Passa ai contenuti principali

TUTTO IL GIORNO E' SERA

Ho realizzato una nano indagine tra conoscenti e vicini di casa: Se dico Malesia, che cosa vi viene in mente? Non c’è stata molta varietà: Pirati della Malesia di salgariana memoria l’ha fatta da padrone. Qualcuno più abituato agli scali aeroportuali si è ricordato di due incredibili grattacieli – i più alti del mondo? – della capitale, Kuala Lumpur. Poi i discorsi si sono sbriciolati: le tigri del Sud Est asiatico, non in quanto bestie feroci, ma come economie in ascesa, le barriere coralline, il Borneo e altre amenità turistiche.
Tutto il giorno è sera [Evening is the Whole Day] è il romanzo d’esordio di una scrittrice nata in Malesia, Preeta Samarasan, educata negli Stati Uniti, attualmente residente in Francia, di professione musicologa, ferrata soprattutto nella musica zigana. Questa semplice enunciazione descrittiva nasconde quasi senza volerlo la rilevanza “politica” dell’oggetto libro: non è scritto da un uomo bianco, ma da una donna di carnagione scura, in inglese e non nella lingua ufficiale della Malesia, neppure nella madre lingua dell’autrice, che proviene da una famiglia indiana tamil e che deve la sua formazione a sistemi conoscitivi “occidentali”. Tutte queste fastidiose virgolette stanno a significare la difficoltà di maneggiare il manufatto libro prima ancora di iniziare a sfogliarlo. Per non dire del titolo che deriva da un verso del poema epico tamil Kuruntokai, risalente ai primi secoli della nostra era.


Manifestazione di malesi indiano-tamil a Kuala Lumpur, novembre 2007




Ma non stavamo parlando della Malesia? Appunto. Di un paese in cui essere “malese autentico”, bumiputra, è il risultato di una complessa ingegneria politica avviata faticosamente negli ultimi decenni. Gli altri, i malesi “non autentici”, sono i cinesi e gli indiani, tra cui maggioritari sono gli indiani tamil.
A scanso di equivoci, per leggere il romanzo di Preeta Samarasan non è necessario fare un corso accelerato di storia ed etnologia malese, basta andare alla prima pagina e cominciare: "C’è una terra che si protende dal collo sottile dell’istmo di Kra delicata come la testolina di un uccello, e forma la metà di un paese chiamato Malaysia”. Continuare entrando in una saga familiare in cui si stratificano tre generazioni e dove lo sguardo narratore è spesso assegnato ad una bambina di sei anni, Aasha, la cui relazione affettiva principale è quella con i fantasmi che popolano l’abitazione. Forse l’unica vera esperienza di amicizia, essendo l’intreccio delle altre relazioni quasi sempre giocato sulla corda della tensione se non della contrapposizione che produce in alcune protagoniste agopensieri, coltellopensieri. Pensieri aspri come manghi acerbi…Una persona poteva esserti amica prima del tè e dopo il tè non esserlo più.

Una volta entrati in questa Grande Casa della borghesia tamil malese è difficile uscirne perché Preeta Samarasan è brava ad avvilupparti non solo con la trama a spirale, ma soprattutto con la selezione quasi perversa dei dettagli che costituiscono l’incanto della sua scrittura e che le traduttrici rendono con coraggioso transfert . Entrando nella Grande Casa si entra anche nella Malesia, ma sempre dalla porta del mondo tamil, gli altri, quello malese e quello cinese, stando sullo sfondo. La tentazione di vedere questo romanzo come metafora della costruzione nazionale malese, la maledetta ketuanan melayu-supremazia malese come l’apostrofano i cinesi e gli indiani in lotta per i propri diritti, è una voglia forte, ma improduttiva. Non mancano riferimenti alle vicende politiche della Malesia coloniale e post coloniale, che le Voci e i Fatti raccontano a loro modo bisbigliando nel vento, ma sono il contesto, non il succo, che sta nelle anime dei protagonisti. Così come l’ombra del vellakaran, del muso bianco che ha calcato quelle terre, aleggia ogni tanto. Ma io credo che la pretesa non banale, ma arbitraria, che Frederic Jameson poneva vent’anni fa – leggere qualsiasi narrazione post coloniale come allegoria della nazione incipiente - sia infondata. Come certi piatti tamil che devono stare a cuocere per ore impregnando di odore le stanze, così Tutto il giorno è sera è una lunghissima bollitura di sentimenti, attese, sogni, lancinanti dolori. Una corporea epopea in cui si mescolano parole e gemiti, incantevoli profumi e fetore di merda stagionata, realissime innocenze e spudorate malvagità. In questi corpi si gioca la vicenda della famiglia di Raju e della morte che fin dalle prime pagine non lascia tranquillo il lettore.  

 L’insistenza sui corpi che nel romanzo danzano le loro vite mi viene da un suggerimento che Krishen Jit , il mirabile uomo di teatro malese, propose qualche anno fa: nelle società plurali, come quella malese, si tende a pensare che il “multiculturalismo” sia una negoziazione tra corpi diversi, tra un corpo indiano tamil e uno malese o cinese, mentre invece esso si instaura in ogni singolo corpo. Le “altre “ culture, aggiungo io, non sono mai meramente “altre”, esse convivono in ogni individuo, nel suo corpo vivente in forme spesso imprevedibili e non cercate. E’ questa la ragione per cui il romanzo di Preeta non è solamente un dramma domestico della Grande Casa tamil nella nazione Malesia, ma è la mia, la nostra epica impresa di stare al mondo insieme agli altri, ai corpi di altre culture, anche quando si tratti di culture maschili e femminili.  
Dico questo non solo per l’ovvia, ma non sempre esplicita, ragione che la prima “multiculturalità” è quella di genere, ma anche perché leggendo Preeta Samarasan non ho potuto fare a meno di andare ad altre scritture asiatiche create da donne. E non mi riferisco solo alle note scrittrici del filone anglo indiano, ma penso a Ma Ma Lay, eminente scrittrice birmana e al suo La sposa birmana, in cui, come nel romanzo di Preeta Samarasan, c’è una donna, madre e moglie, che ad un certo punto della vita si ritira dal mondo perché conquistata dalla perfezione di sé, da una spiritualità ascetica che la colloca su un piano che sfiora l’anti umano. Familiari che non capiscono, disdegnano e nello stesso tempo subiscono attrazione da una vita contraria e contrariata. Un tratto che meriterebbe ulteriore scavo così da collegare il gesto ad altre scelte di corpi femminili in cerca di una vivibilità meno scontata e alle volte estrema.

L’altra connessione è con Il messaggero celeste della vietnamita Phạm Thị Hoài, in cui a condurre lo sguardo sul mondo è anche qui una bambina che sa scorgere trasparenze dove gli altri vedono solo opacità. Una voce infantile che vede di più e meglio proprio per la sua visionarietà e il suo innocente irrealismo.



Un canone femminile? Domanda da lasciare aperta per future letture.

Preeta Samarasan
TUTTO IL GIORNO E’ SERA
Trad. Anna Nadotti e Federica Oddera
Einaudi, Torino, 2010
pagg. 399, € 21,00

Sito di Preeta Samarasan: http://preetasamarasan.com/
Preeta Samarasan legge parti del suo libro: http://www.youtube.com/watch?v=G68UORjPdd4

recensione pubblicata su luglio 2010

Journal-Gyaw Ma Ma Lay, “La sposa birmana”, è pubblicato da O barra O edizioni, Milano, 2009. Traduzione dal francese di Giusi Valent.   Vedi il post a lei dedicato.

Phạm Thị Hoài, Il messaggero celeste", è stato pubblicato in italiano nel 1991 da Marietti, Genova, e da allora non più riedito.

Commenti

Post popolari in questo blog

MAHMUD DARWISH

  MAHMUD DARWISH  1941-2008

ALAREER GAZA

  REFAAT e SHAIMAA ALAREER Refaat Alareer era un poeta, scrittore e professore universitario di letteratura comparata presso la Islamic University di Gaza, ora ridotta ad un mucchio di polvere. Non ho conoscenza di nessun docente universitario italiano che si sia lamentato delle dieci università di Gaza rase al suolo né delle Medie ed Elementari ridotte in pietrisco. La poesia che si legge sotto era stata scritta il primo novembre dello scorso anno e dedicata alla figlia maggiore Shaimaa . Refaat Alareer è stato ucciso nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023, insieme ad altri 7 membri della sua famiglia, durante un raid israeliano che ha colpito la sua casa. Shaimaa Alareer , la figlia, è stata uccisa venerdì scorso, 26 aprile con il  marito Mohammed Siyam e il loro figlio Abdul Rahman di pochi mesi, in uno dei tanti bombardamenti israeliani.     Se dovessi morire, tu devi vivere per raccontare la mia storia per vendere le mie cose per comprare un po’ di carta

RESTIAMO UMANI 3

  RESTIAMO UMANI 3    Gerico dell'antichità     Gaza della contemporaneità       Allora il popolo urlò e squillarono le trombe; appena il popolo udì il suono della tromba proruppe in un possente urlo di guerra e le mura crollarono; il popolo attaccò la città, ciascuno dritto davanti a sé, e conquistarono la città. Votarono all'anatema, passando a fil di spada tutto ciò che vi era in città: uomini e donne, ragazzi e vecchi, buoi, pecore e asini.                                                                                             Giosué 6, 20-21   Allora prendemmo tutte le sue città e votammo allo sterminio tutte le città, uomini , donne e bambini e non ne lasciammo sopravvivere nemmeno uno. Ci prendemmo in bottino solo il bestiame e le spoglie delle città, che avevamo conquistate .                                                                                                      Deuteronomio 2, 34-35   No , Netanyahu , non devi trarre ispirazione da ques