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CANTICO DI SORELLA BICI
Karel Čapek
intitolavo così un paragrafo del mio libro/guida di Amsterdam pubblicato in diverse edizione prima dalla CLUP e poi, purtroppo, dalla De Agostini. 
Lo ripresento qui tale e quale. 


Cittadini di Amsterdam! Basta col terrore d’asfalto della classe media motorizzata! Ogni giorno le  masse offrono nuove vittime sacrificali all’ultimo padrone a cui si sono piegate: l’auto-rità. Il soffocante monossido di carbonio è il loro incenso; la vista di migliaia di automobili infetta strade e canali. Il piano Provo delle biciclette ci libererà da questo mostro. Provo lancia la bicicletta bianca di proprietà comune”        agosto 1965, Piano delle Biciclette Bianche dei Provos

Arrivava sempre primo. Quando c’era una corsa si metteva a un chilometro dal traguardo e nel momento in cui stavano per sopraggiungere le avanguardie si buttava sui pedali e percorreva trionfante la dirittura d’arrivo fino al traguardo. Per noi ragazzi era un tripudio. “Magnan” ancora una volta aveva vinto tutti. Il vero primo della gara per noi era sempre e solo un “secondo”, dietro Magnan, che nei giorni normali pedalava su un’autentica bici da corsa vestito da Fausto Coppi per guadagnarsi i nostri entusiastici “Forsa Magnan!
Per questo sono magnanimo con Amsterdam, repubblica delle bici. Se pensate che “campagnolo” sia un aggettivo qualificativo che indica una persona o un prodotto che viene dalla campagna, allora appartenete a una cultura in estinzione. “Campagnolo” è una meraviglia della tecnica che consente di cambiare “moltiplica” e di adeguare la bici alle intenzioni del ciclista oltre che all’assetto della strada. Se pensate che 2000 turbo, alberi controrotanti di equilibratura, intercooler e boost-drive siano il linguaggio del futuro, il vostro destino è segnato. Le future generazioni vi ricorderanno con curiosità, niente di più. Quando usare l’auto in città sarà considerato un atto terroristico e la bici dominerà incontrastata.
Mozzi”, “pedivelle”, “galletti” è il vocabolario da apprendere fin da adesso, l’arte della manutenzione della bici la filosofia da acquisire. Andare ad Amsterdam è anche questo: uno sguardo sul futuro delle città. O, meglio, la scommessa sulla loro e nostra sopravvivenza: se le città delle prossime generazioni saranno, moltiplicate per 100, Torino, Napoli, Bangkok, nelle ore di punta. Ad Amsterdam la battaglia non è ancora persa. Lo strame di auto non ha ancora intasato l’esistenza della città. La bicicletta cerca di resistere come macchina del futuro, energy saving, body building. “E io passo per le strade larghe/ e parlo ai tram e alle macchine/ e parlo a un ciclista cavalletta/ che non mi sente./ E io passo per le strade strette/ e saluto noti ladri di biciclette” [Hans Andreus, 1926-1977].
Ad Amsterdam la bici convive con l’auto, prima che questa diventi prerogativa delle nazioni arretrate. Non è un oggetto singolo, ma un’entità collettiva, una colonia di benefici batteri che si autoriproduce lasciando per strada quelli infecondi. Telai, selle, manubri, ruote, carcasse di biciclette, fecondano lo spazio urbano, da cui, di notte, nascono altre bici che vengono inforcate poi dagli abitanti della città. Nessuno escluso: giovani funzionari di banca, anziani ingegneri, professoresse di mezza età, macellai di provincia, operaie del porto, tutti cavalcano democraticamente suppergiù la stessa sgangherata macchina a due ruote, prolungamento dei loro corpi. Tutti godono della forza d’inerzia che genera la pedalata, tutti sono creativamente se stessi pur nel branco. Una frenesia di biciclette canore che mette allegria e quiete.

"Una bicicletta non è nulla, ma è già qualcosa ribadiva il Piano delle Biciclette Bianche  dei Provos. La ripresa dell’anarcociclismo forma una Massa Critica contro il dogma della modernità a tutti i costi, contro il mito dell’esibizione di potenza. La polizia sequestrerà le biciclette bianche perché, senza lucchetto, “istigano al furto”!
In mezzo alla strada deserta giaceva una bicicletta con la ruota anteriore che continuava a girare a vuoto in alto – un effetto drammatico, che più tardi non sarebbe mancato di venir presentato in primo piano in film sulla Resistenza” [Harry Mulish, 1927-].
Il turista consapevole si accoderà agli altri amsterdamesi con la propria bici, ne seguirà le evoluzioni e i rituali:
• manubrio e sella altissimi se vorrà sfrecciare come bionde anime volanti olandesi;
• pacchi e portaborse alla ruota posteriore se vuole dimostrare la sua intrinsichezza con la città;
• pedalata lunga e robusta se non vorrà subito rivelare il suo italico torpore automobilistico;
• scampanellio brillante e deciso, e sovrano disprezzo degli ostacoli – soprattutto degli invadenti “amsterdammerties”, onnipresenti paracarri soggetti a salaci caricature;
• direzione sicura verso Leliesgracht 22 per qualsiasi accessorio ciclistico;
• ricerca ardua del parcheggio della macchina a due ruote e incatenatura a ogni sporgenza urbana, come se città e bici si aggrappassero assieme.
Soprattutto il nostro turista mediterraneo dovrà presto rendersi conto che i velocipedi olandesi non hanno freni visibili, sono “a ruota fissa”. Si frena cioè spingendo all’indietro i pedali. Operazione che richiede più coordinazione che scalare le marce in una Maserati in curva. Il perché della soluzione “a ruota fissa” è presto detto: la bici è una macchina totale, non serve solo per i week-end nei parchi quando c’è il sole, ma è un efficiente mezzo di trasporto urbano. Anche quando piove e un ombrello fa comodo e i freni a pattino slitterebbero sui cerchioni bagnati. Anche quando si devono trasportare oggetti ingombranti e una sola mano sta sul manubrio. Anche con un bambino davanti e uno dietro, anche con il fidanzato o la zia sul sellino posteriore. I cargo-bike hanno brillantemente risolto il problema del trasporto di plurima infanzia o pacchettatura ingombrante.

Siamo a Nord e, come diceva Glenn Gould, il Nord fa diventare filosofi. Freddo, pioggia, non intaccano questa filosofia biciclica. “È la pioggia d’autunno/ che cammina lungo l’estate,/ è la meraviglia taciuta/ a lungo che mormora” (Guillaume van der Graft, 1920-1954]. Amsterdam e la pioggia non si contraddicono, si scambiano l’umidità, i sentimenti si distendono, i piccoli orti fremono e la Bici Solitaria conosce finalmente la città. “Rorate coeli, Alleluja” sembrano cantare parafanghi e pignoni. Occasione buona per il turista di recitare finalmente la parte del non-turista.
La città sarà ricca di premi e cotillons per il viaggiatore che l’accarezzerà con le due ruote. Si svelerà come a nessun altro e la donna o l’uomo del velocipede proveranno infine il godimento di pedalare nel futuro urbano.
Se vi riconoscete del pedal power allora inforcate www.cycletours.nl e percorrerete tutte le piste ciclabili di Amsterdam e dell’Olanda, ma se volete l’Iliade e l’Odissea della bici allora dovete rivolgervi alla bibbia ciclistica: www.biciedintorni.org/bici_web/
Mandalay, Birmania/Myanmar

Commenti

  1. La bicicletta rallegra il cuore,rilassa il pensiero, stanca le gambe.E'come l'amica del cuore che ci segue senza fare domande.
    Provengo da una regione(Emilia Romagna)dove la bici fa da padrona, è di casa e senti che ti manca qualche cosa se non la possiedi. Cara "bici"... compagna della mia infanzia...

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  2. Ho amato questa guida ( Clup edizione 1991) forse quasi quanto amo A'dam...perchè in Europa ci sono città dell'emozione e città dello stupore. Luoghi da cui esci spossato di nostalgia e luoghi che ti inondano di chiarore i pensieri....Caro Claudio Canal questa guida è stato il mio vangelo per i dieci mesi che ho vissuto ad Amsterdam...e per tutte le volte che ci sono tornata ..ogni volta cercavo una frase che non avevo ancora letto ma non la trovavo. Grazie! Irene Tumbiolo

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