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Ti ricordi, Nuto?
lettura scenica su Nuto Revelli

Ho conosciuto Revelli in anni movimentati. Ho avuto occasione di frequentare i tribunali, come imputato, e le patrie galere. Il vizio di voler cambiare il mondo mettendogli fretta. Revelli puntuale si presentava tra il pubblico e la sua figura cambiava l'atmosfera. Tutti, ma proprio tutti, più seri e più coraggiosi. Ci saremmo visti qualche volta a casa sua e soprattutto in occasione di dibattiti vari, specialmente sul tema esercito, Stato e dintorni, che allora mi agitava. Una volta acconsentì anche a presentare un mio libretto sulla città di Praga insieme a Bianca Guidetti Serra e all'amico Giorgio Boatti, oltre ad una masnada di musicisti. Non posso naturalmente millantare una amicizia. Posso testimoniare la mia emozione ogni volta che lo incontravo e la felicità di immergermi nei suoi libri, anche quando mi facevano sognare di perdermi nel gelo bianco della steppa.

Ti ricordi, Nuto? non è solo il tentativo di ricordarlo: è morto il 5 febbrario 2004. E' la proposta di comunicare l'incontro con un grande scrittore.
Di lui hanno detto: era un partigiano, un democratico come ce ne sono pochi in questo paese di voltagabbana, un testimone che diventa uno storico di quelli che gli storici - e non solo loro - trascurano molto volentieri.
Revelli è, soprattutto, un grande scrittore.
Credevo di aver fatto una scoperta, poi ho riletto la prefazione di Aldo Garosci a La guerra dei poveri, del 1962, dove Revelli viene definito "scrittore di cose in un mondo di scrittori di parole".

Era interessato alla "forma"? Io so che la riconosci sempre, una scrittura scarnificata come le vite che va raccontando, classica per chiarezza e per impianto, decisa, antibarocca. E' una scrittura in cui le storie visionarie e tremende che ascolta diventa possibile toccarle.

In Ti ricordi, Nuto? cerco di cogliere Revelli al lavoro. Nuto rovescia il procedimento classico dello storico e guarda alla narrazione di vita e di storia di una Paola Martinengo o di un Marco Duberti come fossero quelle di Carlo Magno, di Maria Stuarda, Pietro Valdo o Mata Hari. Ci restituisce delle vite irriducibili l'una all'altra, coglie l'assolutezza delle singole individualità senza la necessità di farle diventare tassello di un mosaico, così come non sono tasselli Amleto, Gregor Samsa o Lucia Mondella.

Le singolarità che Revelli insegue e a cui dà voce non sono inscritte solo nelle vicende del mondo contadino, nella storia d'Italia e del Novecento, ma sono elementi di una storia del genere umano. Proprio il massimo di determinazione, di specificazione, produce il massimo di universalità. Quel soldato, quel contadino, quella montanara. Un'umanità quasi sempre irraggiungibile.

Tra la materia narrativa e Revelli c'è poca distanza. Non può allontanarsene. Non può modificare le vicende, gli andamenti, i contesti. Come un antico scrittore greco trova la materia del racconto già bell'e fatta.
Ma non è comandato dalla materia. La lavora.

Revelli ai suoi montanari, alle contadine, ai soldati, presta la lingua, non solo nel senso che traduce dal piemontese in italiano [traduce, NON trascrive o sbobìna come avrebbero preteso gli accademici delle fonti orali], ma nel senso che trasforma in scrittura, costruisce la narrazione. Insomma, mette all'opera quello che in Occidente abbiamo deciso di chiamare Letteratura.

Migliaia di racconti in lingua madre gli sono stati fatti, in piemontese [vedi post]. Li trasforma in italiano, ma li rende in una lingua creola in cui frammenti di piemontese definiscono il registro. Niente da spartire con il piemontese edulcorato e fittizio che si sente e si legge nelle sedi deputate alla cosiddetta identità piemontese.

Avrebbe potuto, Revelli, diventare il cantore del mondo che fu. Sposare quell'ideologia reazionaria dell'identità, delle radici, che va molto di moda oggi nella sinistra e che si esprime nella dogmatica del multietnico, del multiculturale, forma elegante di camuffamento del razzismo Ventunesimo secolo.
Ti ricordi, Nuto? ha la pretesa, attraverso i testi recitati, di disperderci nel mondo dei dispersi che Revelli ha così ostinatamente e generosamente ascoltato.
Alle ultime edizioni ha partecipato Silvia Genta.

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