La possibilità di «esistere in modo diverso»
“Una versione fiacca e edulcorata del cristianesimo
che afferma grossomodo che bisogna essere carini e che la salvezza consiste
essenzialmente nel trovare armonia e benessere nel quotidiano”. La lingua dei
bigotti, la chiama l’autore, per cui la grazia è “il desiderio di un io che non
vuole neanche per sogno lo spossessamento di sé” e il cristianesimo un
bell’umanesimo carico di valori possibilmente di bontà, solidarietà e
tolleranza. “Il cristianesimo ora cerca di mostrarsi attraente per guadagnare nuovi clienti
sul mercato della spiritualità e della ricerca di senso” Un umanesimo integrale da far concorrere
con altre ideologie e vinca il migliore. A questa soluzione si opponeva con
lucida forza qualche decennio fa un teologo recalcitrante e presto dismesso, José
María González Ruiz, in un libro perentoriamente intitolato Il Cristianesimo non è un umanesimo.
Sfacciato sicuramente lo è anche Dominique Collin [Il
Cristianesimo non esiste ancora, traduzione di Gloria Romagnoli,
Queriniana, Brescia, 2020, pagg, 197, €22,00] teologo e filosofo francese,
domenicano, “Mi stupisco che non si sia ancora fatto entrare il cristianesimo
nella lista del patrimonio materiale e immateriale dell’Unesco”, una specie di
“riserva naturale” in cui “i cristiani non disturbano, ma non sono più presi
sul serio”, vogliono “far credere che il cristianesimo sia una religione della
felicità, che è invece un anestetico, biblicamente un idolo”. Al contrario, nei Vangeli non c’è Soggetto che tenga, l’ego
è disfatto e l’impresa moderna della soggettività più che traballante: “Perché
chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita
per causa mia, la troverà”. Chi mai vuole perdere la propria vita, disfare il
proprio io?
Nel libro di Collin non c’è rifrittura del solito teologhese,
ma neppure raddoppio di dosi di comunicazione efficace e adatta ai tempi: “più
il cristianesimo comunica, meno sembra parlante”. D’altra parte nei Vangeli
Gesù parlava per parabole, non per sfavillanti sillogismi, per parole d’ordine o commoventi poesiole.
Richiedeva di essere ascoltato con altre orecchie. L’uditorio doveva chiedersi
perché non capisco? Cosa vuole veramente da me?
Il cristianesimo è stato colpito dall’insignificanza
nonostante la profusione di parole che ancora sa mettere in circolo come un
marchio di fabbrica a cui pochi ormai accedono ma molti continuano a
riconoscere. L’Evangelo [e non “il Vangelo” come cattolicizza la per altro
ottima traduzione] è “l’evento di parola che annuncia la possibilità di
esistere in modo diverso” ed è per questo che “il cristianesimo non è bell’e
fatto, ci resta da inventarlo”. Dove l’invenzione mantiene la sua duplicità
etimologica, trovare e creare. “Il cristianesimo non esiste ancora”, come
recita il titolo. “E’ un evento a-venire”.
“Dì tutta la verità ma dilla obliqua” raccomanda Emily
Dickinson. E’ ciò che fa Dominique Collin? Prima di scrivere la sua
appassionata perorazione si è guardato intorno? Ha visto quello che vedo io?
Ai cristianesimi storici sempre più in affanno,
cattolicesimo e protestantesimo soprattutto, si oppone in consistente
espansione un panorama a due andamenti contrastanti, che io qui esaspero. Il
secondo dei quali è l’unica forma di cristianesimo a guadagnare terreno ovunque
nel mondo e non casualmente è definito il quarto cristianesimo.
Da una parte un cristianesimo immerso in una spiritualità
incantevole, che non frequenta le feste di Briatore, sa calcolare le calorie
giuste, utilizza la Bibbia come prontuario di estetica interiore, frulla una miscellanea
di sacralità, fa esperienza di emozioni sempre toccanti, ama le cose amabili, insomma
fighissimo, dall’altra un cristianesimo militante, dall’etica ruvida e rigida, con
lo Spirito che soffia a gentile richiesta, entusiasmo e fervore garantiti, una gerarchia
di ruoli intoccabile, amante della legge e dell’ordine, insomma saldissimo.
Il “cristianesimo a-venire” proposto da Collin ha un
futuro?
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