ITALIANI PER FRANCESI
recensione pubblicata su Il Manifesto del 4 giugno 2014
“Eeeevvviva la torre di Pisa, che pende, che
pende, che mai non vien giù!” una
vetero filastrocca per rappresentare il comune sentire degli italiani? Tutto va
male, tutto pende, ma la torre non
verrà giù. Fino ad oggi non è venuta giù, dunque speriamo che non succeda.
Corriamo il rischio, dove correre in
realtà vuol dire stare quasi fermi.
Su
questa idea degli italiani sull’orlo di un abisso, sempre a rischio di, è costruito Sacrés Italiens!, Armand Colin, Paris, 2014, pagg. 220, di Alberto
Toscano, giornalista italiano residente a Parigi, già presidente
dell’Associazione stampa straniera. Il titolo riprende, ma con la maggiore
benevolenza della lingua francese,
il Maledetti Toscani di Curzio Malaparte senza averne, nemmeno
lontanamente, il gusto baroccheggiante. Senza il vittimismo né l’invettiva,
così in voga oggi.
Alberto
Toscano sa il fatto suo, sa che la somma di 60 milioni di italiani non fa gli italiani, sa che gli italiani per
primi sono presi dal panico se devono
rispondere alla domanda su chi sono. Per questa ragione si affida spesso alla
macchina da presa. Quando deve spiegare al frastornato pubblico francese un tratto particolare degli italiani
proietta, se così si può dire, sulla pagina qualche scena della cinematografia
casalinga e tutto, grazie a Totò o a Fellini,
sembra rendersi più comprensibile. Lo fa con una scrittura chiara, la clarté francese
al lavoro?, e scanzonata. Non disdegna le grandi sintesi storiche, ma
non trascura l’aneddoto chiarificatore. Risale a Dante ma si confronta con Berlusconi e Grillo. Cita un pensiero
intenso di Umberto Saba, Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha
avuto, in tutta la sua storia una sola vera rivoluzione? La risposta è forse la
storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono
fratricidi, e subito dopo riporta un
commento di Luciana Littizzetto.
Questo
modo di procedere ha i suoi rischi, che vengono sapientemente superati quando il tema si fa ingrato, come nel
capitolo La mano nera della Mafia, o
eccitante, come nelle pagine dedicate alla creatività. La creatività degli italiani è figlia della loro capacità di sognare:
il primo sognatore narrato con passione è Adriano Olivetti. Lui voleva
l’apertura, dove la Fiat degli Agnelli/Valletta/Romiti voleva solo l’ordine,
sintetizza efficacemente Toscano. Marchionne lasciamolo da parte. E’ su questa
doppia faccia che scorre tutta l’impresa del libro: spiegare ai francesi e, sotto sotto, agli italiani
stessi, la perenne coabitazione di bellezza e volgarità, di splendore e decadenza,
di speranza e cinismo. Di compresenza di fessi,
che hanno princìpi e di furbi, che
hanno solo fini, come suggeriva Prezzolini.
Districarsi in
questa contraddizione dell’antropologia italica non è facile. Ci aveva già provato duecento cinquant’anni fa Giuseppe
Baretti con il suo Account of the
manners and customs of Italy,
senza grande successo. La scappatoia sarebbe quella di inventariarli uno per
uno gli italiani e le italiane, in una grande cloud di big data da consultarsi
all’occorrenza. Non potendolo fare, Toscano si dedica ad altri elenchi: spaghetti
e maccheroni, linguine e rigatoni, penne e lumaconi, lasagne e cannelloni,
conchiglie e pappardelle, pipe e tagliatelle, fettuccine e rotelle, ziti e
tortellini, bavette e bucatini, maltagliati e chifferini, farfalle e
spaghettini, garganelli e vermicelli, paccheri e agnolotti, trenette e
pansotti… Sta parlando della pasta, quella di cui sono fatti gli italiani,
raggruppati per consorterie, famiglie, appartenenze, fazioni, clan, partiti,
parentele, parrocchie e parrocchiette. Le uniche vere “nazioni” riconosciute
dagli italiani. Intendomi chi può che m’intend’io direbbe Girolamo
Frescobaldi, grande musicista italiano.
La mia
proposta è: tradurlo presto, portarlo nelle scuole, proporre agli studenti di
correggerlo, integrarlo e vedere che racconto di sé viene fuori. Il titolo: Benedetti italiani!
Baretti al Baretti - illustrata orazione sulla vita del signor G. Baretti ovvero Aristarco Scannabue, cittadino torinese, emigrato a Londra e colà defunto nell'anno terribile 1789.
Al teatro Baretti di Torino.
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