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I RITMI MIMICI DI MARCEL JOUSSE

pubblicato su Il Manifesto del 2 novembre 2011

Gabrielle Baron 1895-1986

Non è facile districarsi nei rituali della memoria. Gli anniversari tondi hanno un fascino un po’ sibillino. Cinquant’anni fa morivano Ernest Hemingway, Frantz Fanon, Louis-Ferdinand Céline, Luigi Einaudi, mio zio prete, Gary Cooper, Chico Marx, Patrice Lumumba, Carl Gustav Jung, e alcuni milioni di altre persone, tra cui duecento algerini uccisi dalla polizia a Parigi, e, sempre in Francia,  Marcel Jousse, antropologo a noi sconosciuto. L’occasione di parlare di Jousse non è tanto il cinquantenario della sua morte, quanto l’uscita in italiano di un suo libro, La sapienza analfabeta del bambino. Introduzione alla mimopedagogia. A cura di Antonello Colimberti, traduzione di Ornella Calvarese, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2011, pagg. 254, € 12. In originale si intitola Il Mimismo e il linguaggio del bambino. Più che un libro in senso proprio è la resa stenografica di lezioni tenute nel 1935-36 all’École d’Anthropologie di Parigi. Va dunque letto “ascoltandolo” e possibilmente non sovrappensiero, sapendo che se possiamo leggerlo è solo grazie alla intelligente e quotidiana stenografia di un’allieva, Gabrielle Baron, che gli ha anche dedicato un indispensabile libro.

Difficile trovare Marcel Jousse nei manuali di antropologia anche se la insegnava alla Sorbona e si definiva “antropologista”.
Michel De Certeu
Si sbagliava Michel De Certeau ad essergli vicino, stimarlo e a dedicargli nel 1965 un corso? 
Si sbagliava James Joyce che, avendo assistito nel 1928 alle “pantomime evangeliche” di Jousse in cui si ricreava l’oralità aramaica dei vangeli, scriveva di joussture nel caotico Finnegans Wake?

Si sbagliava Roman Jakobson ad apprezzarne l’analisi dello stile ritmico orale? 

Si sbagliava il Vaticano a bloccare in Italia l’uscita di Le Parlant, la Parole et le Souffle, dopo che  le Edizioni Paoline avevano pubblicato  nel 1979 il primo testo della trilogia: L’antropologia del gesto, nel 1980 La manducazione della parola [in Francia tutti editi di Gallimard]? Il mio è un sospetto, non ho lo straccio di una prova. Ma anche  Antonello Colimberti, che è il più qualificato studioso italiano di Jousse, si fa sfiorare dal dubbio. Che c’entra il Vaticano? Un po’ c’entra,  perché Marcel Jousse era un gesuita che indagava il parlato del rabbi-contadino galileo Yeshũa, l’insegnatore, cioè Gesù, e “la meccanica etnica palestinese” in cui era inserito. Era gesuita anche l’amico Teilhard de Chardin, lo era Michel De Certeau e pure Walter J. Ong, incantato anch’egli dalla parola. Come sappiamo, tutte queste gesuiterie all’opera hanno lasciato il segno nel sapere contemporaneo.

Attorno al lavoro di Jousse, come per tutti coloro che fuoriescono dai codici accademici, disciplinari, culturali,  si è costituito un duplice standard di ricezione: o il silenzio assoluto o l’adorazione. E’ molto facile slittare in un attonito mutismo  se, sfogliando La manducazione della parola [in Italia posseduto da sei o sette biblioteche], uno trova capitoli intitolati L’intussuscepzione mimismologica dell’insegnatore per manducazione
Bisogna  non farsi impressionare dal lessico un po’ delirante di Jousse, che aspira ad una iper precisione tecnica e, nello stesso tempo, punta a rendere l’oralità che sta sotto ad ogni scrittura. Era proprio ciò che interessava De Certeau: il gesto come fonte della verbalizzazione, il linguaggio vincolato alle leggi del corpo. Scriveva Jousse: “L’uomo pensa con tutto il suo corpo”.  E’ questa la ragione per cui è così interessato all’infanzia, perché lì i processi sono in fase di costruzione. Una delle leggi fondamentali dell’esistenza è, per Jousse, il ritmo-mimismo, cioè il ricevere nel corpo gesti e segnali dalla realtà che si accumulano come “mimemi” e vengono poi “rigiocati” dall’essere umano come pensiero e come azione. 

Maria Montessori
Nelle lezioni contenute in La sapienza analfabeta del bambino Jousse ha il dente avvelenato con la pedagogia del suo tempo, Montessori, Decroly, Dalcroze  [quello dell’educazione al ritmo] che, a suo parere, non rispetterebbe la “spontaneità” del bambino. Molta acqua è passata sotto i ponti e se allora la sua critica alle montessoriane “maestre giardiniere” poteva avere qualche ragione oggi è del tutto equivocabile e lascia il tempo che trova, mentre sarebbe da ripensare l’asserzione per cui “il fanciullo muore sotto l’algebrosi che gli viene inflitta”. Messa così sa proprio di malattia grave, per di più trasmessa per infezione dagli adulti: come il simbolo algebrico fa perdere di vista l’oggetto al quale corrisponde, così la parola usurata nasconde l’oggetto e il gesto che gli sta all’origine. La sua degradazione fonetica e semantica genera il virus dell’algebrosi e le persone vengono algebrosate.
La terapia di contrasto sta nella ricerca del “gesto delle cose” che ha generato la parola e il bambino questo lo può ancora fare perché è un “metaforista” spontaneo in quanto giocatore spontaneo. Tutti i gesti passati sono nascosti nella memoria del suo corpo e da lì può tirarli fuori e farli emergere. Per l’adulto è più difficile, il suo corpo algebrosato si scontra con il corpo sociale.
Si vede bene come Jousse abbia problemi con la modernità, e non è il solo, come sappiamo bene. Qualche volta “bilateralizza”, come direbbe lui. Sembra spesso in bilico, sul punto di precipitare dal fianco della Tradizione, con la T maiuscola,   con i suoi miti impagliati e le sue Essenze  fossilizzate. Te ne accorgi quando parla di “popoli spontanei”  o quando evoca la sua infanzia contadina come matrice cui tornare. Ma, nonostante le apparenze, sta lavorando su un altro fianco, estraneo al mito delle origini. Infatti: “Essere contadino vuol dire essere in-formato dal proprio paese. Nella sua accezione forte, il contadino-paesano è il paese rigiocato dall’essere tutt’intero, mimante, interazionante, bilaterizzante”. Il suo regime di senso è polifonico e multiverso. Sembra stare in un luogo del discorso, invece ti aspetta da un’altra parte: ”Nella vita il percorso più corto da un punto all’altro è la linea curva. L’uomo intelligente è quello che sa deviare”.
Tutto il suo congetturare sul mimismo, il mimaggio, i mimemi, i  mimodrammi, la mimopedagogia,  è stato nella sostanza confermato dalla scoperta dei neuroni specchio, cioè del mimismo universale tra gli esseri viventi. Una rivoluzione cognitiva.
Non era un’allucinazione la sua o, se lo era, proiettava luce in avanti. Jousse parla un linguaggio visionario perché abita il futuro: “senza Mimaggio niente Anthropos”.


l'Association Marcel Jousse presenta molti materiali su di lui e alcuni dei suoi testi, in francese: http://www.marceljousse.com/index.php

Su Teilhard de Chardin "santo protettore" del web, vedi il mio post del 12 luglio 2010:

Sui neuroni specchio, vedi l'intervista  allo scopritore Giacomo Rizzolatti:

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