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GERMANO PATTARO
Sono venticinque anni dalla morte di don Germano Pattaro, un prete che ho conosciuto molto tempo fa.  L'avevo ricordato in un trafiletto pubblicato sul settimanale locale di Pinerolo, che qui riproduco, con una postilla.
Germano Pattaro era un prete veneziano di straordinaria potenza intellettuale. "Sai che il mio mestiere è il pensare. Non so far altro…Alle volte la mia testa è come una cassa di risonanza. Tutto si miscela con echi sconosciuti e frange di fantasia improvvisa. Mi sento giocondo e cretino. Felicemente, direi" . La sua immaginazione teologica lo porta a lavorare a fondo nell'ecumenismo. Dagli anni Sessanta è presente ovunque ci sia da intrecciare pensieri nuovi con chi proprio quelli si aspettava.
Figura di intellettuale “ecclesiastico” coinvolto in imprese di cultura senza aggettivi. Musicologo e musicista.  Ricordo una notte trascorsa ad accapigliarsi sui destini della musica cosiddetta contemporanea.
Nel libro [ S. Canzi Cappellari, F.Ciccolò Fabris (cur.), SUL CONFINE. Gli ultimi anni di don Germano PattaroEDB, Bologna, 2001] sono raccolte le lettere scritte da Pattaro a suor Franca Stefanelli e una partecipe testimonianza di quest'ultima. Una grave forma di pancreatite gli avvelena gli ultimi quindici anni di vita, tra terapie e operazioni chirurgiche. "Non amo però la croce, amo il Tuo amore sulla croce"  Nessuna condiscendenza ad una spiritualità della sofferenza "Perdere (stare nella Croce) non è per la nostra fedeltà o per la nostra salvezza. Per la salvezza invece degli altri. Perdendo, ignorati, dimenticati, non compresi, così da essere luogo di grazia per i molti che non sanno e che Dio chiama a sé, dentro il percorso segreto aperto alla dimenticanza che il Padre in Cristo ci chiede. Senza che questo diventi pena, amore del dolore, masochismo. Per entrare, al contrario, nella pace. Liberi da noi stessi e dall'essere noi per noi il nostro problema".
La ditta, la Chiesa, come la chiama Pattaro, vedeva in lui soprattutto il brillante oratore, il comunicatore, si direbbe adesso. Queste lettere ci restituiscono invece un uomo che assume in pieno il fatto di stare sul confine e da questa posizione interpreta se stesso, la storia, le vite di tutti, dove " il cattivo gusto di Dio uccide la nostra presunzione geometrica. Vogliamo cose perfette, ordinate, a posto, senza imprevisti, equilibrate, per bene. Ci cade addosso lo squilibrio assurdo della Croce, dove Dio sembra morire per aver sbagliato il conto". Non si accontenta di una spiegazione della vita, sa che ci sono tensioni dentro di noi che si oppongono e non si possono comporre, se non nella finzione. In certi momenti di convalescenza va in montagna: "I Rifugi stanno a picco, a nido d'aquila. Appollaiati. Punti di pietra. Arrivo e sto dentro la densità vibrante dell'altezza. Fermo. Seduto dentro il mio cervello e il mio cuore. Altrove. Tutto qui e altrove. Gli uomini non c'entrano. Una evasione? Non lo so. Vorrei dir Messa, quassù. Solo, perché la Grazia diventi misericordia in ogni direzione di terra. Il Calvario non ha questa altezza. Sale solo quattro spanne, perché si veda Cristo piantato sopra. Semmai il Tabor. Ma Cristo sta nell'immondezzaio del Golgota. Non è la Montagna il luogo della Messa. La Montagna è un lusso fatto di pietra per gli occhi. La Messa sta dove sta Cristo: in mezzo, dentro, alla durezza opaca della esistenza squallida, sporca e tribolata. Io sono pagano: sto bene quassù. Borghese: mi piace il silenzio raffinato e lo spazio innocente. Godo con intensità. Ognuno ha la sua Ur di dove è chiamato fuori. Senza fare i conti."
Questo libro può essere letto in diversi modi, l'uno avviluppato all'altro. Il primo va a distillare una teologia vivente che si confronta continuamente  con Dio che si nasconde. Il secondo permette di ricavarne un apprendistato alla morte che non ricorre, laicamente, a religiosità di rifugio e di compatimento. Il terzo, più difficile, ma trasparente, è quello di riconoscere il profondo amore che ha legato il prete e la suora che l'ha accompagnato per dieci anni fino alla morte, il 27 settembre 1986. Se la parola amore ha ancora alle nostre orecchie la ricchezza di significato che si porta dentro: " Tu dovrai aiutarmi a distaccarmi anche dai miei libri…Promettimi che mi aiuterai a morire…A te posso dire tutto. Vorrei vivere ogni attimo ringraziando e lodando Dio anche per questo dono di te e per aiutare i soli a trovare fiducia, guardandoli come Gesù dalla croce guarda tutti. Custodisci queste cose perché non ho nessuno a cui dirle. Tu fa' in modo che attorno a me dopo la mia morte si faccia silenzio"

Il 4 novembre 1975 così conclude una lettera a suor Franca:
"Ciao, Franca, La mia casa non è vuota. E' vuota quando non c'è nessuno. E' piena quando ci sono io. I fiori posso anche immaginarli. Ne ho avuti tanti e ce ne sono sempre tanti. Curati bene, perché anche il corpo è un dono che va rispettato. E' per la Resurrezione e non per la Morte. Sii intera. Ogni tanto sbronzati e fai una cantatina. Guardati allo specchio e riditi dietro. Non essere sempre impegnata. Il ridicolo dà sempre la nostra misura, altrimenti si diventa 'fanatichetti'. Godi di tutto e fai belle dormite. Il Signore ti benedica e ti faccia allegra sempre. " 

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