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Ildegarda, badessa del blues


Con questo titolo un po' improbabile avevo pubblicato su Il Manifesto del 1992  l'articolo che segue. Accompagnava i concerti cui accenno nel post del 22 giugno 2010

Non sono un medievista né un latinista né uno specialista di alcunché. Sono però un esperto di "emigranea", come la chiamava la bella statuina che voglio evocare, Ildegarda di Bingen, signora badessa di alcuni monasteri tra le valli del Reno, in Germania, nata nel 1098 e morta nel 1179. "Io sono sempre in trepidazione e timore, perché so di non avere in me stessa sicurezza di potere alcunché; ma offro a Dio le mie mani, perché come una penna, che è priva di ogni forza e peso e vola portata dal vento, egli mi sostenga ... Fin dall'infanzia... ho sempre avuto nell'anima queste visioni; in queste visioni la mia anima, come piace a Dio. ascende fino agli estremi del firmamento e segue le correnti di venti diversi, e si espande fra diverse genti, per quanto lontane e sconosciute ... posso dire soltanto che le vedo nell'anima, e che i miei occhi esteriori sono aperti, cosicché mai in esse ho subìto il mancamento dell'estasi; io le vedo di giorno e di notte, ma sempre da sveglia. E sempre sono oppressa dalle infermità, e spesso soffro così gravi dolori, che mi pare che minaccino di uccidermi; ma fino ad oggi Dio mi ha guarita"

Dolorante, ma non addolorata. Nessuna noche obscura, nessun annientamento dell'io né mistici godimenti. Una visione di conoscenza, invece, l'ombra colorata di una luce vivente che illumina la comprensione e la spiegazione. In questo, pulzella anche lei come quella di Orléans tre secoli dopo. Visioni che contengono un messaggio che deve essere divulgato al mondo e riguarda le vie di Dio per la salvezza dell'uomo e del creato. Ma come può una creatura incolta e per di più donna prendere la Parola, come può superare la sfiducia in se stessa in una società patriarcalmente gerarchica? Appellandosi ad una Voce autorevole, diventando Profeta: "Passata la giovinezza, giunta all'età della maturità, udii una voce dal cielo che mi diceva…scrivi ciò che hai visto e udito".
Gli specialisti ritroveranno nelle visioni e nei dolori di Ildegarda l'aura dell'emicrania, con le sue alterazioni visive e di coscienza, confortando il nostro moderno scetticismo e nobilitando le turbolenze craniche di noi emicranici incalliti e senza visioni. 
Esploratrice dei segreti di Dio, li racconta nei suoi libri, nelle predicazioni e nelle lettere. Non vive isolata e in preghiera nel monastero di Disibodenberg e poi di Rupertsberg. Corrisponde con papi, arcivescovi, signori, semplici monache, intellettuali tedeschi e parigini. Incontra Federico Barbarossa, scrive a Bernardo di Chiaravalle. Visita monasteri e città, predicando pubblicamente come a nessuna donna, dopo di lei, sarà più concesso nella chiesa cattolica. "Ricevetti l'intelligenza dei sensi dei Santi Libri, dei Salmi, dell'Evangelo e degli altri libri cattolici dell'Antico e del Nuovo Testamento". Discute della trinità, di papato ed impero, di mondo e di creazione. "Così la visione mi insegnò e mi rese capace di spiegare tutto ciò che Giovanni aveva scritto nel suo vangelo sul principio dell'attività creatrice di Dio. E mi resi conto che questa spiegazione doveva essere l'inizio di una nuova Scrittura, che non era stata ancora rivelata, nella quale si sarebbero dovute cercare molte spiegazioni dei divini misteri della creazione".


La creazione, la sua bellezza fisica e sensibile, la creatura umana. I suoi legami con il cosmo sono identificati da una vibrazione costante in armonia con la natura. Ne scrive in alcuni libri spiegando le piante, gli elementi dell'universo, la sessualità umana. "Quando una donna fa l'amore con un uomo, una sensazione di calore nel suo cervello, che porta con sé il piacere dei sensi, comunica il gusto di quel piacere durante l'atto e richiama l'emissione del seme dell'uomo". Sorella Ildegarda analizza limpidamente sessualità e riproduzione, senza sconvolgere il quadro gerarchico ricevuto da quella grande macchina simbolica che è la chiesa medievale, e le "causae et curae" vengono da lei descritte con puntigliosa probità. Superiora e fondatrice di un monastero di donne, Ildegarda non predica ascetismi e mortificazioni, vuole che le sorelle non rinuncino alla bellezza del corpo e vestano come autentiche spose di Cristo. Soprattutto che siano ripiene di musica. Perché "symphonialis est anima", l'anima è musicale e Ildegarda riscrive la storia cristiana della salvezza secondo una propria teologia della musica che dovrebbe piacere a Sun Ra e alla sua Arkestra.



La caduta di Adamo ha rotto l'incantesimo di voci e di suoni e gli umani oggi ne hanno solo un vago ricordo e una marcata nostalgia.
Il respiro che ci serve per cantare è un soffio che deriva dallo Spirito e in una nuova economia spirituale il canto è la perfetta integrazione degli elementi umani con quelli divini. E' immorale essere non musicali. Quando le autorità ecclesiastiche di Magonza colpirono con l'interdetto il monastero perché aveva dato sepoltura ad uno scomunicato che le monache ritenevano che si fosse alla fine riconciliato con Dio, Ildegarda protesta vibratamente, non tanto per la sospensione della comunione eucaristica, quanto per l'imposizione del silenzio. Non si possono tacitare le voci che cantano in bellezza la lode di Dio. Farlo significa creare un'artificiale separazione tra cielo e terra e la creazione smetterebbe di essere quella sinfonia dello Spirito che invece è. L'anima del canto è nella terra e il signore della danza sta nei cieli.



Mi piace immaginare Ildegarda con una tenera voce blue e le sorelle un po' lunari e un po' vibranti mentre nel mattino intonano una nuova musica. Tromba di Dio diceva di se stessa ed esplorava le sonorità della lode componendo musica. 
Se si esclude una bella canzone della trobairitz Contessa di Dia e la ricca produzione di Kassia, monaca bizantina, le sue musiche sono le uniche che ci siano rimaste di una donna del medioevo. Una settantina di canti e il primo dramma allegorico della Letteratura occidentale, Ordo Virtutum. Li chiama sinfonia dell'armonia delle celesti rivelazioni, espressione di una vox di inaudite melodie, come scriveva Volmar, il suo segretario.
I testi sono all'altezza della vocazione visionaria di Ildegarda, sibillini, riverbero di echi lontani, in una forma totalmente libera da regole metriche, immaginistica e irregolare, come è difficile trovare nella produzione contemporanea. In essi è riversato tutto il linguaggio sapienziale che anima lldegarda, in cui Maria è anche la Terra e Adamo l'Uomo cosmico.



Ma la voce di Ildegarda non resta sulla carta, torna come nostra archeologia sonora a riaprire la questione della musica specchio o profezia. Tecnicamente colonna sonora di un monastero femminile renano del dodicesimo secolo, i canti di lldegarda sono pieni dell'ambiguità di ogni musica. Cantano l'ordine simbolico di una società rigidamente gerarchica e il tragitto soggettivo ed autonomo di una donna che da questa gerarchia esce a modo suo. Materia sonora che sta contemporaneamente nel medioevo e tra di noi. Già allora in bilico tra retroguardia e avvenirismo. Siamo ancora lì a cercare di capire dove finisca il canto del potere e l'annuncio di liberazione. Dove la ripetizione e dove la composizione. Ildegarda per staccarsi dalla sonorità dei poteri aveva creato anche una Lingua Ignota, un repertorio di parole con un nuovo alfabeto che travestiva il bisogno di una comunicazione a parte. Un linguaggio e una scrittura per iniziati, un codice per una comune di donne che sa di stare dentro e fuori del suo tempo. Ritorno al presente. Dove stanno le lldegarde oggi? C'è un rumoroso silenzio nella musica del mondo che potrebbe metterci a tacere.
Ma c'è anche chi prende fiato, chi cerca lo scarto necessario per le proprie visioni in musica. Badesse del suono o fragili monache della melodia. Poteva essere "Too close to Heaven" di Mahalia Jackson o il "Kozmic blue" di Janis Joplin, può essere "Incosciente colectivo" di Mercedes Sosa o "Non ho più voglia di dormire" di Chaba Fadela, algerina, o i canti delle pietre di Kamila Jubran, palestinese.
Può essere il sonoro dei sogni di redenzione non ancora estinti.
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su Kassia vedi il post Musica Bizantina del 28 febbraio 2011.



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