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DEGLOBALIZZARSI


Ho pubblicato il testo che segue nella rubrica LETTURE della Newsletter dicembre n. 26 dell'OSSERVATORIO IMMIGRAZIONE IN PIEMONTE
leggibile in www.piemonteimmigrazione.it/


La crisi non fa sconti a nessuno. Forse a qualcuno sì. Ma nella difficoltà c’è chi è ancora più in difficoltà. Se perdo il lavoro è una tragedia. Se a perderlo è un lavoratore o una lavoratrice stranieri rischiano in più di essere espulsi. La differenza non è da poco. L’emigrato e le sue rimesse a casa sono una speranza. Nel 2009 le rimesse sono calate. La Banca mondiale dice che erano 328 miliardi di dollari nel 2008, 304 nel 2009. Per questo molti emigrati – quanti? Non si sa – cominciano a mandare indietro le famiglie nella speranza di non dover tornare loro stessi. Loro stesse, nel caso delle “badanti” e di altri impieghi di cura.

C’è tutta una vasta letteratura sulle migrazioni di ritorno (1) che però si è sviluppata in altre fasi storiche, quando i flussi migratori verso i paesi ricchi erano in costante aumento e le decisioni di tornare potevano rimandare a motivazioni molto diverse fra di loro. In molti paesi asiatici emergenti lo tsunami del ritorno a casa sta raggiungendo cifre di grande rilievo. A parlare di tsunami è stato Joseph Chamie, già responsabile della divisione popolazione delle Nazioni Unite, in un’intervista al settimanale Newsweek del marzo scorso, riferendosi soprattutto ad alcuni paesi asiatici (2). Un quasi paradiso fiscale indicato fino a poco tempo fa come un esempio di sviluppo prodigioso, l’Irlanda, ora registra un saldo di 65.000 emigrati contro i 57.000 immigrati. Il caso della Cina poi è tra i più interessanti, dato che milioni di contadini dovranno fare ritorno alle loro campagne dopo aver tentato la fortuna nelle aree di sviluppo come Shanghai dove qualche fabbrica comincia a chiudere. La recentissima crisi finanziaria di Dubai fa perdere alcune migliaia di posti di lavoro, solitamente occupati da manodopera immigrata. E così via.

E’ la deglobalizzazione, bellezza. Quel processo per cui al crollo dei flussi finanziari verso i paesi del Sud del mondo, al ritiro del credito da parte delle banche verso i paesi emergenti, al carattere fortemente nazionale dei fondi sovrani (3), corrispondono nei paesi ricchi politiche protezionistiche che incoraggiano a produrre “nazionale” e a comprare “nazionale”. Con il corredo di politiche culturali di stampo nazionalistico anche quando si tratti di aree regionali, Europa contro Resto del Mondo, USA contro Cina, Russia contro Europa…

C’è chi, come la Spagna, offre 14.000 dollari all’immigrato che accetti di tornare in patria e a non farsi vedere per almeno tre anni. La Repubblica Ceca 649 $ e il biglietto aereo di sola andata per chi se ne va definitivamente. In Italia è attivo il NIRVA Networking Italiano per il Rimpatrio Volontario Assistito [v. www.retenirva.it/
], promosso dal Ministero dell’Interno in collaborazione con Caritas, ACLI e altri Enti. Non è ben chiaro quale sia la sua presenza sul territorio e la sua efficacia.

Come sempre, i grandi mutamenti economici non sono sovrastrutture astratte, ma sono vite in trasformazione, con il loro carico di pena e di speranza.

La scorsa settimana ho parlato con una ragazza marocchina studentessa in un istituto superiore torinese: suo padre è tornato in Marocco perché ha calcolato di avere una professionalità spendibile anche là. Sono rimaste a Torino la moglie e le figlie, nell’attesa di ricevere le indipensabili rimesse dal padre. Un transnazionalismo di nuova fattura che meriterebbe di essere indagato in tempo e appoggiato intelligentemente.

Qualche anno fa, Walden Bello,(4) l’economista filippino noto per il suo impegno critico, aveva pubblicato un libro che forse andrebbe aggiornato, ma i cui temi fondamentali sono diventati di attualità:


Per prima cosa “deglobalizzazione” non significa ritirarsi dall’economia internazionale, ma istituire con essa una relazione che possa accrescere le capacità di ognuno anziché soffocarle o distruggerle.

Il vero problema del libero mercato e della globalizzazione guidata dalle corporation è che, nel processo di integrazione, le economie locali e le capacità nazionali vengono distrutte sotto il peso della presunta razionalità della divisione del lavoro, che nei fatti annienta ogni diversità.

Mi sembra però che ci stiamo avvicinando a comprendere che la diversità è essenziale anche per lo stato di salute dell’economia.

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(1) Jean-Pierre Cassarino, Theorising Return Migration: the Conceptual Approach to Return Migrants Revisited in International Journal on Multicultural Societies, 2.2004, leggibile in http://unesdoc.unesco.org/images/0013/001385/138592E.pdf#page=3

Id. The Conditions of Modern Return Migrants in idem, 2.2008, leggibile in http://unesdoc.unesco.org/images/0018/001812/181209E.pdf

(2) leggibile in www.newsweek.com/id/189262

(3) Fondi sovrani sono fondi statali utilizzati dai governi per investire in strumenti finanziari gli avanzi fiscali o le riserve di valuta estera. Sono nati soprattutto in paesi esportatori di materie prime, come Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar, Russia, Norvegia, Cina. Sono evidenti, in assenza di regole precise, le possibili interferenze dei governi detentori nelle attività economiche e finanziarie di altri Stati.

(4) Walden Bello, Deglobalizzazione. Idee per una nuova economia mondiale, BaldiniCastoldiDalai, 2004

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