiose, l’australiana Monique Skidmore con Karaoke Fascism: Burma and the Politics of Fear, Philadelphia University Press, 2004, e l’americana Christina Fink con Living Silence: Burma under Military Rule, Zed Books, Londra, 2001.
Angolature diverse, ma le medesime conclusioni: la centralità della paura nella vita birmana obbliga a svuotarsi emotivamente quando si tratti di ripetere le cantilene imposte dal regime militare e nello stesso tempo a dare sfogo ad un mondo fantastico e magico sostitutivo, fatto di giochi, scommesse, pratiche occulte e rituali para religiosi. Ma anche ad una specie di postmodernismo d’obbligo in cui la scrittura ricorre ad un pallottoliere di immagini, simboli, metafore, per accennare alla realtà sociale e politica e sfuggire alla greve lettura del censore. Anche il lettore normale però fa fatica a decifrare questa foresta di segni paralleli che vorrebbero sottrarsi al dominio mentale del regime narco-militare.
Così rock stars famose come Zaw Win Htut si sono dovute piegare al compromesso e spandere suoni che cantano di amori perduti e ritrovati piuttosto che di individui civilmente vivi, come aveva tentato per un certo periodo. Un universo vuoto e igienizzato in cui per forza l’irrazionale e il fantastico la fanno da padroni, come ha dimostrato Guillaume Rozenberg nel bel Renoncement et Puissance. La quête de la sainteté dans la Birmanie contemporaine, Olizane, Ginevra,2005.  

 Si potrebbe dire che quello birmano sia un universo orwelliano, non solo per l’ovvio rimando al clima allucinatorio che George Orwell ha ricreato in La Fattoria degli animali e in 1984, ma anche perché nel 1934 ha scritto un bellissimo romanzo intitolato Giorni di Birmania, uscito prima negli Stati Uniti e solo l’anno dopo in Gran Bretagna, per rogne con la censura. L’immancabile storia sentimentale è inserita in un contesto di indignazione e di denuncia del colonialismo britannico suscitatore di fantasmi di morte. Come l’indiano Amitav Gosh aveva intrecciato storie di famiglie tra Birmania e India in Il palazzo degli specchi, Neri Pozza, Milano, 2007 e reportage politico culturale in Estremi orienti, Einaudi, Torino, 1998, così Thant Myint U, nipote del terzo segretario generale delle Nazioni Unite, in The River of Lost Footsteps. Histories of Burma, Farra, Straus & Giroux, New York, 2006, affianca due libri in uno. Una storia rivisitata e rimeditata della Birmania pre e post coloniale declinata insieme alle vicende della sua famiglia. Un tono ironico che non guasta e facilita l’immersione in una storia che per il lettore occidentale è tutta da scoprire. Forse anche per il lettore birmano, se mai il libro si sposterà da New York a Yangon.
Qualche timido segnale che anche la storia del paese comincia ad essere letta non solo con lo sguardo coloniale o con quello egemonico e semplificatorio del nazionalismo militare ce l’hai sfogliando certi libri accademici pubblicati nella capitale. Si capisce che le opzioni metodologiche dei Subaltern Studies indiani hanno rosicchiato le impalcature di una storiografia ammuffita. Rosicchiato, non demolito, se nella prima pagina ti devi sorbire il santino con le giaculatorie della giunta: le nostre tre principali cause nazionali – i quattro obiettivi politici – i quattro obiettivi economici – i quattro obiettivi sociali, recitati i quali puoi passare alla lettura del contenuto e trovare che la grande ribellione anticoloniale di Saya San [1930-32] non è più raccontata solo attraverso le fonti giudiziarie coloniali, ma anche con le memorie e i documenti dei protagonisti.
Il sigaro s’è consumato
Il sole è scuro
Qualcuno mi porterà a casa?
Tin Moe
No, nessuno lo riporterà a casa. Il poeta Tin Moe è morto in esilio a Los Angeles il 23 dì gennaio di quest’anno [2007]. Se n’era andato dal suo paese a settantuno anni, dopo essere stato in carcere perché la sua poesia era impregnata di democrazia e non di parole d’ordine. Declama di laghi trasparenti e di ponti sereni, poeta, se vuoi vivere il tuo impulso senza precipitare nella gabbia. Oppure sforna racconti brevi da pubblicare sui giornali. L’occhio prensile del militarcensore non sempre arriva fin lì. Guadagni spazio e lettori, perché il giornale è più abbordabile, anche economicamente, dal birmano, anzi dalla birmana, lettrice appassionata.
E scrittrice consapevole. Quella birmana moderna è una letteratura che esprime figure femminili di primo piano. Come Ma Ma Lei (o Lay) che aveva iniziato a scrivere pubblicando nel 1938 un articolo intitolato “Diventare donne avvedute[vedi post Ma Ma Lay]. Figura complessa di editore di periodici, scrittrice, terapeuta di medicina tradizionale, politicamente e giornalisticamente molto attiva, sempre in conflitto con il governo e con i conti di fine mese. Una vasta produzione di racconti brevi e di due romanzi costruiti sulle tensioni tra culture diverse e vite che invece si intersecano in contesti socialmente in forte trasformazione, come la Birmania del colonialismo e del dopoguerra. E’ morta nel 1982 a 65 anni.
Ludu Daw Amar
San San Nweh
Continua invece intensamente a vivere Ludu Daw Amar, ora novantaduenne [morta il 7 aprile del 2008], . Una vita di refrattaria alla sopraffazione, contro gli inglesi, i giapponesi occupanti, la giunta militare. Febbrile attività di giornalista, di traduttrice, di scrittrice e di studiosa. Arrestata più volte, messa a ferro e fuoco la sua abitazione, ancora oggi manifesta apertamente il suo attrito con la giunta di baccalà al potere. Non a caso il suo prefisso è Ludu – Popolo.
E poi Khin Myo Chit [1915-1999] con la raccolta di racconti brevi Il diamante da 13 carati, e poi Khin Khin Htoo dell’ultima generazione, più prudente e ossequiente, e poi San San Nweh, scrittrice e giornalista, cinquantenne, che ha patito sette anni di carcere, dal 1994 al 2001, per “aver diffuso informazioni pregiudizievoli per lo Stato”, e poi…
E poi facciamoci bastare i versi di Tin Moe:
Quando cambieranno le lacrime
e le campane suoneranno di nuovo dolcemente?

Commenti

Post popolari in questo blog

MAHMUD DARWISH

  MAHMUD DARWISH  1941-2008

ALAREER GAZA

  REFAAT e SHAIMAA ALAREER Refaat Alareer era un poeta, scrittore e professore universitario di letteratura comparata presso la Islamic University di Gaza, ora ridotta ad un mucchio di polvere. Non ho conoscenza di nessun docente universitario italiano che si sia lamentato delle dieci università di Gaza rase al suolo né delle Medie ed Elementari ridotte in pietrisco. La poesia che si legge sotto era stata scritta il primo novembre dello scorso anno e dedicata alla figlia maggiore Shaimaa . Refaat Alareer è stato ucciso nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023, insieme ad altri 7 membri della sua famiglia, durante un raid israeliano che ha colpito la sua casa. Shaimaa Alareer , la figlia, è stata uccisa venerdì scorso, 26 aprile con il  marito Mohammed Siyam e il loro figlio Abdul Rahman di pochi mesi, in uno dei tanti bombardamenti israeliani.     Se dovessi morire, tu devi vivere per raccontare la mia storia per vendere le mie cose per comprare un po’ di carta

RESTIAMO UMANI 3

  RESTIAMO UMANI 3    Gerico dell'antichità     Gaza della contemporaneità       Allora il popolo urlò e squillarono le trombe; appena il popolo udì il suono della tromba proruppe in un possente urlo di guerra e le mura crollarono; il popolo attaccò la città, ciascuno dritto davanti a sé, e conquistarono la città. Votarono all'anatema, passando a fil di spada tutto ciò che vi era in città: uomini e donne, ragazzi e vecchi, buoi, pecore e asini.                                                                                             Giosué 6, 20-21   Allora prendemmo tutte le sue città e votammo allo sterminio tutte le città, uomini , donne e bambini e non ne lasciammo sopravvivere nemmeno uno. Ci prendemmo in bottino solo il bestiame e le spoglie delle città, che avevamo conquistate .                                                                                                      Deuteronomio 2, 34-35   No , Netanyahu , non devi trarre ispirazione da ques