RESIDUI PASSIVI DI UNO STILE DI
VITA
articolo pubblicato su Il Manifesto del 18 maggio 2011
Altan |
Si sa che il popolo italiano è composto da persone pudiche e garbate che in famiglia, a scuola, in TV o in parlamento, mai oserebbero pronunciare le parole stronzo, pezzo di merda, vai a cagare. Questa dev’essere la ragione per cui l’editore si è sentito in dovere di dolcificare il titolo “Il grande bisogno. Perché non dobbiamo sottovalutare l’ultimo tabù: la nostra ca**a”. Proprio così, con due **. Volendo depurare al massimo, ci si poteva spingere fino a po*ò. Questa controriformistica operazione editoriale è però una bufala perché, da una parte, emette un giudizio di fantasia sugli italiani, notoriamente affetti dalla sindrome di Tourette – quella per cui è irrefrenabile il bisogno di profferire sconcezze - dall’altra smentisce l’asserzione fondamentale di Rose George, l’autrice del libro, secondo la quale se si vuole cambiare il pianeta c’è un grande bisogno di far diventare la merda oggetto di discorso pubblico invece di farsi annebbiare dalla catena degli eufemismi.
La ricerca che conduce Rose George è un’epica discesa nelle fogne di tutto il mondo - là dove esistono- a braccetto del virgilio di turno che controlla i cunicoli e i reflui che vi scorrono copiosi; una esplorazione delle latrine high e low tech sparse per i continenti - là dove esistono -; un pestare merde en plein air là dove non esistono né fogne né latrine. Un modo di guardare il mondo dal punto di vista del culo, che non era stato ancora tentato fino ad oggi, almeno in modo così sistematico e trasversale. Sarebbe piaciuto a Foucault l’intreccio di discipline messe al lavoro e mobilitate dalla premessa: la defecazione è un fatto solitario, le cui ripercussioni sono molteplici e pubbliche. Un gesto privato, anzi, nascosto, shuuut, lo sciacquone scarica una dozzina di litri di acqua potabile e il nostro contributo corporeo al pianeta, un quintale all’anno pressappoco, svanisce alle nostre spalle, ma non si estingue. La scoria della privacy diventa bene comune.
Scrive Rose George: “…2,6 miliardi di persone non dispongono di servizi igienici. Non sto parlando di chi non possiede un gabinetto in casa sua e deve utilizzarne uno pubblico, facendo code e pagando. Oppure di chi ha aggiunto un’appendice alla casa, o una catapecchia che scarica in un fetido canale di scarico o in un letamaio…Quattro persone su dieci non hanno alcuna latrina, toilette, secchio o casupola. Niente. Al contrario, defecano lungo i binari dei treni o nei boschi. Lo fanno dentro sacchetti di plastica che lanciano in aria nelle strette vie delle baraccopoli…Quattro persone su dieci vivono circondate dagli escrementi umani, che si trovano fra i cespugli fuori dal villaggio oppure nei cortili, lasciati dai bambini fuori dalla porta posteriore. Imbrattano i loro piedi, attraverso le mani contaminano i vestiti, il cibo e l’acqua da bere”.
Qualcuno l’ha definita, la merda, un’arma di distruzione di massa.
Muoiono più bambini sotto i cinque anni per diarrea, cioè per aver bevuto acqua contaminata da residui fecali, di quanti ne muoiano per malaria, tubercolosi, AIDS o guerre varie.
Un libro, dunque, puzzolente e stomachevole? “Uno di quei rari libri che cambia il modo di guardare il mondo del lettore” scrive Talha Burki sulla più prestigiosa rivista al mondo di medicina, Lancet, gennaio 2009. Il grande bisogno è un libro somma di libri: un racconto realistico e ironico, un saggio storico e antropologico, un trattato di economia politica, una narrazione di viaggio. Rose George ha girato il mondo, mettendo a dura prova la vista e l’olfatto, forse anche il tatto. Essendo donna ha una particolare recettività per i corpi: “Le guardo [le “cernitrici” di merda, appartenenti alla casta degli intoccabili, dalit] e cerco di scorgere lo sporco su di loro, dentro di loro, ma non ci riesco. Sono eleganti, belle anche quando si piegano per sollevare i due pezzi di lamiera ondulata che utilizzano per rimuovere le feci; quando mostrano come fanno scivolare il sudiciume nei loro cesti; quando, con notevole grazia, sollevano in alto i cesti con le loro braccia adorne di bracciali. Nel complesso hanno l’aria polverosa ma non sporca, sebbene non venga dato loro del sapone dai datori di lavoro e sebbene non sia loro concesso di prelevare acqua dal pozzo senza l’autorizzazione di un abitante del villaggio appartenente a una casta superiore".
Mozambico: campagna Open free defecation [foto Benoit Marquet] |
Noi, invece, siamo scivolati senza accorgercene in una mistica del cibo e dei suoi rituali che ormai pervade dogmaticamente ogni aspetto della vita privata e collettiva. Se al posto di cibo, di food, fast o slow che sia, parlassimo esplicitamente di mangiare e di digestione forse ci sarebbe più chiara l’insensatezza di concentrarci ossessivamente solo sull’inizio e non sulla fine del ciclo nutritivo. Come ci insegna padre Dante: Il tristo sacco/ che merda fa di quel che si trangugia.
Nel recente passato è stata la nuova igiene defecatoria trascurata dagli storici ad allungare le aspettative di vita degli occidentali, non gli antibiotici. Il grande bisogno si addentra anche nel vero scontro di civiltà che i nostri occhi non vedono, ma di cui siamo protagonisti, in quanto strofinatori o lavatori, ovvero il conflitto tra la carta e l’acqua. Le culture dei dieci piani di morbidezza “utilizzano di fatto il mezzo pulente meno efficiente per detergere la zona più sporca del corpo”. Nello scontro tutti restano fermi nelle loro convinte abitudini, con annesso sub-scontro di civiltà tra chi si accuccia e chi si siede. Con documentato parere favorevole per l’accovacciamento “…che permette di liberare il colon e aiuta la defecazione; sedersi comporta l’effetto inverso, e suscita le obiezioni che sostengono che il water abbia contribuito a un aumento dei casi di cancro al colon, emorroidi e stitichezza”.
Rituali scatologici che disegnano dal basso topografie umane molto diverse da quelle che si rappresentano dall’alto degli Stati, della finanza, della teoria politica o delle religioni. L’aveva intuito padre Ignacio Ellacuria, teologo della liberazione, prima di essere massacrato nel 1989 in Salvador, insieme ad altri 5 confratelli e a due donne, da un cattolicissimo squadrone della morte: come la malattia di un corpo umano si vede dall’analisi delle feci, così la malattia del Nord ricco si vede dai suoi escrementi scaricati sul resto del mondo.
In un mondo che va in merda uno sguardo meno sprezzante e più partecipe all’umanità che va di corpo potrebbe essere il punto di partenza di una filosofia stercoraria, materialista e umanista nel medesimo tempo, refrattaria alle lusinghe altisonanti delle istituzioni e dei proclami, umilmente attenta invece alle sofferte evacuazioni e alla loro depurazione. In giusto equilibrio tra realtà e metafora. Il libro di Rose George potrebbe esserne il brillante e profondo Manifesto.
Rose George, Il grande bisogno. Perché non dobbiamo sottovalutare l’ultimo tabù: la nostra ca**a, traduzione di Salvatore Serù, Bompiani - Overlook, Milano, 2010, pagg. 480, € 22,00
Nella versione non ridotta per ragioni di spazio, la recensione conteneva anche alcuni inevitabili riferimenti alla Merda d'artista di Pietro Manzoni del 1961 e alle più recenti sculture escrementizie di Laetitia Bourget. e all'intramontabile Fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel :
Anche alle molte pagine dedicate da Rose George agli usi innovativi e produttivi della merda, come il biogas, all'enorme sforzo dei cinesi di rendere la merda utile, alle condizioni degradate delle nostre fognature, ai cessi avveniristici dei giapponesi ecc.
In questo blog vedi: 9 gennaio 2011 - Auto a merda umana
Nella versione non ridotta per ragioni di spazio, la recensione conteneva anche alcuni inevitabili riferimenti alla Merda d'artista di Pietro Manzoni del 1961 e alle più recenti sculture escrementizie di Laetitia Bourget. e all'intramontabile Fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel :
In questo blog vedi: 9 gennaio 2011 - Auto a merda umana
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