Passa ai contenuti principali
NON MI FA SENSO 

articolo pubblicato sul fascicolo 20, 2014, di 
Paideutika, dedicato a Senso e azione


Mi pare di sapere
come è andata

tutta la vita
una passeggiata
scombinata.
Attilio Lolini

Rocco,  “l’imprescindibile”, è  il narratore della storia. Ha undici  anni ed è in coma da  diversi mesi. Così  nella miniserie della TV Braccialetti Rossi, che  ha  spopolato tra  milioni di adolescenti.  

Alla loro età io ero catturato da Pippo, Pertica e Palla, e da Cocco Bill di Jacovitti

Miley Cyrus canta praticando il twerking in scena, simulando (simulando?) masturbazione, fellatio, ecc. e su YouTube uno dei suoi video è stato visto fino a quest’istante da 610.401.548 persone, me compreso. Ancora oggi io sono incantato dalla scena della gonna bianca di Marylin Monroe sollevata dall’aria della metropolitana in Quando la moglie è in vacanza.


Queste notizie di “vita vissuta”    che 
interessano solo me stanno però ad indicare che il divario generazionale è tutt’altro che una fandonia e che la costruzione mondializzata di un senso immaginifico  comune fa passi da gigante.


E’ una premessa forse inutile, ma un po’ rende conto delle 
variabili  epistemologiche che si incrociano anche stando fermi, non muovendo il pensiero in questa o quella direzione, ma semplicemente avendo un certo numero di anni, appartenendo ad un genere, vivendo in una qualche parte del mondo ecc. A maggior ragione se il tema da  lavorare riguarda la “questione del senso”.

La mia idea è che di “senso” ce n’è troppo, che andiamo, forse ci siamo già arrivati, ad una saturazione del senso come dei sensi. Che siamo in un’epoca di troppo pieno, non di troppo vuoto. Ho scritto “dei sensi” perché la semantica porta lì, inevitabilmente, e ci trascina verso il postumano/transumano dove i sensi del corpo o scompaiono o si ibridano, si disincarnano o si riplasmano. Ma questo è un percorso che non mi interessa in questo momento, lo si può tener d’occhio di sbieco grazie alle provocazioni di Peter Sloterdijk,  di Donna Haraway o di Rosi Braidotti.

Dunque, non siamo privi di sensi, siamo però oberati dal senso. Ad ogni traccia dell’esistente, viene riconosciuto un senso, che sia un ovulo appena fecondato che viene automaticamente promosso di grado o un vivente che non ci assomiglia e assume la forma dello straniero, una pratica umana come il nutrimento che diventa una gastrosofia perentoria che tutto impregna o un aggeggio di comunicazione che colonizza le nostre vite, e così via. 

Ogni gesto umano e non, ogni movimento del reale viene  inquadrato in una tassonomia che possiamo sì decostruire per costruirne però subito dopo un’altra. La rapidità con cui l’assegnazione di senso si dispone e si produce nelle nostre teste porta ad uno stordimento quasi incantatorio che non ci permette più di riconoscere ciò che di incerto c’è nell’esperienza umana singola e collettiva. E’ una frenesia che può far male alla vita perché ci lascia nudi di fronte all’ in-sensato che si muove dentro di noi e che circola nel reale, all’inconcepibile che riconosciamo presente nel mondo e in noi stessi. Mi rendo conto che messo così superficialmente può dar adito a derive miracolistiche di varia natura, ma so di essere tra queste pagine in buone mani. Non sto scrivendo su Miracoli, rotocalco di successo che spreme settimanalmente  il “soprannaturale” da ogni azione umana e naturale e inconsapevolmente traccia una antropologia aggiornata di noi italiani.

Prendo a prestito una situazione che ci è nota: noi tutti ricordiamo un/a  insegnante che ci ha particolarmente colpito, che nella memoria sappiamo riconoscere sulla scena della classe come  un’ora diversa dalle altre. Certo, la preparazione, la competenza, l’oratoria e quant’altro, ma soprattutto un quid indefinibile che era la testimonianza di sé che metteva in moto la relazione con una vera e propria erotica che vivificava i suoi rapporti con noi  (quest’idea, purtroppo, non è mia, ma di Foucault). 

Insegnare vuol dire lasciare il segno. Un tatuaggio simbolico.  Questo è l’aspetto incalcolabile, forse perfino indefinibile, segreto, della relazione pedagogica e tuttavia non è spiritistico, può e deve essere scrutato, così come si indaga una sonata  di Beethoven senza mai veramente esaurirla, neppure alla tastiera. Gli si può assegnare senso forse solo in netta contrapposizione alla macchina amministrativa, ingegneristica, burocratica che si sta impossessando della scuola italiana dal nido all’università, quella che vuole trasformare tutti, professionisti dell’educazione, gli insegnanti,  i clienti, gli studenti,  in imprenditori del proprio capitale umano, componenti di una scattante azienda educativa farcita di debiti, crediti, saldi, domande e offerte (formative) La piovra non dà scampo, si nutre di ogni rimasuglio in cui una qualche formazione abbia modo di galleggiare. 


Ho tra le mani un Modulo di formazione impresa – 24 ore - art. 4 D.Lgs. n. 167/2011 s.m.i. – Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere destinato  a camerieri e pizzaioli e gestito da agenzie formative in appalto regionale. Tra le Nove competenze chiave scelgo la n. 3: Comunicare o comprendere messaggi di genere diverso (quotidiano, letterario, tecnico, scientifico) e di complessità diversa, trasmessi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali) o rappresentare eventi, fenomeni, principi, concetti, norme, procedure, atteggiamenti stati d’animo, emozioni, ecc. utilizzando linguaggi diversi e diverse conoscenze disciplinari, mediante diversi supporti. Il pizzaiolo non ha bisogno di me per mandare a quel paese i formatori, sa farlo in piena autonomia. Qui la neolingua blatera e codifica  un senso la cui forma di manifestazione sta tutta nel “salva con nome”.  Idee, progetti, sguardi, relazioni, saperi vengono insaccati in un file mentale apribile a comando. Copia incolla cancella rinomina taglia sono le operazioni intellettive previste. Non concessa alcuna deroga da questa meccanica del pensiero. Società, Mercato, Impresa, Potere Politico pretendono dalla scuola e dalla pedagogia prossimità, se non abbinamento. Forse sta qui il luogo della risignificazione con una inversione a U del senso di marcia: fine dell’identificazione crescente con le dinamiche del mercato,  della concorrenza, delle tecnocrazie, per essere competitivi e adeguati. 

L’orizzonte è invece l’elaborazione dello scarto di senso, lo  scollegamento da questo mondo di “priorità” che preme sugli insegnanti in carne ed ossa e sulla teorizzazione pedagogica. Lavorare sul sovrappiù, sull’eccedenza che prende in considerazione le domande del mondo, ma non se ne fa un vanto né le idolatra. Una pedagogia che suona unplugged anche se non disdegna le sonorità elettroniche, ma non se le fa imporre. La scuola italiana è l’unico luogo di artigianato creativo non di nicchia rimasto in piedi, uno spazio di umanità in cui, tra difficoltà e ostacoli di ogni tipo, si compone il grande assente, il legame sociale. 

Non c’è partito, impresa, sindacato, sport, web, movimento, in  grado di rivaleggiare. Forse qualche residuo oratorio cattolico. Nelle scrostate aule scolastiche non va in scena il legame sociale, va in forma, perché la pedagogia è performativa.  Lì abita il senso. E il legame sociale è fatto, ce l’ha insegnato Durkheim, di integrazione, “il modo in cui gli individui sono attaccati alla società” e di regolazione, “il modo in cui la società li disciplina”.  Fuori della scuola c’è solo la famiglia a tessere legami con la propria prole e affini. Sulle altre sue attività, stando in Italia, è meglio tacere.

Digressione prima


Scienze  del sospetto?

A prima vista si direbbe un contagio. Nelle Università italiane  un virus ha intaccato le discipline e ne ha fatto polpette minando le loro difese immunitarie.

Vuoi studiare filosofia? Ti offriamo scienze filosofichePedagogia? Scienze pedagogiche.  Giurisprudenza? Scienze giuridiche. Antropologia? Scienze antropologiche e via rappando: scienze motorie, letterarie, filologiche, geografiche, coreutiche, economiche, internazionali, aziendali, linguistiche, criminologiche, psicologiche, forensi, manageriali, archeologiche, organizzative, umanistiche, gastronomiche, museali, strategiche, preistoriche, sociologiche, militari, religiose, ecologiche, musicali/musicologiche,  bancarie, storiche, per la pace, turistiche del turismo¸ scienze della comunicazione, educazione, formazione, alimentazione, architettura, investigazione, nutrizione, traduzione, servizio sociale, mare, costume e moda, cultura, benessere, diritto, antichità, sicurezza, saperi filosofici,  e al sommo del beat scienze teologiche  scienze artistiche.

Non avrebbe senso fare i crociani fuori tempo massimo, ma questa orgia nominalistica di scienze  qualche senso lo dovrà pur avere. Nessuna disciplina si fida più di se stessa, se non ha la copertura della scienza. Una autoinvestitura in un mondo dominato dalla big science? E’ la “crisi dei saperi socratici” di cui parla Martha Nussbaum? Un paludamento per saperi che si sentono un po’ spaesati nel mondo ipertecnico e scientifico? Sfiducia negli statuti propri delle discipline? Un viagra di potenziamento per ambiti conoscitivi sotto attacco da parte dell’industria culturale che li vuole sottoposti alle logiche mercantili?

Oppure l’etichetta scientifica allude ad un aggancio meno  fievole alla realtà? Come se le discipline umanistiche e dintorni dichiarassero: siamo qui, siamo anche noi capaci di confrontarci con il reale. Non siamo periferiche e residuali, possiamo far parte anche noi del festival mondiale della Scienza, della Realtà, dell’Oggettività. Se così fosse, questa svolta epocale andrebbe incontro ad una beffa gigantesca perché accaduta proprio nel momento in cui la regina delle scienze dure, la fisica, comincia a raccontarci che la Realtà, la Materia sì, forse, presumibilmente è costituita da particelle e da onde, ma più verosimilmente da qualità, anzi, da fasci di proprietà. Ontologia dei tropi, la chiamano. Campi quantistici con cui non andremo mai a sbattere e dove la Realtà coincide con la Probabilità. L’incertezza da cui si volevano prendere le distanze.





























Il mio sguardo un po’ distratto vede molta della pedagogia istituzionale dedita alla sua perenne autofondazione. Come fosse insoddisfatta di se stessa, in  cerca qua e là di riconoscimento e di appoggi, a vagheggiare un qualche deambulatore teorico che permetta  di camminare a testa alta in luoghi di enunciazione piuttosto che di conoscenza.  E ciò avviene, paradossalmente,  nonostante essa sia un sapere autocefalo e strategico, non solo nel senso che è necessario, ma soprattutto perché ordinato alla trasformazione del reale, destinato a coniugare obiettivi e azioni conseguenti. L’angelo della pedagogia guarda avanti, sempre in bilico tra scelte a volte contrapposte. La sua natura conflittuale non gli deriva dalla litigiosità dei suoi fautori, ma dall’obbligo di assegnare senso a ciò che senso non ha ancora. Operazione rivolta al futuro con qualche piccolo o grande dosaggio di utopia. Perciò la pedagogia è (quasi) sempre oltranzista e non contemplativa.


La retorica baumaniana racconta di un mondo liquido che a me sembra invece liquidato, non solo in senso ecosistemico (clima, energia, territorio…), ma anche nella sua rappresentazione e narrazione. Giocando con le parole: un mondo che fa senso. La dove arrivano  i liquami del neoliberismo (finanzcapitalismo, capitalismo d’azzardo, capitalismo e basta…) cresce la desertificazione delle vite. I fondamentalismi che gli si oppongono non sono da meno. Tutte le domande che pensiamo di rivolgergli sembrano ottenere la medesima stereotipata risposta “il mondo da lei selezionato non è al momento raggiungibile, la invitiamo a provare più tardi” . La storia non è dalla nostra parte. Non produce automaticamente nessuna salvezza né salvatore. Un tempo si vagheggiava di un Proletariato che, unito, ne avrebbe fatte delle belle. Oggi il mantra è il/i Mercato/i,  la Crescita, e i nostri desideri, i nostri impulsi, la nostra cognizione, ne sono catturati e saturati. E’ una indecent theology [rubo questa espressione ad una autorevole  teologa argentina che non è più tra di noi] che non dà scampo. 

Un candidato alla presidenza nelle prossime elezioni regionali  del Piemonte, dove abito, promette un tablet per ogni studente, dalle elementari alle superiori. Nessuna risata cosmica lo ha sommerso.  O già ce l’abbiamo o lo vorremmo avere tutti un bel tablet.  Ma vorremmo anche domandare al candidato, e a noi stessi, un tablet per quale conoscenza, quale cultura, quale scienza?  Addirittura, per quale pedagogia? La pedagogia non è mai innocente, diceva tempo fa Paulo Freire

Esiste un  colesterolo buono e uno  cattivo, si dà anche una pedagogia rassegnata e una pedagogia critica o isterica, cioè capace di disincagliarsi dall’ordine simbolico dominante. Facile a dirsi. L’anestesia e l’inerzia affondano in noi le loro radici. Il primo compito di una pedagogia non flebile sarebbe quello di suscitare un occupy myself  capace di farci uscire da quella obsolescenza programmata che non incide solo sugli oggetti, ma soprattutto su noi come  soggetti. 

Prendi la moda, senza  scomodare Barthes: cerca in giro ciò  che piace e lo ripropone. Prendi l’editoria, fa la stessa cosa. Prendi la musica, idem, o quasi. Prendi la politica, vorrebbe fare così, ma non  riesce manco in questo. Prendi la nostra psicologia sociale, ruota attorno al divertente, al funny, alla vita come play station in cui la gamification riguarda i corpi, l’apprendimento, la conoscenza, le relazioni, l’amore,  l’aldilà e l’aldiqua [Il sovraccarico di anglicismi è voluto].  Se bastasse scopiazzare o scannerare il reale, il visibile, l’esistente,  saremmo al grado massimo della civilizzazione, ma abbiamo capito che non è sufficiente, produce, anzi, l’annichilismo, come lo chiamava Günther Anders, sappiamo che non c’è Photoshop che possa modificare il profilo del dolore, dell’inquietudine, dell’oltraggio e della violazione.

Digressione seconda


Fine dell’infanzia come eresia?



















Il bambino è un perturbante. La bambina, poi. La loro imprevedibilità e inaccessibilità è sempre stata oggetto di indagine e di addomesticamento he abbiamo   chiamato civilizzazione o, più semplicemente, educazione. Lavoro necessario, ma rischioso. Se ce n’è troppo, l’infanzia scalpita, se troppo poco, l’infanzia trascende. Oggi l’infanzia è attraversata da un doppio processo, fosforescenza e oscuramento. Invade tutti gli spazi immaginativi, in TV, sui social media fa bella mostra di sé grazie alle premure di genitori che espongono i pargoli fin dal primo vagito, sbaciucchiati dai potenti, coccolati da nugoli di psicologi, compatiti nei loro dolori, lusingati e incoraggiati nello sport e nello spettacolo, tallonati dagli addetti al marketing, maledetti e desiderati allo stesso tempo. Visitati e toccati da ogni sentimento sociale. 
Ma, a fronte di una inedita visibilità, si è instaurato, nell’urbanistica occidentale, il  loro oscuramento: rimozione dei bambini  dalla strada, dove appaiono solo se accompagnati e guardati a vista da un adulto. Scomparsi gli scavezzacollo e le smorfiose, il monello e la peste sono ridotte a caricature di se stessi nelle aule scolastiche. E’ la prima volta nella storia che l’infanzia viene ritirata dalla strada e questo ripiegamento è avvenuto in pochissimi decenni. Il bambino ricomparirà in strada solo da adolescente. Verrebbe da dire save the children.  Come diceva la filosofa Mafalda Triste scoperta, ragazzi: siamo facoltativi!


Pare che il periodo di oscuramento coincida con la riduzione in  schiavitù delle madri, in balìa, come sostiene Elisabeth Badinter, del Grande Oppressore, il bebé, nel vano tentativo di fondersi con l’infante e  di dimostragli la totale empatia detta da qualcuno  attachment parenting.  

Una dittatura che non lascia via d’uscita.  Forse c’entra  anche Alice Miller e la sua idea che tutti i mali del mondo, semplifico arbitrariamente, abbiano la loro radice nei rapporti familiari “indelicati”.       Se  figlio e madre sono appendice l’uno dell’altra, se sono reciproca proprietà privata – e qui fa capolino anche l’altro genitore -  è ovvio che la strada non sia un luogo adatto, che le socializzazioni non controllate siano pericolose, che i cortili – regolamento condominiale alla mano - siano luoghi di parcheggio e non di gioco. Il vero cortile si chiama adesso ask.fm.

L’infanzia come eversione ed eresia riceve un’altra sonora batosta, e forse di dimensioni ancora più colossali, dalla sua inclusione nella grande orgia  del mercato. Si sa che i bambini sono coltivati  dal mercato, che ricevono un bombardamento semiotico senza fine, che nei loro confronti è all’opera una seduzione neanche tanto sottile che è destinata non solo all’acquisto di merci, ma all’adozione di comportamenti, di atteggiamenti, di modi di dire e di mentalità. 

Tu genitore proponi un “educativo” Tinky  Winky  dei Teletubbies e la creatura sorbisce come storia unica e indivisibile la pubblicità e gli amati personaggi.  E il co-shopping madre-figlio come tirocinio al consumo dove lo mettiamo? E il transtoy? Che non è un nuovo marchingegno sessuale, ma un prodotto trasformato in gioco, sia la patatina a forma di animale, lo zainetto a forma di bambola, la borsina di zebra, lo spazzolino di noto cartone animato…tutto veramente Kidorable.

La capacità del mercato e dei suoi sacerdoti di  sussumere  l’infanzia dentro  il  grande
progetto  di consumerizzazione [la parola è orrenda,  ma l’anglofila customizzazione è ancora peggio] è

molto avanzato e si dirige, genialmente, verso il desiderio dei

bambini e delle bambine, alla loro santificazione come

soggetti desideranti. Siamo nell’ordine della perfetta

immanenza dove il bambino poliedrico [polimorfo diceva

Sigmund] è annullato e l’infinità di piani di senso possibili

semplicemente eliminata. Perché si realizzi compiutamente  è

necessaria la disgregazione di ogni refrattarietà e renitenza, la

soppressione dell’eresia infantile e della suo

carattere eversivo.  

No bambini cattivi: la privatizzazione familistica dell’infanzia e il neuromarketing per i bambini sono i percorsi privilegiati.

Una pedagogia non asservita, in grado di assumere un

connotato pastorale [sì, quello di Foucault] depurato ormai

dalla pretesa di obbedienza e di dipendenza dei soggetti,

potrebbe confrontarsi con questa macchina semiotica che

galvanizza l’infanzia, e non solo. 

Decommercializzando l’infanzia, come suggerisce qualcuno,

sarebbe il primo passo.



La tecnologia del silenzio 
i rituali, il protocollo
l’annebbiarsi dei termini
silenzio non assenza
di parole o musica oppure
suoni malvagi
Il silenzio può essere un piano
rigorosamente completato
la cartografia della vita
É una presenza
ha una storia una forma
Non confonderla
con qualsiasi tipo di assenza
Adrienne Rich ci suggerisce che dobbiamo barcamenarci tra parola di domanda e silenzio. Non ci sono cinquanta

sfumature di silenzio, ce ne sono forse due, quella di chi è assoggettato alla propria o all’altrui violenza, individuale o sistemica che sia,  e quella di chi cerca di prendere la distanza, di tacere per ripensare se stesso e il mondo, per scampare alla cagnara globale. Ovvero un piano rigorosamente completato
Un silenzio carico che germoglia domande. 

La tiritera che segue propone qualche grattacapo da sbrogliare se ci interessa un orizzonte educativo contro producente.

-         preparare per il lavoro, si dice, inteso come mercato del lavoro. Mille profili professionali in perpetuo mutamento, all’università come negli istituti superiori. In una società come quella italiana et similia la disponibilità di lavoro vivo è destinata a ridursi per le tecnologie che lo sostituiscono o per l’esubero di merci che ci inflaziona. Da riconsiderare la distribuzione delle mansioni e, radicalmente, gli orari di lavoro.

-         Ho fotografato le vetrine di alcune librerie universitarie del Nord Italia: un diluvio di manuali di test e quiz per l’accesso all’università e per gli esami. 































Il trionfo della quiztura, della cultura a crocette, che dilaga in ogni 
 tipo di scuola, diventata una specie di borsa valori. Là dove la misurazione standardizzata è nata e consolidata, gli Stati Uniti, serpeggia un movimento di genitori e insegnanti critici sui test e sulla loro somministrazione  (!) e in Cina si comincia a criticare pubblicamente la pratica del gaokao, il test di ammissione all’università. 

In epoca di rating a tutto spiano, in grado di mandare in rovina una
nazione o di far la fortuna di merci o personaggi mediocri, forse un
ripensamento del merito e della meritocrazia, che non sono la stessa cosa,
farebbe bene alla salute mentali di tutti. Si potrebbe cominciare rileggendo
Michael Young che per primo (1958) usò il termine meritocrazia.


- Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci  rende  stupidi e  Perché la rete ci rende intelligenti sono i titoli di due importanti libri di autori diversi, ovvio. 

     Vogliamo approfondirlo questo confronto prima di imbottire

 le scuole, e le case,  di miracolosi gadget ipertecnologici? 

Ne va dei nostri sistemi neuronali oppure no?

 La googlizzazione  del sapere è governabile oppure les jeux

 sont faits! il sortilegio è avvenuto e le nostre connessioni

 intracraniche vanno ad abitare nell’etere fuori di noi?

 
 Lo si può fare con calmezza, come direbbe Checco Zalone,

 o le due tifoserie si possono solo guardare in cagnesco?

-    L’auto pulizia etnica maschile dalla scuola italiana sta a significare qualcosa?
La morte del maschio?  Bisognerà ricorrere alle quote blu per l’accesso all’insegnamento? Gli uomini non cambiano, cantava perentoriamente Mia Martini. Sarà per questa rigidità  di ruoli, la poca confidenza con la cura o per i salari non esaltanti? In scuola si regolamentano anche i corpi, in modo normativo o con la pedagogia latente, l’hidden curriculum degli spazi, dei gesti, dei movimenti, dei sorrisi, dei toni di voce. La sparizione del maschio dalla scuola ci dice qualcosa di noi stessi e di questo momento storico? Dalla parte delle bambine ha eseguito egregiamente il suo compito in questi quarant’anni. Dalla parte di chi ci dobbiamo mettere oggi? Per fare l’albero ci vuole il seme…Per fare un maschio ci vuole…Per fare una femmina, una donna, ci vuole…Per fare qualche altro genere ci vuole… 
Se non siamo chiusi in gabbia, se abbiamo gli occhi per vedere le mille altre domande che si accalcano, siamo nella disposizione giusta per pensare l’invisibile che si manifesta nel visibile, siamo capaci di amare i nostri limiti e non esserne impauriti.


“ Chi ci insegnerà la disciplina della gioia, i suoi meravigliosi

 catechismi?  scriveva nella sua ultima lettera Cristina Campo,

 echeggiando forse qualche versetto dell’Evangelo di Giovanni

 [15, 19-23] o il III e IV libro dell’Etica di Spinoza. A scelta.




Andrees Latif/Reuter
















Digressione ultima


Epicentri


Mandalay, già capitale precoloniale della Birmania/Myanmar e centro culturale del paese. Al termine di un seminario di italianistica durato un mese, gli studenti si inginocchiano e recitano, in mio onore, una lode dell’insegnante. Io sono sbigottito e imbarazzato. Le movenze sono quelle di una cerimonia buddista.































Scutari, Albania: in un spoglio alloggio un gruppo di giovani di
una reietta confraternita islamica pratica un rituale di perforazione al canto di una melodia. Lo fa per noi, senza il consenso del loro leader e per farci vedere come sono effettivamente bravi nonostante l’emarginazione. Dieci anni dopo, 2007, in una lezione all’Università di Tirana candidamente propongo la discussione su quella transe. Vengo trattato quasi da provocatore. Non avevo capito il profondo travaglio immaginativo dei giovani.

Qui, la demodernizzazione di cui parla Alain Touraine [sparizione dei giudizi di normalità che si applicavano ai comportamenti retti da istituzioni”  e “scomparsa dei ruoli, delle norme dei valori sociali attraverso i quali si costruiva il mondo vissuto] è in fase avanzata. In Birmania è all’incipit.

In Albania il traumatico cambiamento di regime politico e di  significazione ha sottoposto ai venti tempestosi della globalizzazione, ovvero al dominio del mercato, la scuola, l’educazione, gli stili del sapere.  Né più né meno dell’Italia. Gli insegnanti sono rapidamente precipitati ai piani bassi della gerarchia sociale e le istituzioni educative si affannano per diventare “imprese/aziende”. Il sapere, la scuola, gli insegnanti, come qualità primarie  del vivere comune, sono un vago ricordo della generazione anziana.

Racconterò un giorno o l’altro le tante eccezioni, i molti assi   di contrasto a questo processo.

In Birmania la potenza socializzante delle scuole monastiche  ha costruito su tutto il territorio, popolazioni depauperate comprese,  una base di riconoscimento  del compito educativo e della dignità del sapere, anche quando quest’ultimo assumeva forme ormai fossilizzate. I venti di cui sopra si stanno trasformando in raffiche possenti. Anche queste mi piacerebbe un giorno raccontare più diffusamente.

L’illecita comparazione che ho istituito aveva ricevuto il  titolo Dai margini. L’ho corretto in tempo, per non smentire l’impegno di provincializzare me stesso e l’Europa, come ci ha suggerito vent’anni fa Dipesh Chakrabarty.



inserisco alcuni suggerimenti bibliografici 
non  acclusi nell'articolo a stampa:

postumano

Peter Sloterijk, Devi cambiare la tua vita: sull'antropotecnica, a cura di Paolo Perticari, Milano, Raffaello Cortina, 2010.

Donna Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo. a cura di L. Borghi. Milano, Feltrinelli, 1995.

Rosi Braidotti, Il postumano. La vita oltre il sé, oltre la specie, oltre la morte. Trad. di Angela Balzano, Roma, DeriveApprodi, 2014.

soprattutto:
K a r e n  B a r a d,
Posthumanist Performativity: Toward an Understanding of How Matter Comes to Matter, in Signs: Journal of Women in Culture and Society, 2003, vol. 28, no. 3

Nussbaum
Martha Nussbaum,  Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, Il Mulino, 2011

ontologia dei tropi
Meinard Kuhlmann, Quantum Field Theory, Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2012,
Mainard Kuhlmann, Che cosa è reale?Le scienze, 2013

la teologa cui mi riferivo è Marcella Althaus Reid, vedi il post dell'11 dicembre 2014 a lei dedicato

Günther Anders, Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961,


Badinter, attachment parenting, Miller
E. Badinter, Le Conflit : la femme et la mère, Flammarion, 2010, trad. italiana dal titolo stupidissimo: Mamme cattivissime? Corbaccio, 2011
Patrice Marie Miller, Michael Lamport Commons
The Benefits of Attachment Parenting for Infants and Children: A Behavioral Developmental View
Behavioral Development Bulletin, 10, 2010 scaricabile : 
sito di The International Association for the Study of Attachment (IASA)


Alice Miller, Riprendersi la vita. I traumi infantili e l’origine del male  
Trad. Maria Anna Massimello, Bollati Boringhieri, Torino, 2009

decommercializzare i bambini
Juliet B. Schor, Nati per comprare, Apogeo, Milano, 2005,
filone apocalittico.
Commissione federale per l’infanzia e la gioventù (CFIG)
Critici o manipolati? I giovani e il consumo consapevole

Adrienne Rich, Cartografie del silenzio: 
poesie scelte 1951-1995, a cura di M.L.Vezzali, Crocetti, Milano, 2000

lavoro
Una sintesi radicale:
Carlos Miguel Tovar Samanez, La jornada de cuatro horas. Pleno empleo, economía estable y mejor calidad de vida, in Pacarina del Sur. Revista de Pensamiento Critico LatinoAmericano, 15, 2013

test, gao kao, web
The Gathering Resistance to Standardized Tests in Rethinking schools, spring, 2014  
Intendono migliorare i test:
Fair Test. The National Center for Fair and Open Testing
Una cronaca del movimento di resistenza ai test standardizzati , sul Washington post
Valeria Puntilo, La lunga marcia verso il gao kao
Diane Ravitch, The Myth of Chinese Super Schools
in The New York Review of Books, nov. 2014
Jan Johnson, Solving China's Schools: An Interview with Jiang Xueqin  
in The New York Review of Books, apr. 2014

Manfred Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, trad. A. Petrelli, Corbaccio, Milano, 2013
Howard Rheingold, Perché la rete ci rende intelligenti, a cura di S.Corassini, Cortina, Milano, 2013

maschi a scuola
Barbara Mapelli, Stefania Ulivieri Stiozzi (a cura di), Uomini in educazione, Stripes, Rho (MI) 2012
il tema riguarda molti paesi. Se ne è interessata anche l'Unesco:
Christine Skelton (2002) The 'feminisation of schooling' or 're-masculinising' primary education?[1],
International Studies in Sociology of Education, 12:1, 77-96,
M. Cacouault-Bitauddu, La feminisation d’une profession est-elle le signe d’une baisse de prestige ?  Travail, genre et sociétés, 2001/1 (N° 5)
Regina Cortina, Sonsoles San Roman [eds], Women and Teaching. Global Perspectives on the Feminization of a Profession, Palgrave MacMillan, New York, 2006

birmania
Khammai Dhammasami, Between Idealism and PragmatismA Study of Monastic Education in Burma and Thailand from the Seventeenth Century to the Present,  2004,  
Sulla Birmania/Myanmar vedi i diversi post su
questo medesimo blog


Alain TourainePourrons-nous vivre ensemble? Egaux et differents, Fayard, Parigi, 1997, pag. 57. 
Libertà, uguaglianza, diversità, traduzione di Roberto Salvadori, Il saggiatore, Milano, 1998]

Ho conosciuto il pensiero di Chakrabarty vent'anni fa, dal seguente articolo:
Dipesh Chakrabarty, Postcoloniality and the Artifice of History: Who Speaks for "Indian" Pasts?
Representations, No. 37, Winter, 1992 
  • Dipesh Chakrabarty, Provincializzare l'Europa
    Meltemi Editore, 2004 


  • Commenti

    Post popolari in questo blog

    MAHMUD DARWISH

      MAHMUD DARWISH  1941-2008

    ALAREER GAZA

      REFAAT e SHAIMAA ALAREER Refaat Alareer era un poeta, scrittore e professore universitario di letteratura comparata presso la Islamic University di Gaza, ora ridotta ad un mucchio di polvere. Non ho conoscenza di nessun docente universitario italiano che si sia lamentato delle dieci università di Gaza rase al suolo né delle Medie ed Elementari ridotte in pietrisco. La poesia che si legge sotto era stata scritta il primo novembre dello scorso anno e dedicata alla figlia maggiore Shaimaa . Refaat Alareer è stato ucciso nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023, insieme ad altri 7 membri della sua famiglia, durante un raid israeliano che ha colpito la sua casa. Shaimaa Alareer , la figlia, è stata uccisa venerdì scorso, 26 aprile con il  marito Mohammed Siyam e il loro figlio Abdul Rahman di pochi mesi, in uno dei tanti bombardamenti israeliani.     Se dovessi morire, tu devi vivere per raccontare la mia storia per vendere le mie cose per compra...

    brandelli d'Italia

      BRANDELLI D'ITALIA Una leggerezza del bracciante costata cara a tutti dice Renzo Lovato, proprietario dell'Agrilovato di Latina.  Al  bracciante è costato il braccio, buttato in una cassetta della frutta, e poi la vita.   Ad Alisha, detta Soni, moglie di Satnam Singh con cui lavorava, è stato concesso un permesso speciale di soggiorno.  Una Prefettura molto umana. La magistratura da anni  indaga su questi imprenditori, riconoscendo i reati di caporalato, truffa all'INPS, dipendenti senza contratto, condizioni degradanti... Da anni . Sabato 22 giugno manifestazione della CGIL a Latina. Lunedì 24 giugno manifestazione di CISL e UIL a Latina. USB [Unione Sindacale di Base] lascia la piazza in protesta per le parole pronunciate dal palco. La famosa unità sindacale italiana. Giorgia Meloni:  Sono atti disumani che non appartengono al popolo italiano, e mi auguro che questa barbarie venga duramente punita.  Noi, popolo italiano, siamo da sempre br...