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PRAGA
raccolgo qui qualche scritto breve che ho dedicato a Praga
testi sparpagliati su pubblicazioni le più diverse

Jiří Kolář
Come per Gerusalemme, anche Praga si duplica in una “Praga celeste”, una città della mente, fortificata nella testa di donne e uomini che l’hanno immaginata e fantasticata. Alcuni non hanno mai calpestato le strade della Praga reale. Come per la “Gerusalemme celeste” si tratta di uno psichismo di grande dolcezza e trasalimento, dove una città diventa la foresta non conciliata dell’io e del mondo. Ridotta certe volte ad un ponte, al Ponte:
L’ultimo ponte.
(Non gli ridarò il suo braccio, non toglierò il mio!)
L’ultimo ponte,
l’ultimo pedaggio
Praga dell’anima di Marina Cvetaeva che nel ’26 vi scriveva il Poema della fine, cioè “il dolore femminile ormai esploso, le lacrime che erompono”.
Praga numerica del K.504 che invano cercheresti in cabale urbane e in aritmetiche statistiche. K.504, la città sinfonia costruita dall’architetto e muratore scapestrato che con questa città ha scambiato gesti d’amore intenso: “vedrai, carino / se sei buonino/ che bel rimedio ti voglio dar…Saper vorresti/ dove mi sta;/ sentilo battere, /toccami qua. Wolfgang Amadé Mozart la città l’ha toccata qua e là e dalla città è stato toccato: Sinfonia n. 38 in re maggiore K.504 “Praga”.
Praga del 6 luglio 1883, nascita di uno che “ amó a las mujeres para cartearlas, che amò le donne per scrivergli lettere, secondo l’intuizione di Manuel Vázquez Montalbán. Un praghese “ridacchiante, allegro, spavaldo come lo dichiara l’amico Max Brod mentre lo aspetta all’uscita dal corso di giardinaggio che Franz K. frequenta con entusiasmo.
 
    Kleine Seele, springst im Tanze,
    Legst in warme Luft den Kopf.
    Hebst die Füsse aus glänzenden Gras,
    Das der Wind in zarte Bewegung treibt.
    Frische Fülle, quellendes Wasser,
    Stürmischer, friedliches, hohes,
    Sich ausbreitendes Wachsen.
    Glückselige Oase.
     
    Morgen nach durchtobter Nacht.
    Mit den Himmel Brust an Brust.
     
    Friede, Versöhnung, Versinkung.
 
Praga città  marinara dove approdano tutte le navi dei folli che vogliono sognare umanità incandescenti e riluttanti. 
Ora al caffè Slavia 
Sulla Moldava indifferente
Tu mi sei vicino
Irraggiungibilmente. 
Fra noi un tavolino,
un mondo intero.
Siamo arrivati un sogno troppo tardi             [Olly Komenda-Soentgerath]
Praga città apolide dove tutti sono a casa, nella casa dell’esilio. 
Oggi Praga rassomiglia a un fiore pressato
E a tutte le città
A tutte le città che hai visitato a tutte le città che intendi visitare
Qui ti senti come un forestiero appena arrivato che cerca un albergo.
                                                                  [Vítězslav Nezval]
Praga celeste dunque, che ognuno si è forgiato a propria immagine e somiglianza in una Genesi senza freni né fili spinati. Oibò, fili spinati. Praga li ha conosciuti, conficcati nell’anima e, certe volte, nel cuore. Una Praga tutta terrena che combatte guerre in sequenza. La prima era stata contro avvoltoi neri che andavano a riempire una vicina discarica urbana, chiamata Città di Teresa o Terezín. Vi finivano, in una raccolta differenziata, donne, uomini, bambini praghesi ebrei che per un tratto s’illudevano di essere capitati in una  Praga in miniatura, un po’ puzzolente e affollata, ma ancora disponibile al sogno. E li’ suonavano, cantavano, dipingevano, scrivevano poesie come se fossero stati sul ponticello di Novotný:
Lo so,
la vita è solo un incessante addio.
Non lo sanno gli uccelli
Che amano cantare
Su un ramo qualsiasi,
e sono felici.                        [Jaroslav Seifert]
Ad attendere gli uccelli canterini ci sarebbero stati diversi inceneritori delocalizzati in Europa. Milena, che ebrea non era, sarebbe parimenti precipitata nella nazi-fogna di Ravensbrück. Cosa avrebbe annotato sul suo diario Franz K. alla notizia della eliminazione della donna amata, Milena, e delle tre sorelle Elli, Valli, Otla? Quale metamorfosi avrebbe concepito?
le tre sorelle Kafka: Valli, Elli, Otla
sulla loro fine per mano nazista v. http://www.zwoje-scrolls.com/zwoje43/text16p.htm
 
Poco dopo sarebbe venuta l’altra battaglia di Praga contro i fili spinati di Praga. Più ambigua, perché erano spine nate dal cuore medesimo della città. La realtà del socialismo che prevale sul socialismo reale. Un continuo risvegliarsi da un brutto sogno per ripiombarvi subito dopo. In questo corpo a corpo con se stessa la città dava il meglio di sé. Non c’era valzer degli addii che consentisse di sbrinare le anime  inamidate e blindate, i treni erano strettamente sorvegliati e i teneri barbari abitavano la città come niente fosse. “Vuoi vedere Praga d’oro?  chiedevano alcuni e gli extrapraghesi si precipitavano stregati a chiedere permessi di soggiorno temporanei. Mentre nella città si svolgeva questa sorda guerra, gli altri, cioè noi, ci ubriacavamo di Praga, delle mille Praghe che avevamo nel cuore. Epoca d’oro.
 
Epoca d’oro di una finzione occidentale. Praga, come tutto l’universo, soggiace alla legge dell’evoluzione, proprio quella dura e pura darwiniana. Guerra di bassa intensità, ma non meno feroce. Come resistere alla selezione naturale? Quanti sono i visitatori giornalieri di Praga? Duecento-trecentomila, di più? Moltiplicali per le cinquanta parole di meraviglia che ciascuno pronuncia. Fa una cifra che non so calcolare. Un coro assordante che i vicoli, le piazze, i palazzi, le chiese, le orecchie, assorbono e metabolizzano. Resisterà Praga a questo coito sfrenato? Partorirà una nuova Praga celeste l’erotica turistica? 
 
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2008
 
I soliti buontemponi televisivi ci hanno fatto scorrere davanti agli occhi le immagini dei carri armati sovietici a Praga nell’agosto del 1968 accanto alle immagini dei carri russi in Ossezia del Sud e Georgia. Cingolati qui, cingolati là. Come si trattasse di due eventi storicamente paragonabili.
L’ appiattimento storico sembra ormai un dovere, da ostentare più che si può non solo per mostrarsi originali, ma per adempiere ad un compito di costruzione della memoria pubblica in atto da diversi decenni.
Primavera di Praga, e tutti parlano dell’estate sovietica, cioè, agosto di quarant’anni fa,  della fine della Primavera, come se  i carri armati fossero venuti a rintuzzare la mossa un po’ troppo sconsiderata di un Saakashvili georgiano dell’epoca, fremente di far bella figura con lo sponsor americano.
I carri armati sovietici – e quelli dei “partiti fratelli” -  entrarono in Praga non per defenestrare (a Praga, poi!) qualcuno, ma per bloccare un rivoluzione, qualunque significato si voglia dare a questa parola. Un processo cominciato diversi anni prima,  anche solo col dichiarare che il praghese Franz Kafka non era un reprobo, un estraneo a quel mondo. Che l’alienazione – parola allora in voga –  che Kafka in qualche modo aveva rappresentato, non era una prerogativa delle società capitaliste, ma si ritrovava pari paro nelle società socialiste. La Primavera voleva dire sconnettere il partito [comunista] dallo Stato: fine della partitocrazia unica per aprire ad una circolazione di istanze democratiche, tra cui essenziali quelle operaie in forma di consigli. Un processo, dunque, non astratto, ma concreto, fatto di ridefinizione di ruoli politici, economici, culturali, risultato dalla spremitura del meglio dalla ricca tradizione democratica e socialista cecoslovacca. Il tutto sarebbe poi confluito nello slogan: socialismo dal volto umano, il che supponeva  che ce ne fosse uno dal volto disumano, come sarà dimostrato poco dopo in Praga stessa. “Lenin svegliati, Brezhnev è impazzito avrebbero poi scritto sui muri della città.
Un’idea di democrazia certamente nuova e mal collocabile nella situazione di guerra fredda,  in cui si doveva stare o di qua o di là. E perturbatrice anche nell’odierna epoca di guerra calda delocalizzata, in cui non c’è nessuna possibilità di stare di qua o di là, ma solo dentro o fuori.
Per questo oggi la politica della memoria è commemorare i carri armati trionfanti e  dimenticare la Primavera che li ha preceduti e attirati. Perché, al di là delle soluzioni allora proposte, la Primavera di Praga ha voluto dire la messa in discussione radicale non solo della condotta dei centri di potere, ma della loro stessa legittimità e, nello stesso tempo,  l’affermazione che una alternativa era non solo desiderabile e pensabile, ma fattibile.
La sinistra prosovietica (Partito Comunista Italiano in testa) si sarebbe scandalizzata di questa radicalità e ci avrebbe impiegato un bel po’ per riconoscerla. I movimenti del Sessantotto avrebbero, con poche eccezioni, guardato con malcelata diffidenza protagonisti e temi della Primavera, ipnotizzati com’erano [com’eravamo]  dal Nemico Pubblico N. 1, gli Stati Uniti.
Sarebbe ora di uscire dall’Inverno e riconoscerla e viverla quella Primavera.
 
[continua]
 

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