Claudio Canal
Questa foto non c’entra (quasi) nulla con il libro che sto per presentare. Ha piuttosto a che fare con la nostra memoria stremata. Bambine e bambini dei Balcani in fuga dalla guerra trovano accoglienza in Siria nel 1942. Decine di migliaia di polacchi in Iran. Il va e vieni della storia e degli umani. Una Siria ondivaga nei nostri schermi mentali. Un po’ c’è, un po’ non c’è. Nell’ultima roccaforte dell’ISIS a Baghuz viene ucciso in un’imboscata Lorenzo Orsetti, Tekoser, combattente a fianco dei kurdi. Mentre si processano gli italiani vivi che hanno combattuto con i kurdi, Orsetti viene celebrato in quanto morto. Una morte tragica che rischia di diventare l’eterna bella morte, tra i residui cecchini del califfato, i battaglieri kurdi e kurde e i bombardamenti d’appoggio americani. Qualche fotogramma e di nuovo la Siria svanisce. Click e riclick in continuazione.
Sparare e filmare, far fuoco e girare un film, un video, fotografare in inglese si dicono: shooting. Su questa bivalenza Donatella Della Ratta ha sviluppato la sua ricerca confluita in Shooting a Revolution. Visual Media and Warfare in Syria, Pluto Press, che ci auguriamo sia reso presto disponibile in italiano. L’autrice ha una consistente esperienza di hacker a Damasco fin dal 2008, studiosa di media arabi, attualmente docente alla John Cabot University di Roma.
Il libro è a presa rapida, attira fin dalle prime pagine come un’avventura intellettuale che si snoda in un lungo piano sequenza tra la guerra siriana, i media social e no, i protagonisti e le comparse. Se fosse solo un pieno di buone informazioni sui media e la guerra farebbe la felicità degli addetti ai lavori e resterebbe un ottimo prodotto di nicchia Ma il testo consente due piani di lettura: uno, che scandaglia la guerra in loco, il riflettersi dei media tra di loro e l’accumulo di violenza visiva subissata di violenza reale, l’altro, che transita ovunque ci sia conflitto o discordia o tensione politica e sociale in cui la pellicola della duplicazione visiva sembra non avere mai fine, in cui il calco e il ricalco tendono all’infinito.
L’impianto interpretativo di Donatella Della Ratta, oltre a permette un’endoscopia della situazione siriana, autorizza dunque una sua estensione altrove. Se posso permettermi un esempio di bassa lega: gli oppositori di Salvini farciscono i social delle sue dichiarazioni, foto e prese di posizione, esecrandole, i suoi fans idem, plaudendole. Una circolarità che non finisce mai, neverendingness. Io la chiamo economia dello sfinimento, che non si applica solo alle prestazioni del lavoro vivo frammentato e tendenzialmente servile, ma anche alla percezione e alla mente, che alla fine si trasformano in un cimitero di immagini.
È questa circolazione, sostiene Della Ratta, che crea valore nei networks: copia, incolla, condividi, twitta, down/upload, mi piace/likeable, hashtag, mixa, remixa, rendi virale, possibilmente. Del tutto indifferente al contenuto in circolo, che sia la morte dal vivo in Siria o l’ennesima apparizione di un sinistro ministro degli interni italiano.
Ad Aleppo, a Homs oppure a Gutha la guerra e la sua ferocia sono state filmate ora dopo ora, da chi stava sul blindato, da chi gli mitragliava contro e da chi voleva documentare entrambe, immediatamente youtubizzate, trasmesse dai canali dei grandi networks, caricate sui social da chiunque tramite smartphone, consumate da mezzo mondo, in attesa della prossima mostra mercato di videate. Vittime e carnefici in ignara cooperazione.
L’autrice ricostruisce passo dopo passo le mosse sia del regime di Assad, e la sua pedagogia televisiva impregnata di modernismo illuminista-tanwir, sia, dopo il 2011, le contromosse dei ribelli che documentano i crimini del regime stesso e poi quelli dei numerosi nuovi attori sul terreno, a cominciare dall’Isis/califfato. Gli attivisti pensano che le istantanee, i videoclip che certificano l’ora dei lupi, la spaventosa violenza in atto, il suo ambiguo fascino, riusciranno a smuovere le coscienze e a sollecitare un’attiva giustizia internazionale. Ma gli occhi del mondo sono stracolmi.
Nella storia non era mai successo che la dinamica di violenza e visibilità fossero così drammaticamente invischiate, catturate e insieme addomesticate nella forma di routine esecutiva dei networks. Non si tratta di fakes o non fake news, della nobile faida tra verità e menzogna, ma di una fede insana nel web e nei media come tecnologie liberatorie in sé. Twitta e ti sarà aperto. Invece no, la macchina della smemoratezza è costitutiva della rete e va a rafforzare la già nota instabilità delle immagini che vivono normalmente entro un regime incostante. L’ipervisibilità della violenza nella guerra siriana sfocia nella invisibilità. La porn war è così massicciamente porn che non mi eccita più.
Della Ratta si attiene correttamente al campo che sta indagando in profondità, ma non è difficile riconoscere la valenza extra moenia della sua interpretazione. Le immagini etiche che mi svelano la violenza prevaricatrice, l’oppressione implacabile, la devastazione dei diritti, sono affective, ispirano, se va bene, un moto di indignazione, prestissimo sostituito dal labirinto delle indignazioni successive, non sono effective, non portano all’iniziativa e all’azione. Lo sfarfallio di pixel in cui siamo immersi ci fa godere e il naufragar m’è dolce. Ma sempre sciagura resta.
La rincorsa sfrenata delle tecnologie mediatiche e la concomitante deflagrazione dei conflitti e delle guerre, lillipuziane e mastodontiche, l’atomizzazione, lo sparpagliamento delle une e delle altre, il loro rapido incremento nel tempo e nello spazio, generano una apatia sociale difficile da risanare.
Appoggiandosi a Jacques Rancière, l’autrice ribadisce che non c’è una strada diretta tra la consapevolezza intellettuale, quando c’è, e l’azione politica.
A futura memoria.
Donatella Della Ratta, Shooting a Revolution. Visual Media and Warfare in Syria, Pluto Press, London, nov. 2018, pp. 272
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