UGUALI E CONTRARIE
due storie buddhiste
ho pubblicato su Il Manifesto del 17 giugno 2015
il seguente articolo
U Wirathu |
Due
storie buddhiste uguali e contrarie.
La
prima è nostra contemporanea. Inizia a Mandalay, la capitale precoloniale della
Birmania/Myanmar, e racconta di un
monaco indaffarato ad agitare gli animi. A predicare che se sei birmano devi
essere buddhista e nient’altro. Soprattutto non sei musulmano e se lo sei, devi
andartene dal paese. Una xenofobia eccitata e incendiaria che ha già fatto
troppe vittime, soprattutto tra i Rohingya, popolazione che abita lo stato Rakhine [già Arakan], che infatti sta
fuggendo e perdendo vita e speranza nell’Oceano Indiano. U Wirathu, il monaco in questione, predica la
purezza birmana del buddhismo ed ha animato un movimento islamofobo, denominato,
secondo una numerologia buddhistica, 969.
Reticente è invece Aung San Suu Kyi
e il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia-LND, per timore di
contrastare il diffuso sentimento che equipara birmano con buddhista e che
complica da sempre il rapporto con le minoranze sia etniche sia religiose, cristiani, induisti
ecc.
L’attivismo
di U Wirathu non si ferma ai confini nazionali. A settembre è stato ospite di
primo piano in Sri Lanka al congresso del Bodu
Bala Sena, Forza di Potere Buddhista, una formazione altrettanto radicale e
islamofoba. Una incipiente internazionale del buddhismo razzista? Quando a
gennaio si è presentata a Yangon la relatrice delle Nazioni Unite per i diritti
umani, la sudcoreana Yanghee Lee, proprio per verificare tra l’altro la pulizia
etnica contro i Rohingya, U Wirathu l’ha pubblicamente qualificata come strega
e puttana. Sappiamo dove porta questa retorica di disumanizzazione
dell’avversario.
[ il discorso di U Wirathu contro l'inviata dell'ONU: qui ]
Canta un’altra canzone la storia buddhista che si conclude a Maymyo, a settanta chilometri di Mandalay, dove la primavera sconfigge le altre stagioni. Una ininterrotta scena di fiori e di alberi, di cascate e di ombre. La luce, non si sa come, attecchisce alla pelle. Una piccola pagoda bianca, priva della pomposa imponenza che spesso emanano le architetture buddhiste, conserva i resti di un monaco tra i più significativi della storia del buddhismo mondiale. Lokanatha, il suo nome, morto di cancro a sessantanove anni nel 1966, dopo una vita vissuta tra Asia Europa e America. Una esistenza agitata da un sogno, da una utopia perseguita senza compromessi, quella della progressiva conversione al buddhismo dell’umanità, a cominciare dai suoi leaders, e, di conseguenza, il raggiungimento della fratellanza universale e della pace. Fa sorridere, ma era meno indecente di utopie con altri nomi diffuse con carri armati, droni o kalashnikov.
Il
monaco buddhista Lokanatha altri non era che Salvatore Cioffi, nato nel 1897 a
Cervinara in provincia di Avellino. Ha quattro anni quando la sua famiglia emigra a New York. Si
laurea in chimica nel ’22, lavora alla
Procter & Gamble, parla il francese, suona il violino, si iscrive alla
Scuola di Medicina e Chirurgia della Columbia University, ma la dissezione
degli animali contrasta con il suo profondo sentire. Diventa vegetariano. Qualcuno
gli passa un libro: “E’ stato il Dhammapadha che cambiò completamente la mia
vita. Divenni buddhista leggendolo”.
Sono 423 versetti, una sorta di testamento spirituale del Buddha, una
sintesi della dottrina. Lascia la famiglia, si imbarca verso est.
Ma
il monaco Lokanatha vede non solo se
stesso, vede soprattutto l’infelicità cronica del mondo, vorrebbe porvi
rimedio, perciò concerta nei primi Anni Trenta alcune spedizioni missionarie di
monaci dal Sud Est Asiatico a Bodh Gaya in India, nel luogo in cui Siddhartha Gautama raggiunse l’illuminazione
e divenne il Buddha storico. Una specie
di pellegrinaggio energetico in vista della futura buddhizzazione dell’umanità.
No, non gli sarebbe piaciuta questa parola, consentita però dalla
determinazione con cui persegue il suo disegno missionario.
Nel 1935 e nel ‘36
aveva avuto lunghi colloqui in India con
Bhimrao Ramji Ambedkar di cui è bene
abbondare in definizioni: padre, anch’egli, della Costituzione indiana,
filosofo, economista, rivoluzionario, scrittore, ecc. Soprattutto dalit cioè
paria, fuori casta, intoccabile, diciamo noi. Con l’induismo non si esce dal
sistema chiuso delle caste, con il buddhismo sì, spiega Lokanatha. Vent’anni
dopo Ambedkar si converte pubblicamente
e con lui centinaia di migliaia di dalit indiani diventano buddhisti. Una delle
più grandi conversioni di massa della storia.
Nell’ora dei lupi
della seconda guerra mondiale gli inglesi internano Lokanatha in India. Perché è italiano, dunque nemico
dichiarato, o perché è stato discepolo del noto monaco anticolonialista U Wisara, morto di digiuno politico in carcere? Dieci
anni dopo stessa sorte per U Ottama.
Intrecci dell’anima e del mondo, politica e mistica senza confini.
Dopo la guerra mondiale, il buddhismo appare a Lokanatha come “una
bomba atomica d’amore”. Torna negli Stati Uniti nel 1948, dopo aver predicato a
Singapore, Manila, Hong Kong, Shanghai Nel ’49 è il momento del tour europeo.
Prima di Londra e altre capitali, passa anche a Torino, dove stava traducendo
proprio il Dhammapadha Eugenio Frola, ingegnere
e matematico, professore di geometria descrittiva al Politecnico, e fondatore
di un luogo di auscultazione della
ragione, il Centro Studi Metodologici, con Nicola Abbagnano, Norberto Bobbio,
Ludovico Geymonat.
La lunga peregrinazione si conclude nel 1951 con il ritorno in Birmania a tessere
altri legami, altri incontri e congressi
internazionali buddhistici mai avvenuti prima. Lo anima una specie di
passione che diresti poco buddhista: preparare il terreno per una vasta
campagna mondiale di conversione. L’umanità deve sapere che il grande dolore
del vivere può essere messo a tacere, che il buio del mondo può essere
sopraffatto dalla luce. Avvolgere il mondo con la verità aveva scritto anni
prima.
Un piccolo dolore incide nella sua testa, poi,
sempre più grande, lo porta alla morte, il 25 di maggio del 1966 tra i fiori
profumati di Maymyo.
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
AGGIORNAMENTI:
Htin Lin Oo, è stato condannato ai primi di giugno a due anni di carcere e ai lavori forzati per aver criticato in un incontro pubblico dello scorso ottobre 2014 la discriminazione razziale e religiosa predicata dai monaci nazionalisti e per aver affermato che questo atteggiamento non ha niente a che fare con il buddhismo. qui
Mi piace ricordare che il sindaco di Torino, Pietro Fassino, è ancora l'inviato speciale dell'Unione Europea per Myanmar e che il 19 maggio scorso, in un incontro a Torino con il sindaco di Yangon, ha dichiarato :
Myanmar e' un Paese che sta facendo una transizione molto importante, sta portando avanti un percorso di democratizzazione e si sta aprendo al mercato. Offre occasioni di investimento, scambio e lavoro, che la nostra città e le nostre imprese vogliono cogliere, sempre nell'ottica di una crescente internazionalizzazione.
Sono quasi certo che farà sentire la sua autorevole voce contro questa condanna.
Diversi post dedicati ai Rohingya si trovano su questo blog:
24.03.2013, 05.12.2012, 13.06.2012 e, sul tema delle nazionalità in Myanmar, 2.09.2009
Commenti
Posta un commento