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PIEMUNT
il piemontese è la mia lingua madre

Ho dedicato a questa lingua - a queste lingue, sarebbe più giusto - qualche riflessione e due micro performances di strada


L'invenzione del mondo, si sa, è una operazione complicata e faticosa. C'è bisogno di una lingua per realizzarla. Oggi muoiono centinaia di lingue all'anno. Spariscono cioè mondi che abitavano le teste delle persone. Altre però continuano i loro eterni processi di ibridazione, trasformandosi, accedendo a mondi nuovi e a universi inediti. Si fanno anche guerre per questo. Non solo nel Medioevo, ma anche ai nostri tempi. Forse soprattutto ai nostri. Infatti assegnare una lingua ad un territorio, delimitarne i confini, definirne le procedure di evoluzione, meglio note come "grammatiche", sono in fondo i compiti che lo Stato moderno si è attribuito per darsi una identità, chiamata anche "nazione". In un'epoca di grandi diaspore umane e di mimetismi imposti dalla comunicazione planetaria, le lingue sono in effervescenza e cedono ai bordi. Verso l'alto, internazionalizzandosi con quel dialetto mondiale che è diventato l'inglese, e verso il basso, aprendo nuovi spazi agli slangs e ai "vetusti" dialetti.

Oggi rappare in veneto o in piemontese ( o in black english o in birmano) non è una retrograda nostalgia, ma un modo di rendere quella particolarità universale. E' un atto di resistenza post nazionale, lingua franca di soggetti che stanno al di là della codifica: modernità = lingua nazionale, pre modernità = dialetti, con tutto il contorno delle piccole patrie e di eldoradi mai esistiti. E' il laboratorio in cui i materiali hanno scarsa gerarchia o, meglio, la gerarchia è sempre revocabile. Una koiné che non discende dai dogmi della tecnocomunicazione planetaria e neppure dalle più o meno fantasmagoriche nicchie di sopravvivenza linguistica.

Dove sta la "lingua materna"? Per gli ebrei orientali la mame loshen era in netta oppposizione alla foter sprach, alla lingua del padre, del rituale, della sinagoga. Yiddish contro ebraico. Non sempre c'è questa radicalità. Ma, come dice Hannah Arendt "Non esistono alternative alla lingua materna". Per me è un piemontese dolce e metaforico, ironico e pungente, che non ha niente a che fare con la lingua sbrodolata della "letteratura" in piemontese, rovinata dalla vena malinconico nostalgica. Invenzione pietosa di un arcadico mondo rural montanaro mai esistito.
Quasi del tutto illeggibile e improponibile.


Tra le eccezioni, almeno due
una, Giovanni Arpino, 1963

DEDICA

Quandi te spetu
quant'idee che l'hai,
e argument, cose serie, cunfidense
en s'la vita, 'l duman, la gioventù.
Poi t'rivi e alè, sun bele che futù,
el cine, el beive, e 'n tel ciulé me stermu

Quando ti aspetto/ quante idee ho, / e argomenti, cose serie, confidenze / sulla vita, il domani, la gioventù. / Poi arrivi ed ecco, sono proprio fottuto, / il cine, il bere, e nello scopare mi nascondo.


La seconda è di una scrittrice torinese, Bianca Dorato che usa una lingua scarnificata e solenne nello stesso tempo. Un piemontese fuori del tempo, da leggere come fosse ebraico antico.

 

A CANTO IJ GAJ

Se ant l'acreus ëd la neuit na vos ëd gal
genica as leva e tòst n'àutra a-j rëspond,
sclinta ant ël top ës-ciass, e as dësbandisso
si crij ëd fiara bin anans ëd l'alba;
se 'l seugn am chita, sì 'nt la stansia sola,
svantà 'nt ël cheur - e a l'é n'ora novissa,
che a conòss nen dolor: mi i sai, antlora,
che 'l gal dij gaj daleugn daleugn a canta,
dë dla dij cej, là 'nté la lus a gita,
vos ëd glòria danas a la s-ciandor.
E a frisson-a l'ëscur, e ij reu dj'ëestéile,
vijòire dl'Ëstërmà, bàud a tërmolo,
traversà da la gòj: parèj a ven
da cel a cel e për j'ancreus ëd l'ària
'l signal a core ij bòsch e le costere,
dzora la tèra muta. A canto ij gaj,
flecià 'd lus ant ël cheur: e belessì
'nté i ston, solenga, genica a rësponde

na paròla as arvija.

CANTANO I GALLI

Se a notte fonda una voce di gallo
pura si leva e tosto un'altra le risponde,
limpida nella tenebra fitta, e sbocciano
questi gridi di fiamma ben prima che sia l'alba;
se il sonno mi abbandona, qui nella stanza solitaria,
sconvolta in cuore,- ed è un'ora tutta nuova,
che non conosce dolore: io so, allora,
che il gallo dei galli lontanissimo canta,
di là dei cieli, là dove la luce germoglia,
voce di gloria dinanzi allo splendore.
E freme il buio, ed i cerchi delle stelle,
che vegliano davanti al Nascosto, esultanti tremano,
pervasi di gioia: così viene
da cielo a cielo e per gli abissi dell'aria
il segnale a correre i boschi ed i pendii,
sopra la terra muta. Cantano i galli,
trafitti di luce in cuore: e qui
dove io sto, sola, una risposta pura,
una parola si desta

 Io ricordo l'impatto emotivo al primo ascolto, forse vent'anni fa alla Falchera - noto quartiere periferico di Torino -, di quel "minchiadioffa" che era l'emblema di una ibridazione vincente, centrifuga e non sedotta dal canone dominante. La stessa potenza creola che esibisce il ragazzo marocchino che offre le sue cianfrusaglie con "Ca cata quei cos, madamin". La sua appropriazione è anche una carnevalizzazione della lingua dominante (in questo caso in un mercato della provincia piemontese) e dunque una sua destabilizzazione. Oppure il "vaffankof" dei ragazzi, prima marocchini, poi cinesi, italiani, peruviani, ad un campeggio pluri nazionale. Dove kof è l'equivalente in arabo, com'è ovvio, di "culo". Procedure linguistiche dove c'è una specie di lotta per il segno, per una lingua che non sia mera ripresa di quella dominante. Ricombinazioni linguistiche che mentre praticano l'ibridazione rendono anche evidente quella interna alle lingue costituite.

 "Cos'è l'ibridazione? E' una mistura di due linguaggi sociali all'interno di una singola espressione, un incontro, nell'ambito di una espressione, tra due diverse coscienze linguistiche, separate una dall'altra da un'epoca, da una differenziazione sociale o da qualche altro fattore" sosteneva M.M.Bachtin. Se così è, quale lingua non è ibridata? Quale lingua non è simultaneamente se stessa e diversa da sé? Quale lingua non è la combinazione di più lingue?

Tutto è più evidente nel "dialetto" che, non avendo patito la normazione "nazionale" e scolastica, esibisce tutte le componenti spaziali, temporali, sociali che lo compongono e le disloca come gli pare. Quante lingue piemontesi esistono in Piemonte? Quante ne usa il piemontesofono? Se dice frel al posto di fratel ( o söri al posto di surela) vuol dire che si porta dietro frammenti di una lingua arcaica, se dice I san nen da che part j han da cmensà ("non sapevano da che parte cominciare") rivela l'origine monferrina, a bramàu fort ("gridavano forte") quella del piemontese occitanizzato (o dell'occitano piemontesizzato), l'hai resetalu tüt, prima 'd furmatelu quella di informatico subalpino, e così via.

Per concludere, anche i dialetti sono pidgin, lingue creole, plurali, che corrispondono ai diversi mondi che coabitano il mondo. Finché sarà possibile pensarli. Finché non sarà distrutta la provvida Babele.
Per questo mi piace farlo viaggiare, il dialetto. Fargli incontrare altre lingue.


La prima è la non-lingua del "Finnegans Wake" di James Joyce, il chaosmos, come lo chiama, di questo meta-linguaggio che vorrebbe raccontare l'ambiguo flusso della Storia. Un minuscolo frammento.

Of the first was he to bare arms and a name: Wassaily Booslaeugh of Riesengeborg. His crest of huroldy, in vert with ancillars, troublant, argent, a hegoat, poursuivant, horrid, horned, His scutschum fessed, with arcgers strung, helio, of the second. Hootch is for husbandman handling his hoe. Hohohoho, Mister Finn, you're going to be Mister Finnagain! Comeday morn and, O, you're vine! Sendday's eve and, ah, you're vinegar! Hahahaha, Mister Funn, you're going to be fined again!

Tra i primi a l'è stait chiel a patanüé 'j armi e 'n nom. Wassaily Booslaeugh 'd Riesengeborg. La sua ansëgna huraldica, 'n vert cun- servantie, troublant, argent, 'n buc, poursuivant, guregn, cui corn. So blesun 'nlupatà, con arcé ca tiru, sul, dl secund. Pautasot a l'è 'n paisan ca pianta panansëmmu. Ohohohoh. Mister Finn, t'ses 'n camin che 't divente Mister Finnagain! Arivdì matin e, oh, t'ses vis! Vaminica 'd seira e, ah, 't ses azil. Ahahah, Mister Funn, a stan turna pr ciümmite!

traduzione italiana di Luigi Schenoni:

Dei primi lui fu a nudare armi e un nome: Wassaily Booslaeugh di Riesengeborg. La sua insegna hurealdica, in verde con ancillarie, troublant, argento, un caprione, poursuivant, coriaceo, cornuto. Il suo blesone fasciato, con arceri in tiro, celioh, del secondo. Cicchettoni è un contadino che coltiva cavoli. Ohohohoh, Mister Finn, stai per diventare Mister Finnagain! Viendì mattì, e, Oh, sei vite! Vamenica sera e, ah, sei vinagro! Ahahahah, Mister Funn, stai per essere fumminato ancora!
 
Secondo incontro:

incipit del capitolo "Geofilosofia" in Che cos'é la filosofia, di G.Deleuze e F.Guattari, Torino, 1996

Traduzione italiana dall'originale francese di Angela de Lorenzis:

Il soggetto e l'oggetto forniscono una cattiva approssimazione del pensiero. Pensare non è né un filo steso tra un soggetto e un oggetto, né una rivoluzione dell'uno intorno all'altro. Il pensare si realizza piuttosto nel rapporto fra il territorio e la terra. Kant è meno prigioniero di quanto si creda delle categorie di oggetto e di soggetto, in quanto la sua idea di rivoluzione copernicana mette il pensiero direttamente in rapporto con la terra; Husserl rivendica al pensiero un suolo che equivarrebbe alla terra, nella misura in cui questa, in quanto intuizione originaria, né si muove né è in quiete.

Il suget e l'uget a dan na brüta aprusimasiun del pensé. Pensé a l'é pa mac 'n fil stendù tra 'n suget e n'uget e gnanca 'n gir d'ün d'anturn a l'aut. 'l pensé a s'realiza pitost 'n t'el rapport tra 'l teritori e la tèra. Kant a l'è mutubin menu perzuné dl'on ca smìa dle categurie del suget e dl'uget, dal mument che la sua idea 'd rivulüsiun cupernican-a a fica 'l pensé diretament 'n raport a la tèra; Husserl a vurrìa pr 'l pensé 'n teren- ca sarìa 'n pratica la tèra, perché custa, cume intuisiun uriginaria, a s'bugia nen e a l'è pà gnanca tranquila. 

Terzo incontro:
Il latino degli epigrammi di Marco Valerio Marziale


LIBRO I
X
Petit Gemellus nuptias Maronillae
Et cupit et instat et precatur et donat.
Adeone pulchra est? immo foedius nil est.
Quid ergo in illa petitur et placet? Tussit.
Gemel a vol marié Maronilla
a la punta e ai fa 'l fil, a s'nginùia e a la quata 'd regai.
A l'è cusì bela? Gnente 'd pì brüt.
Co a l'è alura ca i piass tantu? A l'à na brüta tuss.



XLVII
Nuper erat medicus, nunc est vispillo Diaulus:
quod vispillo facit, fecerat et medicus.
Prima Diaulo a fasìa 'l dutur, ades 'l sutrur:
lon ca fa da sutrur, prima a lu fasìa da dutur.



LXXXIII
Os et labra tibi lingit, Manneia, catellus:
non miror, merdas si libet esse cani.
Manneia, a t'berlica la buca e i laver to cagnet:
më sbürdisu nen, se al can ai piass la merda.

LIBRO II
XLII
Zoile, quid solium subluto podice perdis?
Spurcius ut fiat, Zoile, merge caput.
Perché, Zoilo, t'sporche tüta la vasca cun- to cül?
Se t'la völe 'ncura pì lürida, bütjie la testa.

LXXX
Hostem cum fugeret, se Fannius ipse peremit.
Hic, rogo, non furor est, ne moriare, mori?
Pr scapé a 'n nemis, Fannio, a l'é masase.
'm ciamu, a l'é pà da gabbia möiri pr pà möiri?


-------------------
pubblicato come Il dialetto "mondiale" del duemila in Almanacco Piemontese - Armanach Piemonteis, 2000, Andrea Viglongo, Torino.

la poesia di Arpino è tratta da Bocce ferme, Daniela Piazza Editore, Torino, 1982
quella di Bianca Dorato [morta nel 2007] da Drere 'd lus, El Peilo, Mondovì, 1990


























DISCORSO SEMISERIO
SULLE LINGUE PIEMONTESI
micro performance di strada

che sviluppa le seguenti tesi: 
il piemontese lingua di emigranti
lingua surrealista
lingua della parodia
lingua della protesta [operaia e contadina]
lingua del sangue caldo
lingua della poesia
il piemontese deriva dall'arabo?





Sü cantuma, Sü cantuma
Cosa vole mai canté
Sü cantuma l’alegria
Cosa vole mai canté
La vita nostra descrivuma
descrivuma la fulia
d’la giurnà ‘d l’uvrié
e i sagrin e le speranse
le turtüre del travaj [ 2 volte]
o descrivumie tüte quante
le miserie e i nostri guai
Oh capital
ma la vita, ma la vita l'è tantu
bela                                                                 
pr ji sgnur
ca vriju, ca vuriju mai cambiela
disu lur
ma la vita, ma la vita l'è tantu bela
pr ji sgnur
si l'è bela, si l'è bela mac pr lur
pr ji sgnur
Furgiairun tira la forgia
ciavatin tira la trà [2vv]
e ‘l sartur b’sogna ca porta
pr mangé
la sua müda al Munt d'Pietà
sun disperà
Ma la vita, ma la vita l'è tantu bela,..
Oh paisan che la campagna
it travaje tüt ‘l di [2vv]
‘l sul at brüsa e l'acqua at bagna
e d'pulenta it ses nütri
o fate ardi
Ma la vita, ma la vita l'è tantu bela...

Parole e musica forse di Antonio Mazzuccato, Torino, 1901 o 1902




TUTTO QUELLO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE
SULLA BAGNA CAUDA E NON HANNO MAI AVUTO IL
CORAGGIO DI RIVELARVI
un viaggio tra gli ingredienti del piatto tipico piemontese, 
tutti senza permesso di soggiorno 










alla prima performance hanno partecipato Silvia Genta e Chiara Lanzi,
alla seconda Silvia Genta e Luca Santavicca

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