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giovanni pozzi


A dieci anni dalla morte, ripubblico un articolo scritto per Il Manifesto del 28 agosto 2005 e dedicato al suo libro POESIA PER GIOCO Prontuario di figure artificiose, Il Mulino, Bologna, 1984. Era un invito a ripubblicarlo. Nessuno l'ha accolto.

Non e' obbligatorio sapere cosa siano il technopaegnion   o il  poliptoto per avere il legittimo dubbio che tra poesia  e artificio ed enigmistica corra qualche parentela. Dopo l'Ou.Li.Po , Queneau e certe avanguardie sappiamo che le acrobazie  formali sono parte della civilta' letteraria contemporanea. E di quella branca della letteratura che è la pubblicita'. Ma a lavorare nella polpa della lingua non siamo solo noi moderni e postmoderni, Rabelais o Joyce. Un percorso storico che non si sa da dove far cominciare ci precede, anche se spesso accantonato o scaricato nel catalogo del bizzarro. « Chi si mette a navigare oltre le colonne d’Ercole della lingua, sbarchera’ sempre su un continente gia’ abitato ».
Padre Giovanni Pozzi era l'uomo giusto per rimetterlo in auge. Il rigore dell'accertameno non gli mancava né la capacita' di muoversi alla confluenza di discipline e di problemi. Allievo di Contini, lo aveva sostituito alla cattedra di letteratura italiana dell'universita' svizzera di Friburgo. I suoi interessi convergevano sempre la' dove figure stratificate del testo aspettavano di essere indagate. Che fossero immagini vere e proprie o scritture o misture di entrambe. La sua bibliografia sta a dimostrarlo.
Ma perche' ripescare POESIA PER GIOCO? Perche'si tratta di un Prontuario di figure artificiose, come recita il sottotitolo. Un manuale di istruzioni, pronto per l'uso come certi vecchi manuali Hoepli fuori commercio, ma non un vademecum bensi' un libro di mappe classificatorie che coprono soprattutto l'eta' premoderna. Ún libro abissale, che sprofonda nei cunicoli invisibili della lingua e dunque della civilta'. Dal mostro lessicale medievale honorificabilitudinitatibus che è formato in modo inconsueto con un abile montaggio di suffissi che eccezionalmente si prestano a legarsi a quel radicale,  fino al napoletanfuturista 
 fetentechiavecoricchionemoposangaechitemmuoraetuoiefet.
E' anche un libro ossessivo che palesa la salutare nevrosi dell'autore che non tralascia verso tardo latino o secentesco per scoprire l'artificio. Dimostrandoci ancora una volta che il gioco e' una cosa serissima e che non si scrive per gioco.  La casistica strabiliante che Pozzi va a scovare, cataloga ed esemplifica, non e' altro che la prova del corpo a corpo che si stabilisce nella scrittura tra significante e significato, quella tensione che la musica ha risolto ignorandola. La poesia fonda la sua impresa nel tentativo di ingannare il significato che invece abbraccia, tira a se', blocca il significante, per quanto arbitrio voglia esprimere il poeta.
« …dietro la presunta creazione artistica sta tutto il corredo dei significanti, già bloccati, sistemati e correlati all’ordine dei significati…all’inizio del fare artistico non sta un nulla da cui sorge la cosa, ma stanno degli ordini costituiti che vengono via via non solo preferiti l’uno all’altro, ma disfatti, scombinati, distorti… »
Pozzi rende conto di tutte le epifanie acustiche e visive che una civilta'della scrittura ha messo in atto, dalle piu' consuete alle piu' elaborate: '' Nel quale genere merito' maggior laude un antico, il quale interrogato da quai contrasegni si discerna il vero amico dal finto, rispose latino con questa leggiadrissima eco:
                          AMORE
                             MORE
                                ORE

                                  RE

cioe' l'amico si conosce dall'affetto, da' costumi, dalle parole e da' fatti'' come riporta il Thesauro nel Cannocchiale aristotelico.
Luigi Groto dipinto da Tintoretto
La frenesia fonica del cinquecentista veneto Luigi Groto dà ancora filo da torcere ai posteri sperimentatori riuscendo a farcire di  quattro rime ogni verso :
« A un tempo temo e ardisco, ed ardo e ghiaccio/ Quando a l’aspetto del mio amor mi fermo,/ E stando al suo cospetto allor poi fermo, / Godo, gemo, languisco, guardo e taccio. »
Il gioco e’aperto. La macchina del mondo non si fa scalfire dall’arte combinatoria dei poeti, ma il nostro stare al mondo ne riceve godimento.
Giovanni Pozzi, cappuccino, era nato a Locarno nel 1923. E’ morto nel 2002.
Materiali su di lui in:

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