"Lettura" dalla Newsletter N. 29, giugno 2010, dell'Osservatorio sull'immigrazione in Piemonte, www .piemonteimmigrazione.it/site/
Pare che sia questo Trittico: La Natività, L’adorazione dei Magi, La presentazione al Tempio - ora al Prado di Madrid- del grande tedesco/fiammingo Hans Memling [1435 –1494], a contenere la prima rappresentazione di uno dei re come nero africano.
A causa dei movimenti migratori nella vita di tutti i giorni le chiese cristiane europee si trovano ad affrontare una complessità di temi verso i quali il richiamo alle “radici giudaico-cristiane” non porta alcun contributo. Si può immaginare, un po’ grossolanamente, di rappresentarli nella forma dei cerchi concentrici.
Per la Chiesa Cattolica, in particolare, uno dei temi che sta al centro è la carenza di vocazioni sacerdotali e la sostituzione di fatto di molti preti “nativi”con altri provenienti o dall’Est Europa o da paesi extraeuropei. Da Chiesa Missionaria a Chiesa Missionata, si potrebbe dire, vocabolario permettendo. Questo argomento è già stato toccato nella Lettura della Newsletter n. 21 febbraio/marzo 2009 [leggibile qui: http://www.piemonteimmigrazione.it/Pop/letture_canal_22.htm]
Un po’ più all’esterno sta il problema degli immigrati dentro la Chiesa, in concreto nelle parrocchie. Qui va segnalato un incisivo articolo di Carmelina Chiara Canta su Vita e Pensiero, 2/2010 [per l’abstract vai a: www.vponline.it/riviste/888888/2010/2/ ] dal significativo titolo Immigrati e cattolici. Stranieri in "chiesa" propria in cui vengono esaminati cinque scenari del rapporto immigrati cattolici/chiesa cattolica italiana: contaminazioni, convergenze, separatezza comunitari sta, la contaminazione leggera, osmosi etico-morale. La conclusione è drastica e realistica, per chi abbia osservato e/o partecipato al fenomeno: “Siamo in una sorta di ‘pluralismo religioso interno’ (“multi religiosità cattolica”); spesso i credenti provenienti da altri Paesi vivono come se appartenessero a confessioni diverse”. Naturalmente non basta che alle pratiche religiose popolari [il pellegrinaggio alla Madonna del Divino Amore a Roma o alla processione della Consolata a Torino] si uniscano gruppetti di emigrati, soprattutto latino americani. La proliferazione nelle diocesi di “cappellanie etniche” la dice lunga sul carattere poco “cattolico”, cioè universale del cattolicesimo, anche se, in controtendenza, molti oratori, centri Caritas e alcuni consigli pastorali vedono la presenza a pieno titolo di immigrati.
Nell’articolo citato spiace l’uso un po’ troppo disinvolto e non critico del termine etnia ed etnico e la labilità dei dati: a pagina 4 gli immigrati cattolici risulterebbero 739.000, pari al 19,3% degli immigrati cristiani, a pagina 5 sono inspiegabilmente scesi a 663.338, pur restando sempre il 19,3% di tutti gli immigrati (cristiani?). Né è di grande aiuto il riferimento teorico al lavoro di Enzo Bianchi che di solito sfuma verso un generico atteggiamento di “compassione” verso lo straniero e quasi mai nel riconoscimento e fondazione dei diritti e nella riduzione delle vessazioni anche istituzionali cui sono sottoposti [si veda la lectio magistralis tenuta a Vicenza in occasione del Festival biblico, parzialmente pubblicata da Il Sole24ore del 23 maggio 2010, leggibile in: www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201005/100523bianchi1.pdf]. Ma il filosofeggiare un po’ vacuo pare convenire particolarmente al tema [v. Carmine Di Sante, Lo straniero nella Bibbia. Saggio sull’ospitalità, Città Aperta, Troina, 2002].
Un altro “cerchio” del problema è dato dal fatto che molti immigrati cattolici, e non solo, sembrano orientarsi verso la versione “pentecostale” del cattolicesimo, cioè su una pratica religiosa su cui la gerarchia cattolica fa una certa difficoltà ad esercitare il controllo [su questo argomento, cui bisognerà ritornare, mi limito a segnalare per ora il sito http://www.glopent.net/ dell’European Research Network on Global Pentecostalism e l’articolo di M.Masken, Migration et pentecôtisme à Bruxelles. Espériences croisées, in Archives de sciences sociales des religions, n. 143, 2008].
In Italia molti immigrati e immigrate dall’Est europeo sono di fede ortodossa o di rito cattolico orientale [“uniate”]. Spesso chiese non più utilizzate o esuberanti rispetto al fabbisogno dei fedeli di una diocesi, vengono date “in gestione” a comunità ortodosse. Ma questo non basta a risolvere i problemi che, da un punto di vista cattolico, sono tanti: amministrazione dei sacramenti a fedeli ortodossi, matrimoni misti, “prime comunioni” ecc. La Conferenza Episcopale Italiana ha emesso un dettagliato Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici [leggibile e scaricabile qui: www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2010-03/02-3/Vademecum%20orient_non_catt.pdf ] dove il genio canonistico della Chiesa cattolica si esprime pienamente: è contemplata tutta la casistica possibile e indicate le soluzioni. Ancora da venire l’eventualità di una concelebrazione eucaristica tra preti cattolici e ortodossi ["communicatio in sacris"].
Procedendo ancora immaginativamente verso l’esterno dei “cerchi” si pone il problema del rapporto con migranti di altre religioni. Tema da affrontare con più attenzione in una prossima Lettura.
Commenti
Posta un commento