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ATAHUALPA

“DESCANSATE NIŇO” CHE CANTA ATAHUALPA YUPANQUI


Non c'era ancora la world music ma già c'era la musica del mondo. Soprattutto non imperversava la musica etnica  con i suoi dogmi mercantili: tu sei etnico, io no.  Un poeta musicista andava camminando "Sono felice di andare per il mondo, abito dove si annida la musica".   Hector Roberto Chavero era nato nel 1908 dalle parti di Pergamino in Argentina. "…verde spettacolo in corsa da inseguire…da inseguire sempre, da inseguire ancora, fino ai laghi bianchi del silenzio…fin che Atahualpa o qualche altro dio non ti dica: descansate niño, che continuo io…" canta Paolo Conte.


Atahualpa Yupanqui è lo pseudonimo che Chavero assume fin dall'adolescenza. Atahualpa, nome dell'ultimo re Inca, fatto uccidere a tradimento da Pizarro nel 1553. Yupanqui, uno degli incas che introdusse celebrazioni-divertimenti di musica con i flauti. Ata significa venire da lontano, allpa, terra. Dunque venire dalla profonda terra. Cantare, dire, narrare è invece il senso di Yupanqui. Una nominazione accurata che avrebbe splendidamente definito un'esistenza fatta di suoni e di pensieri. Nel sangue gli galoppavano trecento anni di storia latino americana: avi baschi, creoli, indios, disegnati sul suo volto, prima ancora che aprisse bocca. Bagualas, vidalas, zambas, gatos, chacaceras e milongas stavano nella sua chitarra, forme di una musica popolare trasfigurata dal suo canto e dalla sua poesia. Avrebbe potuto essere un bel bocconcino per la macchina tritamusiche: l'altra Argentina, quella non ballabile, senza tango. Sparato in  video con orpelli etnici avrebbe fatto la felicità dei palati multimediali. Invece è morto in Francia nel '92 a ottantaquattro anni.

Fin dal principio era stato runa allpacamaska, l'uomo è la terra che va, come si dice in quechua. "Quando desideravo fermarmi, veniva la notte e mi portava via".  Un camminante che ha sempre la mano alzata per dire addìo ma sa che l'albero che hai dimenticato sempre si ricorda di te, siempre se acuerda de ti. Nel '33 si imbarca in una breve avventura rivoluzionaria e deve fuggire in Uruguay, dal '45 al '53 è iscritto al Partito Comunista per contrastare la dittatura militare e poi il governo di Peron. Messo al bando, non può apparire in pubblico né incidere. Ma la forma della sua arte non ha bisogno di una uniforme per essere quello che è, il canto degli uomini dimenticati, los hombres olvidados. Per questo spesso le sue canzoni hanno un interno senso di pena. Canzoni? Lo sono Der Wanderer e Gretchen am Spinnrade di Franz Schubert? Basta intendersi sulle parole. Il diapason dei simboli che attraversa il suo canto sta dentro una drammaturgia universale in cui il suono e le parole fratturano i limiti e aprono nuovi spazi. L'uomo sta al centro di questa liturgia. Erano state le voci della sua infanzia a fargli da primo conservatorio "Nessuno cantava frivolezze. Il destino del canto era serio perché stava legato al destino dell'uomo" L'asombro, la meraviglia l'avrebbe accompagnato sempre. Anche quando girava i paesi con altri musicanti, stendevano un lenzuolo tra due alberi e proiettavano western prima di prendere la chitarra in mano.  20 centavos per chi stava dalla parte giusta del lenzuolo, 10 per chi guardava il film da dietro. Una chitarra, la sua, non stupefacente, non dita infuocate dal virtuosismo. Piuttosto un canto ondulato che cerca il silenzio: "C'è silenzio  nella mia chitarra quando canta il yaraví. E il meglio del mio canto resta dentro di me"
Non la caricatura del silenzio, il mutismo, l'assenza di parola, ma la sua modulazione piena di potenzialità, matrice di parole future. Il tremore di dare alla luce un canto attraverso una lingua sobria, una parola desnuda, come quella usata da Anton Machado. La descrizione poetica e musicale di una borgata qualsiasi è la descrizione del mondo. Atahualpa lo sapeva da sempre, come lo sapevano Béla Bartók, o Villa-Lobos,  che polemicamente diceva "Il folklore sono io!"  Lo avrebbe praticato "scientificamente" accompagnando nel 1949  l'antropologo francese Alfred Métraux ad incontrare gli Uomini-Dio, i Cristi, i Predicatori del messianismo guaranì e dei gauchos, a seguire le tracce delle migrazioni verso la Terra senza Male. Il medesimo incontro con l'umanità dolente e pensante l'avrebbe condotto in Giappone ad ascoltare e a ricantare la ninna nanna delle donne di Hiroshima, "Che notte fu la tua notte, Kimono lacerato, quando tutto era sole sopra la terra".


Nel 1949 Atahualpa fa un tour per l'Europa, quella dell'est prima di tutto, poi Parigi, dove incontra Aragon, Matisse, Paul Eluard, che gli fa conoscere quell'altra voce tremante che era Edith Piaf. Al culmine del successo Edith lo vuole con sé in concerto "con me, che ero un negrito che si nascondeva dietro la sua chitarra". L'Europa, una certa Europa, riconosce il suono universale della sua parola, più di quanto abbia fatto Buenos Aires che, ancora oggi, se lo ricorda come un discreto chitarrista folclorico. Universale, non internazionale, come amava precisare. Atahualpa non restituisce niente di pittoresco, il suo è un canto austero, che metta in musica un poema di Julio Cortázar o una zamba contadina. Forse per questo gli era stato assegnato nel 1980 il premio Tenco.  Il suo rigore non è una questione tecnica: "l'arte, o ciò che porto dentro, questa mistura di venti che si chiama la mia vita, mi ha tenuto sempre in una orgogliosa e onorevole verticalità. Perciò posso dormire in pace, e pure morire in pace. Verticalmente".

   



































Nella sua discografia 42 brani portano il nome di Pablo del Cerro come autore della musica. Ovvero Antonieta Paula Pèpin Fitzpatrick, moglie di Atahualpa. Diplomata in piano e composizione in Francia, amica di Arthur Rubinstein, preziosa interprete di Beethoven e soprattutto di Bach, quel Bach di cui Ata diceva essere "l'aria cosmica che le mie viscere esigono". Una presenza di donna che fa del silenzio non un proclama ma una condizione di vita.
Lo scrittore Atahualpa Yupanqui lo ritrovi anche in libri che si intitolano Il canto del vento, Il sacrificio di Tupac-Amaru, La parola sacra, Pietra solitaria, Terra che va. Una Latino America del pensiero che esorbita dalle nostre anguste geografie mentali. Ma soprattutto lo incontri Atahualpa Yupanqui là dove musica e pensiero si fondono, "Quien lleva la muerte adentro/tiene una fuerza vital/ Chi porta dentro di sé la morte /possiede una forza vitale"

Così scrivevo su Il Manifesto del 24 gennaio 2001. 

Questa è l'occasione per segnalare due musiciste particolarmente interessanti. 
La pianista Hilda Herrera ha anche pubblicato un CD dedicato alle musiche di Atahualpa Yupanqui ed è una splendida interprete della musica folclorica argentina. 
Qui [http://www.youtube.com/watch?v=OfiW--pEr0o ] in una intensa interpretazione di Cuesta Abajo di Carlos Gardel.


Maria Elena Walsh è morta lo scorso 10 gennaio [2011]. Era nata nel 1930 e la sua è stata una attività molteplice: compositrice, poeta, scrittrice.  La sua canzone Oracion a la justicia è stata scritta durante e contro la dittatura militare, qui [http://www.youtube.com/watch?v=RM2dMipNipk ] 
interpretata dallo storico Quarteto Zupay. Ma la Walsh  è soprattutto nota per i suoi testi e per le sue musiche per bambini, mai banali e  ricchi di spunti intelligenti.   Credo che in italiano sia stato tradotto dalla Salani solo Ti regalo un elefante.  Anche le sue musiche sono poco note ed è un vero peccato:
Qui  [  http://www.youtube.com/watch?v=tQUhgkdKc40 ] un'animazione di alcune sue canzoni.



Questo il sintetico necrologio su Il Manifesto del 12 gennaio:
  • Se ne va l'argentina Maria Elena Walsh, scrittrice per bambini e cantautrice. E
  • ra una delle più celebri autrici di libri per bambini in America Latina, l'argentina Maria Elena Walsh, morta ottantenne l'altra sera a Buenos Aires dopo una lunga malattia. Ma la sua fama non era legata solo ai testi per l'infanzia (tra i più famosi «Pocopan», «Ti regalo un elefante», uscito in Italia da Salani e soprattutto «Manuelita, la tartaruga»). Nata a Buenos Aires nel '30, esordì giovanissima con dei versi che le valsero un invito negli Stati Uniti da parte di Juan Ramon Jimenez. Nel '52 partì per Parigi dove formò con Leda Valladares un duo dedicato alla diffusione del folklore argentino. Fu allora che cominciò a scrivere opere per bambini, ma anche canzoni interpretate poi da cantanti come Victor Heredia o Mercedes Sosa. La più nota, «La cigarra», scritta nel '73, alludeva all'esilio cui Walsh fu costretta durante il governo di Peron, ma diventò un inno amato da tutti i cantautori vittime della dittatura militare. 






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