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NUTO REVELLI

Nuto Revelli,  partigiano, 1944








                    

    Il Manifesto                                                    24 aprile 2019































claudio canal


                                                                               Nuto Revelli              e gli archivi parlanti dei vinti.   

Ieri e oggi

Partigiano, testimone, scrittore. Dal futuro ci spiega che solo l’ascolto partecipe del popolo del dolore, permetterà di trovare la parola che libera. Che il 25 aprile comincia il 26. 

«Non sono i fascisti che ci preoccupano. I fascisti – lo grido ben forte, perché li ho visti con i miei occhi – non sono dei combattenti. I fascisti li temiamo e li odiamo, sottolineo li odiamo, perché arrivano sempre dopo le operazioni di guerra, arrivano sempre dopo i rastrellamenti, al seguito dei tedeschi. I fascisti sono feroci nelle rappresaglie contro la popolazione, contro gli inermi». Scriveva Nuto Revelli, morto quindici anni fa e nato cent’anni fa.
Le ricorrenze lasciano il tempo che trovano e trovano noi pronti a ripetere che Nuto non è solo il partigiano, il testimone, il memorialista, che già basterebbe, ma è soprattutto uno dei più grandi scrittori dei nostri tempi. Se per nostri si intende domani e dopodomani.
Nuto Revelli chi? Un giovanissimo alpino, sottotenente d’accademia che nel 1942 parte per il fronte orientale, insieme ad altri 230.000 soldati italiani, in quella che ancora oggi viene definita Campagna di Russia o Ritirata di Russia e mai per ciò che è veramente stata, una aggressione all’Unione Sovietica. Pianificata da Mussolini per accaparrare quello che vaneggia sarà il bottino di guerra e per far dimenticare l’umiliazione di non essere stato capace di invadere la Grecia. L’attacco avrà un risultato disastroso sia per i tedeschi sia per gli italiani, che in 90.000 non torneranno più. Rientrato nel 1943 Revelli, dopo l’8 settembre, partecipa alla formazione di bande partigiane nel cuneese, ne diventa comandante e si scontra duramente con fascisti e nazisti.
Terminata la guerra il geometra Revelli avvia l’attività di commerciante in ferro e contemporaneamente comincia a risarcire il debito di memoria per chi è rimasto nella steppa e per chi è tornato ammutolito e guasto.
Saranno tre straordinari libri di bianca allucinazione: La guerra dei poveri, La strada del davaiL’ultimo fronte. Verranno poi Il mondo dei vinti e L’anello forte, la contadina commedia di uomini e donne attraversati dalle turbolente trasformazioni del secolare paesaggio umano della montagna e della campagna. Sono anche l’epica dell’ascolto, messa al lavoro da Nuto, in solitudine quasi perfetta. Conosce la loro lingua, non solo nel senso che parla il medesimo dialetto aguzzo, ma soprattutto perché riconosce il loro mondo e il loro essere al mondo. Lo prende e lo trapianta in quel terreno che in Occidente abbiamo deciso di battezzare Letteratura.
Verranno poi ancora un inarrivabile tedesco buono, Il disperso di Marburg, e un prete non prete, Il prete giusto.
Nuto Revelli indaga gli archivi parlanti che sono le persone con cui dialoga, i vinti.  Vinti, gente vinta, dimenticata, non perché non ha saputo lottare, ma perché bastonata, colpita alle spalle. E se vieni colpito alle spalle non sai neppure a chi dare la colpa. Contro chi rivoltarti.
I vinti e gli anelli forti, le donne, cui Revelli dà la parola appartengono a generazioni passate, ma è come se fossero nati oggi, tanta è la distanza che prendono dal loro mondo e così forte il desiderio di uscirne, dalla notte del mondo.
Voglio che parlino gli emarginati di sempre, i sordomuti, i sopravvissuti al grande genocidio, come parlerebbero in una democrazia vera. È il mondo dei vinti che mi apre alla speranza, che mi carica di una rabbia giovane, che mi spinge a lottare contro la società sbagliata di oggi.
Non è che adesso manchino i vinti, è che hanno indossato la maschera di vincitori e, come tali, digrignano i denti nell’illusione che basti, aizzati da bellimbusti di governo e di opposizione, da trafficanti di retorica e di strepito, dal fascismo che non muore. Dal futuro Nuto Revelli ci spiega che solo l’ascolto partecipe del popolo del dolore, solo il riconoscimento della sofferenza personale e collettiva permetterà di trovare la parola che libera. Che il 25 aprile comincia il 26.
E noi così cominceremo. Infatti la scena di Ti ricordi, Nuto? si propone non a caso nei locali di una Società di Mutuo Soccorso d’ambo i sessi nata nel 1908 a cui la partecipazione è libera, laica, antifascista.
Oggi è la ballata scenica a rimescolare le carte e con la parola, la musica, la danza, le immagini, i silenzi, lascia che sia Nuto Revelli a commemorarci.





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