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150 anni   (2)

GIUSEPPE GOVONE
generale

Questo è il monumento equestre al generale Giuseppe Govone [1825, Isola d'Asti/ 1872, Alba] che fa bella (?) mostra di sé in piazza Savona ad Alba.
E' uno dei tanti esempi che caratterizzano la monumentomania o statuomania di cui sono affette le classi dirigenti italiane [e francesi]. L'originale in bronzo di questo monumento è stato inaugurato il 10 novembre 1929 in pieno fascismo a ribadire la virilità e l'eroismo del generale e, ovviamente, del fascismo stesso. Dieci anni dopo la Seconda Guerra Mondiale decretava la prima "sepoltura" del monumento, che infatti veniva inviato in fonderia per ricavarne cannoni. Non ne sarebbe stato felice l'autore, lo scultore Arturo Stagliano  [ su di lui vedi: A. Panzetta, Arturo Stagliano 1867-1936. Sculture e disegni, Renaissance, Rivoli 1999], per "fortuna" sua morto nel '36.
Ma la statua di Govone resuscita nel 2000, quando il Comune decide di utilizzare il calco in gesso conservato nei magazzini comunali per rifonderlo e ripresentare tale e quale la statua. Il monumento viene inaugurato nel 2006. La virilità e l'eroismo non sono più all'ordine del giorno. Perché, dunque, riproporlo? Per mostrare una "gloria locale"? Per indicarlo ad esempio alle nuove generazioni? Perché  un monumento equestre in una piazza fa sempre bella figura?
Giuseppe Govone è una complessa figura di militare, di agente segreto, di ministro della guerra dell'Italia unita, di marito tenerissimo che conclude le lettere alla moglie con "Mia cara amica, mio consiglio, mio amore", di "criminale di guerra", come l'hanno definito alcuni storici, di suicida che, a 47 anni,  non regge più il peso della vita.                                                       
Per fortuna ora disponiamo di un'ottima ricostruzione storica dovuta a Marco Scardigli, Lo scrittoio del generale. La romanzesca epopea risorgimentale del generale Govone, UTET Libreria, Torino, 2006, preceduta dal romanzo storico di Giorgio Boatti, Cielo nostro, Baldini & Castoldi, Milano, 1997.
In un convegno dedicato a Govone,  tenuto dieci anni fa ad Isola d'Asti, luogo natale del generale, tenni la relazione che riproduco qui sotto:

Briganti e Generali. Uno spunto di "orientalismo interno"

"Fate ritirare i cannoni dalla Grand Gard e che Nigra non scordi che i Napoletani sono degli orientali, non capiscono che la forza" (1) scriveva Nino Bixio in una lettera a Cavour del 6 gennaio 1861.  Con questa espressione dava corpo ad una pratica discorsiva  in cui si erano depositate, e si depositeranno nei decenni successivi, immagini e rappresentazioni del Sud come altro da sé. Fondando, inconsapevolmente, un orientalismo interno che caratterizzerà la successiva storia d'Italia.

"Quella percezione è stata espressa in vari modi […]: l'orientale è irrazionale, decaduto (o peggio, degenerato), infantile e "diverso", così come l'europeo è razionale, virtuoso, maturo, "normale". A mitigare la severità di questo giudizio giungeva quasi sempre la precisazione che l'orientale vive in un mondo diverso da quello dell'occidentale, ma organizzato e con una sua interna coerenza, un mondo con i propri confini geografico-politici, culturali ed epistemologici. Tuttavia ciò che dà a quel mondo trasparenza e intelligibilità non è il risultato di una autoconsapevolezza orientale, ma una complessa serie di interventi conoscitivi e trasformativi con cui l'Ovest dà un'identità all'Oriente" sostiene Edward Said (2) in un testo che ha cambiato il profilo degli studi storici. In più di vent'anni, le tesi di Said hanno fertilizzato una discussione e una produzione di discorsi che quasi non ha eguali, anche se in Italia se ne è sentito solo un vago riverbero (3).   

Il dispositivo  individuato da Said può essere utilmente applicato anche al regime di conoscenza messo al lavoro nel momento in cui la nazione italiana non solo è vagheggiata, ma concretamente costruita. Un corpus immaginativo e teorico, ma soprattutto una cornice che incentiva atti di governo e di amministrazione, che spesso, anzi, li determina.
"Era arte di governo che si valeva pure meravigliosamente dell'indole di questo popolo vago e irrequieto, ma languente nella sua stessa irrequietezza, portato dalla sua natura orientale  a non curarsi che indeterminatamente di tutto, ad adorare soprattutto il riposo, a cercare compenso ai suoi mali nella voluttà della quiete domestica" [sottolineatura mia] scriveva la Gazzetta di Torino del 6 gennaio 1861 (4), parlando dei napoletani e del loro rapporto con il governo borbonico.

"Ma, amico mio, che paesi sono mai questi, il Molise e Terra di Lavoro! Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior fiore di virtù civiche" scrive ancora a Cavour Luigi Carlo Farini nel 1860, mentre era capo amministrazione del Sud durante i primi mesi del controllo piemontese (5). Il fortunato giudizio del Sud=Africa, che feconderà l'immaginario popolare nei decenni successivi, viene riproposto da A. Bianco di St. Jorioz "Qui siamo fra una popolazione che, sebbene in Italia e nata italiana, sembra appartenere alle tribù primitive dell'Africa" (6) e dal giornale Il Piemonte, "Nigra scrisse da Napoli a Cavour: 'Sono Nigra, epperò mi avete mandato tra i negri. Meglio, mille volte meglio i negri dell'America del Sud'" (7)
Un'Africa sconosciuta, ma proprio per questo modello efficace di riferimento negativo. Come membro della commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, Nino Bixio scrive alla moglie da San Severo in Puglia "…prima che questi paesi giungano allo stato di civiltà in cui siamo noi solo, abbisognano anni e lunghi anni […] Questo insomma è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Affrica a farsi civili" (8). 

Un Sud abbruttito, corrotto, "africano", cioè il peggiore ed infimo "diverso" che la coscienza europea avesse prodotto ed elaborato fin dalla classica sistemazione universale dell'umanità intrapresa da Hegel nelle Lezioni sulla filosofia della storia.
Mentre la si unifica, conquistandola, si scopre l'Italia. Una linea narrativa che si sedimenta nelle parole e nelle ricostruzioni storiche producendo  un oggetto che non è più il Regno delle Due Sicilie  bensì il Meridione. Un territorio reale e nello stesso tempo immaginario. "L'abitante dell'Oriente era in primo luogo un orientale, e solo in secondo luogo un essere umano" (9). Su questa base si installa anche in Italia una immaginazione cartografica per cui più il Sud "va giù" più il Nord "va su":

"La nostra annessione con Napoli e con quelle provincie appestate e guaste dal dispotismo più assurdo è già un'ardita pruova che noi facciamo, ma almeno con la nostra forza, col nostro coraggio più grande, con la nostra superiore intelligenza e superiore morale, con la nostra esperienza e il nostro carattere, possiamo sperare di domarle"  scrive Diomede Pantaleoni a Cavour il 6 novembre 1860 (10). La contrapposizione  tra Sud "barbarico"  e Nord "civilizzato e civilizzatore" non si esaurisce  in una metafora territoriale, ma si impone come dispositivo di conoscenza e di azione. "In tutti i modi la fusione con i Napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso" ribatte Massimo d'Azeglio (11).

Partecipano a questa proiezione figurativa anche resoconti "apolitici", se così si può dire, di protagonisti "dal basso" dell'unificazione italiana. Antonio Quaglia è un bersagliere piemontese che tiene un diario della sua partecipazione come militare semplice alla lotta contro il brigantaggio. "Il Popolo Napolitano è un Popolo piutosto ville, è imbecille, è ignorante; Lasciando però i Nobili Signori; Ma riguardo il basso popolo non hanno nula di bono; sono crudeli, imbecilli, è ignoranti; è villi; è Scostumati; e altro simile ecc. Non dico solo di Napoli; ma di tutto il suo regno Napolitano" (12).

Gli italiani del Nord, ma non solo loro, scoprono che l'Italia ha i propri Balcani, un museo all'aria aperta in cui sperimentare anche i propri saperi (13). "Arcaicità" e "primitività" del Sud stimolano una riflessione sulle "due razze" abitatrici dell'Italia, sul "substrato etnico" che le caratterizza. Nei decenni successivi questo sguardo all'Italia in formazione evolverà verso una vera e propria teoria razziale elaborata dalla scuola positivista (14). " …si può stabilire per principio generale, che la poesia popolare è creazione spontanea della razza che la canta, risponde al sentimento poetico ed estetico proprio di questa razza e costituisce un carattere etnico speciale della medesima. Applicando questo principio all'Italia, siccome noi trovammo nelle due parti della penisola il substrato di razze distinte, e due tronchi dialettali diversi, così noi dobbiamo trovarvi e vi troviamo, perfettamente corrispondenti, due specie di poesia popolare nettamente separata, non solo per i caratteri esterni che abbiamo già indicato, ma anche per i caratteri interni, ossia per il contenuto. Infatti il contenuto poetico degli strambotti come degli stornelli, che costituiscono la poesia popolare dell'Italia inferiore, è altrettanto diverso da quello delle canzoni, che sono il patrimonio poetico dell'Italia superiore, quanto la forma esterna degli uni è lontana da quella delle altre" (15). Le parole di Costantino Nigra, che nel 1861 era segretario del principe di Carignano a Napoli, introducono, da glottologo e "folklorista", l'edizione del 1888 dei Canti popolari del Piemonte raccolti a cominciare dal 1854. La connotazione Italia "inferiore" e "superiore" non esprime solo un dato geografico, ma enuncia una rappresentazione morale, di civiltà.

briganti

Luigi Alonzi, detto Chiavone
contro cui combatté Govone
Il complesso impasto che modella l'idea di nazione non viene prodotto esclusivamente con simboli, figure e parole ricalcate da una tradizione multiforme e diversificata cui, i ceti elitari per lo meno, erano stati ampiamente socializzati (16). L'idea di "nazione italiana" viene anche costruita "contro" qualcuno, che ne è la negazione vivente e che pertanto deve essere riportato al modello in cantiere. Se il Sud è "vaiuoloso", una piaga, il Nord si costituisce e si intraprende come il suo medico. Il Nord, la "vera Nazione", si autopropone come il correttivo di un Sud recalcitrante da domare. La "controItalia" assume la figura storica del "brigantaggio", mentre è  il neo esercito italiano ad assumersi il compito di moralizzare le popolazioni, ad incarnare il nuovo spirito nazionale e a diffonderlo. "Il brigantaggio […] è la lotta fra la barbarie e la civiltà; sono la rapina e l'assassinio che levono lo stendardo della ribellione contro la società" (17) 
Esecuzione di Sepoys, 1858
Il nemico è un mostro, ignoto e ignobile: "[I briganti] sono rotti ad ogni lascivia e turpitudine, pronti ad ogni delitto: bevono il sangue, mangiano le carni umane" (18). Per riportare all'umanità questi stranieri interni, degenerati e irriducibili, sarà necessario tutto l'armamentario coloniale disponibile: stato d'assedio, legge marziale, tribunali speciali, pena di morte, fucilazioni di massa, bombardamenti a tappeto, rappresaglie, terra bruciata. 

Non mancavano modelli cui rifarsi. A Torino, un anonimo avrebbe suggerito per i riottosi meridionali "l'esempio offerto dallo sterminio delle truppe coloniali britanniche - i sepoys indigeni fucilati a migliaia- perpetrato dopo la grande insurrezione del 1857" (19). Il parallelo non era peregrino. La grande mutiny del 1857 aveva in comune con il "brigantaggio" meridionale, oltre agli auspicati aspetti repressivi, anche alcune cause (20). Un deputato alla Camera, Marzio Francesco Proto duca di Maddaloni in una interpellanza parlamentare del 20 novembre 1861 aveva protestato contro la politica dello sterminio asserendo che " il governo di Piemonte vuole trattar le provincie meridionali come il Cortes od il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come i fiorentini nell'agro Pisano, come i genovesi nella Corsica, come gli inglesi nel regno del Bengala" (21).
Uno spazio alieno, il Sud, si trasforma molto presto in uno spazio coloniale e come tale viene trattato. Coreografie immaginarie riguardanti il "noi" e il "loro" non sono mai mero lavoro mentale. Sono esercizio di potere e di egemonia, come Said ha ribadito a proposito dell'orientalismo(22).

Govone

Il generale Govone, "l'infame generale Govone", come lo apostrofa lo storico inglese Dickie (23), mentre guida i rastrellamenti delle campagne e dei paesi siciliani  scrive una Memoria sulle cause del brigantaggio, presentata alla Commissione del Brigantaggio il 2 aprile 1863 (24).
E' una panoramica non banale in cui si mescolano una casistica minuta con valutazioni sociologiche generali.
"La fame e la miseria è (sic) la prima delle piaghe che affligge il proletariato napoletano. Alla fame si aggiungono ingiustizie di cui è vittima il proletario…Se oltre alla fame il proletario non trova schermo contro la prepotenza, nulla è a maravigliare che si rivolti contro la società e che le dichiari la guerra, per cercare nella forza quell'equità che gli è negata. A questa condizione del proletariato napoletano va attribuita, a quanto mi parve dopo un lungo esame, la causa principale del brigantaggio…Alla rivoluzione [intende l'unificazione dell'Italia]  i nuovi potenti si dissero liberali e chiamarono borbonici gli altri. Fra i primi ho conosciuto gli onesti liberali, ma ancora molti individui cui la bandiera è solo di circostanza ed i moventi sono l'odio, l'invidia e talora un processo per interessi pendenti con chi vien da loro battezzato borbonico…Ma i sedicenti liberali, il partito vittorioso insomma (qui discorro dei proprietari che soli sono in causa), se comprendeva la parte che è degna di questo nome, comprendeva altresì, come è naturale, tutti gli ambiziosi, gli scaltri, ed anche antichi piaggiatori della tirannide borbonica i quali seppero e poterono far passaggio al partito vincitore…I Capitani della guardia nazionale e i Sindaci, contro cui si esercitano soprattutto le vendette dei briganti, in pari tempo che appartengono ai cosidetti liberali, appartengono soprattutto alla classe dei signorotti e sono fra questi gli attuali dominatori. Il proletariato non ha da essere contento di loro, come sopra dissi, e la vendetta del brigante contro gli stessi si riferisce assai più alla loro condizione di signorotti ed alle ingiustizie antiche e recenti, anziché al loro colore politico. Un indizio che mi conferma in tale opinione questo è, che mentre i briganti sono inesorabili a riguardo di questi signorotti, non lo sono tanto contro il soldato (meno il caso di combattimento), il quale mi pare dovrebbe esser preso principalmente di mira se la politica fosse il principale motore…Quindi esprimo il parere che la causa del brigantaggio sia nello stato sociale del paese e nelle condizioni del proletariato; senza dubbio non intendo escludere assolutamente molte altre cause che l'aiutano, quali la politica, la tradizione, il richiamo degli sbandati e quelle di altre che si vorrà"


La storiografia sul brigantaggio, per altro non imponente, si è sbizzarrita a delineare cause e concause del medesimo (25). A buon diritto il generale Govone si colloca in una posizione di radicale sociologia con forti venature  classiste. Il realismo dell'esercito sabaudo ha in lui un efficace campione. Lo sguardo govoniano è uno sguardo superiore, di chi è portatore di una ragione nazionale, e di una ragion di Stato, che tutto spiega e compone. Si denominano "brigantaggio" avvenimenti molto diversi tra di loro, li si unifica in una etichetta che li fa diventare un oggetto di conoscenza riconoscibile e identificabile su cui ragionare e operare. 
Fatto questo lavoro di generalizzazione, il "brigantaggio" viene interpretato come il sintomo principale del Meridione, la sua naturale espressione sociale e politica. Il Meridione è naturalmente brigante come il brigante è naturalmente meridionale. Nella nuova "ragione nazionale", Sud e "brigantaggio",  diventano intercambiabili. Dall'uno puoi risalire all'altro, come in un processo chimico. La non-storia del Sud può solo tradursi in una rivolta di proletari disperati (o di esseri primitivi, per altri osservatori) che non si lasciano plasmare da un esercito che, in nome dell'Italia, porta con le sue truppe la Storia, il progresso, la civiltà.
Su questa potente costruzione immaginativa, che abbiamo chiamato "orientalismo interno", si apre una storia di identità e di conflitti, di "questioni meridionali "  e "questioni settentrionali", che non abbiamo ancora sciolto.

note
(1)             Carteggio Cavour, Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1864, Bologna 1929, IV, p.301, citato in Moe, 1992, 57
(2)             Edward Said,  1991, pagg. 41-42
(3)             La bibliografia attivata da Orientalism è sterminata. Ne fanno parzialmente il punto Andrew J.Rotter, K.E.Fleming, Kathleen Biddick, 2000. Applicata al rapporto Nord/Sud in Italia, si veda Jane Schneider, 1997, soprattutto l'introduzione della curatrice;
(4)             Citato da Petraccone, 2000, p. 24
(5)             Carteggio Cavour, La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, Bologna, 1949-54, III, pag. 208; citato da Moe, 1992, p. 64;
(6)             A.Bianco di Saint Jorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia, 1860-63, Milano, 1864, p. 12; citato da Dickie, 1991, p. 61;
(7)             Buffetti in "Il Piemonte. Raccolta quotidiana di cose da ridere e di cose da piangere", 9 gennaio 1861; citato da Petraccone, 2000, p.24
(8)             Epistolario di Nino Bixio, a cura di Emilia Morelli, vol.II, Roma, 1939-1954, p. 57, lettera del 18 febbraio 1863; citato da Petraccone, 2000, p. 62
(9)             Said, 1991, p.244
(10)        Carteggio Cavour, La questione romana degli anni 1860-61, I, Roma, 1929, p. 70; citato da Moe, 1992, p. 67;
(11)        Massimo d'Azeglio e Diomede Pantaleoni. Carteggio inedito, Torino, 1888, p.441; citato da Moe, 1992, p.68;
per una completa ricostruzione del "Nord" come poetica dello spazio superiore contro inferiore, v. AA.VV, 1983; ricco di materiali soprattutto di stampo antropologico: Fernandez James W, 1997;
(12)        Di Francesco Giorgio, 1997, p. 60
(13)        Vincenzo Teti, 1993, ha ampiamente documentato questo esito e le
         critiche, minoritarie, che ad esso furono rivolte;
(14)        I rapporti controversi tra "orientalismo" e  "balcanismo" sono stati mirabilmente elaborati e discussi da Todorova, 1997;    
(15)        Nigra Costantino, 1974, I, p.XLIV
(16)        V. Banti, 2000
(17)        Giuseppe Massari, dalla relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio letta alla camera il 3 maggio 1833; cit. da Dickie, 1991, p.58;
(18)        Giuseppe Massari, relazione della commissione d'inchiesta, comitato segreto del 3 aprile 1863; citato da De Jaco, 1969, p.57;
(19)        Anonimo, Sul brigantaggio: note di un ufficiale italiano, in "Rivista Contemporanea", 1862, XXIX, Torino; citato da Martucci, 1999, p.294;
(20)        V. Stokes, 1986, p. 28, all'origine della rivolta era "il risentimento dei contadini per la perdita del controllo sulla terra a tutto vantaggio di 'uomini nuovi' e di caste di usurai cittadini".
(21)    Citato da Martucci, 1999, p. 295;
(22)        "Credere che l'Oriente sia stato creato -o, come mi piace dire, 'orientalizzato'- per il solo gusto di esercitare l'immaginazione, sarebbe alquanto ingenuo, oppure tendenzioso. Il rapporto tra Oriente e Occidente è una questione di potere, di dominio, di varie  e complesse forme di egemonia…" Said, 1991, p.8;
(23)        Dickie,  1991, p. 62;
(24)        Govone, 1929, p.359-377;
(25)        Fa il punto Adorni, 1997, pagg. 283-319;

bibliografia

AA.VV, 1983, L'Europa divisa: la formazione dello stereotipo del Nord nella cultura italiana tra Sette e Ottocento, in  Il Vieusseux. Giornale di scienze, lettere e arti, XIX, aprile-giugno
Adorni Daniela, 1997, Il brigantaggio in Storia d'Italia - Annali, 12, La criminalità, Torino
Banti, Alberto M., 2000, La nazione del Risorgimento, Torino
Dickie, John, 1991, Una parola in guerra: l'esercito italiano e il 'brigantaggio' (1860-1870)" in                                                  Passato e presente, a.X, n.26
De Jaco, Aldo (cur.) 1969, Il brigantaggio meridionale. Cronaca inedita dell'Unità d'Italia, Roma;
Di Francesco, Giorgio, 1997, "il popolo, la magior parte sono camuristi". Diario militare e di costume, 1860/1870, di Antonio Quaglia, bersagliere piemontese, Torino;
Fernandez, James W., 1997, The North South Axis in European Popular Cosmology and the Dynamic of the Categorial, in  American Anthropologist, n.99;
Govone, Uberto, 1929, Il generale Giuseppe Govone. Frammenti di memorie, Torino;
Martucci, Roberto, 1999,  L'invenzione dell'Italia unita, 1855-1864, Milano; 
Moe Nelson, 1992,"Altro che Italia!". Il Sud dei piemontesi (1860-61), in  Meridiana, n. 15;
Nigra, Costantino, 1974, Canti popolari del Piemonte, prefazione di G. Cocchiara,Torino;
Petraccone, Claudia, 2000, Le due civiltà. Settentrionali e meridionali nella storia d'Italia, Bari;
Rotter, J.Andrew e Fleming, K.E., Biddick, Kathleen, 2000, Orientalism Twenty Years Onin  American Historical Review, october, 2000; 
Said, Edward W., 1991, Orientalismo, Torino,  trad. di Orientalism, New York, 1978;
Schneider, Jane (cur.), 1997, Italy's Southern Question: 'Orientalism' in One Country, Oxford;
Stokes, Eric, 1986, The Peasant Armed. The Indian Rebellion of 1857, Oxford;
Teti, Vincenzo, 1993, La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale, Roma;
Todorova, Maria, 1997, Imagining the Balkans, Oxford.


inutile aggiungere che dal periodo di stesura di questa relazione ad oggi gli studi sul "brigantaggio" si sono arricchiti. Anche il fondamentale lavoro della Todorova è stato tradotto [male] in italiano, Lecce, Argo, 2002.

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