Passa ai contenuti principali

A. SCURATI E LENIN


LENIN, FUCILI E SOLDI DI PLASTICA

Appartengo ad una specie non protetta in via di estinzione: sono un lettore di quotidiani.

Su La Stampa del 28 agosto 2018 leggo il reportage del noto scrittore Antonio Scurati sul suo viaggio di mezza giornata in Transnistria. Una regione della Moldavia [già Bessarabia] che ha partecipato alle convulse vicende della seconda guerra mondiale e che al crollo dell’Unione Sovietica si è dichiarata nel 1990 repubblica indipendente e, due anni dopo,  ha ingaggiato una guerra durata quattro mesi con la Moldavia stessa.

Si chiama ufficialmente  Repubblica Moldava di Pridniestrov, riconosciuta praticamente da nessuno.

Il quotidiano pubblica una utile cartina in cui però compaiono miracolosamente due Odessa, una sul mare e una all’interno. Quale quella vera? I grafici burloni del giornale lasciano al lettore la decisione.


 Le due pagine del reportage, arricchito dalla foto del noto scrittore, ci parlano, come recita il titolo, di Lenin, fucili e soldi di plastica [leggi il testo completo qui sotto] E poi alla frontiera  irrompe il brivido della sanguinosa storia del Ventesimo Secolo. Infatti appare un militare, forse armato di Kalashnikov, ma non potrei giurarciHic sunt leones…Noi il confine lo attraversiamo senza intoppi, nonostante i leones. 

Quindi la cronaca della visita, banconote e monete di plastica, la fortezza rinascimentale, breve sintesi di una terra, la Moldavia, per secoli contesa tra Occidente e Oriente, tra Romania e Russia, tra Europa e Asia, tra fantasticherie democratiche e reali dispotismi ancestrali , infine , lo scontro del 1992. Segue un piccolo supermercato sormontato da una vistosa insegna che urla al mondo il proprio nome in  caratteri latini, al mercato kolchoziano una giovane macellaia tardo-sovietica, con il proverbiale fazzoletto annodato al capo, volta addirittura una testa mozzata di maiale perché io possa fotografarla…Poi, però, si rifiuta di essere fotografata a sua volta. Non vuole diventare un souvenir.  

Finalmente la prova letteraria dal vivo:  una grandiosa statua di Lenin svetta in cima ad una colonna monumentale. Anche il suo sguardo punta verso un orizzonte lontano che, in verità, è già alle sue spalle. Il vento di una storia estinta gli gonfia un mantello di pietra.

Più avanti: compriamo qualche souvenir in un negozio che non vende souvenir. Le commesse parlano solo russo. Ogni comunicazione per noi è impossibile. Già

Dopo pranzo riprendiamo la via di casa. La sottile malinconia esalata da questa scheggia di storia del Novecento incistata sotto pelle a un secolo senza storia ci accompagna. 


Come si vede, non c’è bisogno di andare nell’Africa Nera per avere uno sguardo coloniale, non solo per il detto, quanto per il non detto.

Per farla breve, in Transnistria a cominciare dal 1941 furono deportati dal governo romeno del generale Antonescu tra i 150.000 e i 170.000 ebrei [e rom]. 90.000 vi hanno perso vita. 

Tutta la regione trasformata in un enorme campo di concentramento.

D’altra parte la buona volontà dei romeni (fascisti) si era già dimostrata nel giugno del 1941 con il terribile pogrom di Jaşi, capitale culturale della Romania e storico centro della cultura ebraica, in cui in pochissimi giorni furono ammazzati dalla polizia romena e da volenterosi collaboratori più di 13.000 ebrei. Chi ha letto Kaputt di Curzio Malaparte, sa di che cosa parlo.

Com’è? Scheggia di storia del Novecento incistata sotto pelle a un secolo senza storia ecc. Chi è che la cancella la storia? 



Metti che  qualche noto scrittore o giornalista voglia informarsi, io sono disposto a mandargli in formato pdf e simili almeno i seguenti testi:

- Cartea Neagra [Libro Nero] di Matatias Carp, ebreo romeno, libro scritto "in diretta" e pubblicato nel 1946.  Posso fornire l'originale romeno, la traduzione in inglese e in francese. Non in russo, per carità.  Per anni ho cercato un editore italiano interessato a pubblicarlo. Niente di niente. 

- i diversi volumi di Jean Ancel, Documents concerning the fate of Romanian Jewry during the Holocaust, New York, 1986.

 Dennis DeletantHitler’s forgotten ally : Ion Antonescu and his regime, Romania 1940–44, 
PalgraveMacMillan, New York, 2006

Alexandru Florian (ed.), Holocaust Public Memory in Post Communist Romania, Indiana University Press, Bloomington, 2018.

Ordinabili in libreria:

Selma Meerbaum, di  Černivci, in ucraino, in romeno Cernăuți, in tedesco Czernowitz, in yiddish Tshernovits ...compaesana e cugina di Paul Celan, viene deportata giovanissima in Transnistria dove muore  nel 1942 a diciotto anni. 
Ha avuto appena il tempo di scrivere una cinquantina di poesie, pubblicate in italiano:  Florilegio, Edizioni Forme Libere, Trento, 2015,  e  Non ho avuto il tempo di finire. Poesie sopravvissute alla Shoah. Testo tedesco a fronte, Mimesis, 2009.










La Stampa 28.8.18
Lenin, fucili e soldi di plastica
Nel cuore della Transnistria, la repubblica sovietica che non c’è
Lo Stato moldavo si è autoproclamato indipendente nel ’90. È riconosciuto solo da Abcasia e Ossezia. Niente bancomat né telefono, il tempo è fermo al comunismo. E i soldati russi pensano alla sicurezza
Reportage di Antonio Scurati

Se arrivi fin qui, ci arrivi per il confine. Ed eccolo lì, il confine. Appare dopo una svolta della strada, in una radura aperta nel mezzo di un boschetto di platani. La Transnistria, l’ultima, leggendaria, fantomatica e famigerata Repubblica dei Soviet sulla faccia della Terra, sta oltre questa fila di automobili e vecchi camion disciplinatamente accodati davanti a una guardia di frontiera. 
Il primo dei tre check point è del tutto ordinario: un doganiere moldavo in divisa grigia, piantato sulla linea di mezzeria, getta un’occhiata distratta ai passeggeri dell’automobile e regola il transito con un lieve cenno di assenso della testa. Ma già al secondo punto di controllo, pochi metri più avanti, irrompe il brivido della sanguinosa storia del Ventesimo Secolo. Un fante della ex Armata Sovietica si avvicina all’auto imbracciando un fucile d’assalto. La suggestione mi suggerisce che si tratti di un AK-47, un Kalashnikov, ma non potrei giurarci. Di certo è un carro armato di fabbricazione sovietica il veicolo da combattimento che sorveglia il ciglio della strada. Con un idiotico riflesso condizionato da turista globale, alzo il mio smartphone verso il parabrezza dell’auto per scattare una foto. 
«Abbassa subito quell’aggeggio. Altrimenti ci tengono qui tutto il giorno. Se ci va bene». Alfredo, il nostro accompagnatore, mi fulmina con un tono di voce perentorio che non aveva mai adottato finora.  
I punti di controllo  
Dopo la gincana tra i rostri anticarro, al terzo check point, un funzionario ci restituisce i passaporti intonsi ma corredati da un tagliando stampato a caratteri cirillici. L’autoproclamata Repubblica moldava di Transnistria (Pridnestrovie) non può, infatti, disporre nemmeno di un proprio visto da apporre sul passaporto dei suoi rari visitatori. Così come non può disporre di una targa automobilistica propria, della convertibilità della propria valuta, del collegamento internazionale del proprio sistema bancario e via dicendo. Niente bancomat, niente telefoni, nessuna relazione diplomatica. Oltre questo confine, fino a pochi mesi fa, cessava perfino il valore delle coperture assicurative automobilistiche stipulate nel resto del mondo. Oltre questo labile confine si apre, insomma, una falla nella rete dell’interconnessione globale che oramai si estende pressoché sull’intero Pianeta.  
Il ministero degli Esteri italiano sconsiglia il viaggio per assenza di relazioni diplomatiche  
E, del resto, il sito Viaggiare Sicuri del ministero degli Affari Esteri italiano sconsiglia di attraversarlo, perché oltre questo confine, in assenza di relazioni diplomatiche, l’Italia dichiara di non poter far nulla per i propri cittadini. Soltanto due nazioni al mondo riconoscono, infatti, ufficialmente questa autoproclamata repubblica sovietica di Transnistria: l’Abcasia e l’Ossezia del Sud. Non ne riconosce l’esistenza nemmeno la Russia, che pure la garantisce con i propri soldati. Una sorta di punto cieco sulla mappa delle relazioni internazionali, una terra incognita nella cartografia della contemporaneità. Hic sunt leones. 
Le monete giocattolo  
Noi il confine lo attraversiamo senza intoppi. Non appena superata la linea di demarcazione, prima sosta per cambiare il leu moldavo nel rublo transnistriano in un piccolo supermercato sormontato da una vistosa insegna che urla al mondo il proprio nome in caratteri latini: Sheriff. Oltre a banconote cartacee, ci vengono consegnate alcune monete di plastica simili ai gettoni delle roulette-giocattolo. Pare che un microchip interno ne garantisca la validità. E pare che anche questa sia un’altra unicità assoluta a livello mondiale. In ogni caso, ci viene detto che avremo ben poche occasioni di spenderle. 
L’ultimo atto della guerra  
Dopo una visita all’imponente fortezza rinascimentale che da secoli sorveglia la sponda europea del fiume Nistro (Dnestr) – a testimonianza del fatto che da sempre questo è un confine di sangue – sbarchiamo nella città contesa di Bender, ancora sulla riva destra del fiume. Qui, nel luglio del 1992, si consumò l’ultimo, sanguinoso atto della cosiddetta Guerra di Transnistria che tenne a battesimo questo Stato fantasma. In estrema sintesi, le cose andarono così: per secoli contesa tra Occidente e Oriente, tra Romania e Russia, tra Europa e Asia, tra fantasticherie democratiche e reali dispotismi ancestrali, crollata l’Urss, la Moldavia, spalleggiata dai cugini romeni, se ne proclamò indipendente, chiedendo alla 14esima Divisione dell’esercito Sovietico d’istanza in Transnistria di abbandonare quello che i Moldavi consideravano parte del proprio territorio nazionale. 
Nel ’92 le forze moldave entrarono a Bender. I russi minacciarono: “Fermi o vi invadiamo”  
A seguito del rifiuto dei generali russi di consegnare i colossali depositi di munizioni e la loro più avanzata testa di ponte verso l’Europa, i rappresentanti della minoranza russa e ucraina della popolazione (poco meno del 50%) si dichiararono a loro volta indipendenti dalla Repubblica di Moldova. Ogni velleità militare dei Moldavi fu frustrata nel giro di un paio di mesi dai miliziani transnistriani, sostenuti da volontari accorsi da varie regioni della Russia, da corpi speciali dell’esercito russo e da soldati della guarnigione che combattevano senza mostrine. Quando, nel giugno del 1992, le forze moldave entrarono a Bender minacciando il ponte sul Nistro, il generale Lebedev ordinò ai cosacchi acquartierati a Tiraspol – l’attuale capitale, a soli 11 km di distanza, oltre il fiume – di riversarsi in città. Poi telefonò al presidente della Repubblica di Moldova minacciandolo così: «Se viene esploso ancora un solo colpo sulla sponda sinistra del Nistro, domattina farò colazione a Tiraspol, pranzerò a Chisinau e cenerò a Bucarest». Fine dei giochi. 
Stranieri come alieni  
I colpi di artiglieria sparati dai russi contro la fiancata del municipio di Bender sono ancora ben visibili quindici anni dopo la battaglia. Crateri nel cemento lasciati lì come monito per eventuali rivalse irredentistiche. Ci vengono mostrati sulla strada per il mercato kolchoziano di Bender, dove i contadini dell’Urss, riuniti in cooperative agricole, potevano vendere quote dei prodotti della collettivizzazione. In qualsiasi altro luogo del pianeta, questo genere di mercato è, oramai, solo una pagina di storia. Qui a Bender è ancora realtà. Ci aggiriamo tra batterie di bilance Anni 50 che farebbero la felicità delle boutique di modernariato di Milano e tra piramidi di salsicce. Il mercato è vivace e il nostro passaggio calamita gli sguardi.  
Il mondo un po’ l’ho girato, anche in luoghi remoti e sperduti, ma mai mi sono sentito tanto «straniero» quanto in questo lembo estremo d’Europa. Bender dista soltanto due ore d’auto da Chisinau, capitale della Moldova, e Chisinau soltanto due ore di volo da Milano. Eppure, la presenza di due milanesi al mercato kolchoziano di Bender suscita più scalpore di uno sbarco alieno. C’è sorpresa, però, non ostilità e nemmeno diffidenza. Una giovane macellaia tardo-sovietica, con il proverbiale fazzoletto annodato sul capo, volta addirittura una testa mozzata di maiale perché io possa fotografarla. La afferra per le orecchie – che qui sono considerate una prelibatezza – e la gira in favore di camera. Poi, però, si rifiuta di essere fotografata a sua volta. Non vuole diventare un souvenir. Il maiale decapitato ok, ma lei no. Non mi sento di biasimarla. 
Falce e martello  
Quando, finalmente, attraversiamo il ponte sul Nistro per raggiungere Tiraspol, la capitale, aumenta la straniante sensazione di percorrere una sorta di geografica terra di nessuno, un territorio impigliato in una sensazione extratemporale aperta dalla contraddizione tra insuperabile tra un passato che non passa e un futuro irraggiungibile. È come se un eccesso di coscienza storica – la memoria del comunismo e delle guerre patriottiche – avesse trattenuto questo lembo di terra al di fuori del tempo storico. Le insegne e i simboli del comunismo – falce e martello, martello intrecciato a spighe di grano, stelle a cinque punte – si moltiplicano lungo il Viale degli eroi ma si intrecciano, a loro volta, a emblemi parossistici di un capitalismo mal digerito. Costeggiamo uno stadio ultramoderno – il Tiraspol gioca in Europa League, mi dicono, ma le squadre ospiti soggiornano sempre a Chisinau – sovrastato anch’esso dall’insegna della Sheriff, scorgiamo le vetrine di una boutique multimarca che sfoggia le griffe dell’alta moda europea ma sfiliamo su un immenso viale deserto e rigorosamente geometrico in perfetto stile sovietico che culmina nel mausoleo agli eroi della Resistenza. Statue in marmo nero di combattenti della Seconda guerra mondiale affiancano quelle degli «eroi del ’92» sotto l’egida di un carro armato che, sollevato su di una pedana di basalto, punta il suo cannone verso l’orizzonte. Dall’altro lato della strada, una grandiosa statua di Lenin svetta in cima a una colonna monumentale. Anche il suo sguardo punta verso un orizzonte lontano che, in verità, è già alle sue spalle. Il vento di una storia estinta gli gonfia un mantello di pietra. Dietro di lui, il palazzo del Soviet Supremo, barriera di cemento e vetro, chiude, definitivamente, ogni altro orizzonte. 
Sull’altro versante della passeggiata, l’unico ristorante che si scorge nel centro di Tiraspol evoca l’altra leggenda che aleggia sulla Transnistria, alimentata in Italia da libri e film di successo, presto dimenticati, e da sensazionali scoop televisivi: la leggenda dello Stato criminale dove è lecito ogni traffico illecito, dove si può acquistare una bomba all’uranio impoverito ad ogni angolo di strada. Il ristorante propone cucina italiana e si mostra fiero di chiamarsi Mafia. È uno dei pochissimi locali commerciali di tutta Tiraspol che non sia di proprietà della Sheriff, holding pressoché monopolistica controllata dall’oligarchia politica che governa questo Paese che non c’è.  
La sottile malinconia  
Ma nessuna traccia di quella supposta essenza criminale è visibile ai nostri occhi di turisti della sclerosi storica. Vediamo soltanto ampi viali ordinati e puliti – non una cicca per terra -, monumenti a eroi caduti, insegne della Sheriff, palazzi per l’educazione della gioventù sovietica, busti di Lenin, le insegne delle ambasciate di Abcasia e Ossezia che, neglette dal resto del mondo, si stringono l’una di fianco all’altra come a volersi tener compagnia.  
Qualche cittadino si tuffa nel fiume Nistro da una sponda sabbiosa per sfuggire alla calura agostana. Compriamo qualche souvenir in un negozio che non vende souvenir. Le commesse parlano solo russo. Ogni comunicazione è per noi impossibile. Pranziamo con due lire in un locale alla buona al piano superiore di un supermercato sovrastato dall’insegna Sheriff. Poi riprendiamo la via di casa. La sottile malinconia esalata da questa scheggia di storia del Novecento incistata sotto pelle a un secolo senza storia ci accompagna. 
L’economia è in mano alla Sheriff, holding dell’oligarchia politica che governa il Paese  
Oltre il confine, nella Repubblica di Moldova che guarda all’Europa, le contraddizioni invalidanti non sono, poi, meno estreme. Il governo in carica ha da poco annullato le elezioni comunali che avevano eletto sindaco un rappresentante dell’opposizione e l’erario pubblico ancora non è riuscito a recuperare l’enorme somma che un precedente Presidente aveva sottratto alle magre casse dello Stato trasferendola su un proprio conto all’estero. Vista dalla sponda occidentale del fiume Nistro, l’Europa del libero mercato, dei diritti civili, della democrazia liberale appare senz’altro più vicina ma, a ben guardare, potrebbe trattarsi dell’inganno di un genio maligno della storia. Eppure, mentre i cugini transnistriani rimangono fieramente fossilizzati come insetti preistorici nella loro goccia d’ambra sovietica, un milione di moldavi possono già oggi circolare liberamente in Europa grazie ai doppi passaporti generosamente rilasciati dalla vicina Romania. 
Ci attende, indubbiamente, per gli anni e per i decenni a venire, il compito di una profonda meditazione sui confini.  

Commenti

Post popolari in questo blog

MAHMUD DARWISH

  MAHMUD DARWISH  1941-2008

ALAREER GAZA

  REFAAT e SHAIMAA ALAREER Refaat Alareer era un poeta, scrittore e professore universitario di letteratura comparata presso la Islamic University di Gaza, ora ridotta ad un mucchio di polvere. Non ho conoscenza di nessun docente universitario italiano che si sia lamentato delle dieci università di Gaza rase al suolo né delle Medie ed Elementari ridotte in pietrisco. La poesia che si legge sotto era stata scritta il primo novembre dello scorso anno e dedicata alla figlia maggiore Shaimaa . Refaat Alareer è stato ucciso nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023, insieme ad altri 7 membri della sua famiglia, durante un raid israeliano che ha colpito la sua casa. Shaimaa Alareer , la figlia, è stata uccisa venerdì scorso, 26 aprile con il  marito Mohammed Siyam e il loro figlio Abdul Rahman di pochi mesi, in uno dei tanti bombardamenti israeliani.     Se dovessi morire, tu devi vivere per raccontare la mia storia per vendere le mie cose per comprare un po’ di carta

RESTIAMO UMANI 3

  RESTIAMO UMANI 3    Gerico dell'antichità     Gaza della contemporaneità       Allora il popolo urlò e squillarono le trombe; appena il popolo udì il suono della tromba proruppe in un possente urlo di guerra e le mura crollarono; il popolo attaccò la città, ciascuno dritto davanti a sé, e conquistarono la città. Votarono all'anatema, passando a fil di spada tutto ciò che vi era in città: uomini e donne, ragazzi e vecchi, buoi, pecore e asini.                                                                                             Giosué 6, 20-21   Allora prendemmo tutte le sue città e votammo allo sterminio tutte le città, uomini , donne e bambini e non ne lasciammo sopravvivere nemmeno uno. Ci prendemmo in bottino solo il bestiame e le spoglie delle città, che avevamo conquistate .                                                                                                      Deuteronomio 2, 34-35   No , Netanyahu , non devi trarre ispirazione da ques